Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 45867 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 45867 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOMENOME nato a COMO il 20/07/1961
avverso la sentenza del 17/04/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile ferma la correzione del dispositivo quanto alla sospensione condizionale in favore del ricorrente;
lette le conclusioni del difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE persona del I.r.p.t. Avv. NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso con ogni conseguente statuizione.
Ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini, secondo quanto disposto dagli articoli 610 co. 5 e 611 co. 1 bis e ss. c.p.p.
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RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 17/04/2024, a seguito dell’annullamento con rinvio disposto dalla della Sesta Sezione penale dì questa Corte con sentenza n. 34517 del 2023 (che ha riqualificato i fatti ascritti a NOME COGNOME ai capi b) e d) della rubrica ai sensi degli artt. 640 e 61 n. 7 cod. pen. ) ha rideterminato la pena a carico di NOME COGNOME in anni uno e mesi otto di reclusione.
Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, NOME COGNOME con motivi che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. GLYPH Violazione di legge, violazione di norme processuali e vizio della motivazione in relazione agli artt. 125, comma 3, e 546 cod. proc. pen. in considerazione del contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza; in motivazione era stata concessa la sospensione condizionale della pena, che invece non veniva riportata nel dispositivo della sentenza.
2.2. GLYPH Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione agli artt. 627, comma 3, 597, comma 3, cod.proc.pen. e art. 3 Cost. per irragionevolezza nella determinazione del trattamento sanzionatorio e violazione del divieto di reformatio in peius, atteso che la Corte di appello, nella individuazione della pena base per il reato più grave, invece di arrestarsi sul minimo edittale come aveva fatto il giudice di prime cure, aveva applicato la pena in misura superiore al triplo del minimo edittale. È stato considerato più grave il reato di cui al capo a) piuttosto che il reato di cui al capo b) (derubricato da peculato in truffa) e nel determinare la pena base e poi gli aumenti in continuazione si è partiti da una pena base di molto superiore al minimo edittale. I
La Procura generale ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile, con correzione del dispositivo della sentenza impugnata quanto alla sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi generici, oltre che manifestamente infondati. GLYPH
2. Il primo motivo è generico ed aspecifico in assenza di reale confronto con la decisione della sentenza della Corte di appello di Milano. In tal senso si deve rilevare come, nell’ambito del dispositivo, venga testualmente affermato: “Visto l’art. 627 c.p.p., decidendo a seguito di rinvio disposto dalla Corte di cassazione in data 5 luglio 2023, ferme restandole statuizioni irrevocabili della Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Como in data 3 settembre 2020 nei confronti di COGNOME NOME.. riqualificati i fatti di cui ai capi b) e d) ai sensi degli art. 640 e 61 n. 7 c.p. ridetermina la pena nei confronti di COGNOME Giovanni in anni 1 e mesi 8 di reclusione”. Come emerge dalla lettura del dispositivo, la Corte di appello, in applicazione delle indicazioni relative all’annullamento con rinvio disposto da questa Corte, ha esclusivamente rideterminato la pena, mantenendo ferme le precedenti statuizioni, tra le quali, all’evidenza, quella relativa all’intervenuta concessione al COGNOME del beneficio della sospensione condizionale della pena (inequivoco in tal senso il dispositivo della sentenza della Corte di appello del 24/10/2022, che aveva condannato il ricorrente alla pena di anni due di reclusione con sospensione condizionale della pena), tra l’altro irrogando una pena inferiore alla precedente e, dunque, rientrante nel parametro di riferimento quanto al beneficio già concesso.
La lettura del dispositivo della sentenza impugnata evidenzia il mantenimento delle statuizioni irrevocabili della sentenza della Corte di appello di Milano del 24/10/2022, tra le quali la concessione del beneficio sospensione condizionale della pena, pienamente compatibile con la pena per come rideterminata.
3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, oltre che generico. Il ricorrente, in tema di reformatio in peius, non si confronta con la costante giurisprudenza di questa Corte che nella sua massima espressione ha affermato, con principio applicabile al caso in esame, che non viola il divieto di “reformatio in peius” previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258653-01). In
tal senso, anche successivamente, si è evidenziato che quando si giunge ad una riqualificazione della condotta, che porta ad una diversa catena e articolazione dei fattori della pena quanto alla continuazione tra reati, non ricorre alcuna violazione del principio del divieto della reformatio in peius quando venga rispettato il limite esterno del massimo della pena in precedenza irrogata, non esteso ai singoli fattori. Né ricorre, nel caso in esame, un profilo di sproporzione quanto alla nuova pena base, alla quale si giunge con argomentazioni puntuali ed approfondite della Corte di appello. Tale motivazione non viene in alcun modo richiamata ed effettivamente considerata, essendosi limitato il ricorrente ad una comparazione astratta, tra l’altro posta in essere con riferimento alla pena della sentenza di primo grado rispetto a fatti diversamente qualificati, con ciò manifestandosi anche la aspecificità del motivo proposto.
Ciò posto, occorre considerare che non ricorre la violazione di legge e di norme processuali dedotta quando nell’applicazione della disciplina del reato continuato o per intervenuta modifica dei reati satellite ovvero per una diversa individuazione del reato ritenuto più grave, la pena base venga diversamente determinata o il giudice apporti per uno dei fatti unificati un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente superiore (Sez. 2, n. 29017 del 20/06/2014, COGNOME Rv.260099-01). Il dato rilevante, a tal fine, è rappresentato dalla circostanza che risulta diversa e mutata la struttura del reato continuato.
Si deve, in tal senso, ricordare che le Sezioni Unite (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258653-01) hanno ampiamente richiamato la particolarità del fenomeno continuazione, “realtà normativa che può ricevere una lettura unitaria (o unificante), ovvero atomistica a seconda delle prospettive che si intendono perseguire”, attesa la sua particolare natura di concorso materiale di reati, unificati dalla identità del disegno criminoso e assoggettati al cumulo giuridico delle pene previsto per il concorso formale, con conseguente perdita di individualità sanzionatoria delle pene dei reati satellite una volta prescelto il reato più grave, in caso di concorso tra pene eterogenee, divenendo “semplici componenti di un aumento di pena”, che riacquistano la loro identità solo agli effetti della determinazione del limite esterno agli aumenti, che comunque non deve superare quello del cumulo materiale ex art. 81, comma terzo, cod. pen. E’, quindi,
proprio l’applicazione del cumulo giuridico, con la conseguente unificazione del trattamento sanzionatorio, che “presuppone l’individuazione specifica dei termini che compongono il cumulo e la determinazione di un certo ordine della sequenza”, conseguentemente, “se muta uno dei termini (vale a dire, una o più delle regiudicande cumulate o il relativo “bagaglio” circostanziale) oppure l’ordine di quella sequenza (la regiudicanda – satellite diviene la più grave o muta la qualificazione giuridica di quella più grave), sarà lo stesso meccanismo di unificazione a subire una “novazione” di carattere strutturale, non permettendo più di sovrapporre la nuova dimensione strutturale a quella oggetto del precedente giudizio, giacché, ove così fosse, si introdurrebbe una regola di invarianza priva di qualsiasi logica giustificazione”. Ne consegue, secondo l’ermeneusi delle Sezioni Unite, che in tali casi l’unico elemento di confronto non può che essere rappresentato dalla “pena finale dal momento che è solo questa che non deve essere superata dal giudice del gravame”. In applicazione di tali principi, che qui si intendono ribadire, si deve rilevare anche la aspecificità del motivo, attesa la mancata considerazione della pena base ritenuta dal giudice di appello nella prima sentenza annullata dalla Corte di cassazione (anni quattro di reclusione), superiore alla pena base indicata nella seconda sentenza della Corte di appello di Milano (anni tre e mesi sei di reclusione), così come la mancata considerazione dell’aumento per i reati satellite (mesi due di reclusione piuttosto che un anno di reclusione) ed ancora la pena finale irrogata.
In presenza, dunque, di un mutamento e di una effettiva novazione di carattere strutturale nell’unificazione del reato in applicazione della disciplina della continuazione, il giudice di appello non ha in alcun modo realizzato una reformatio in peius (Sez. 2, n.2692 del 09/12/2022, COGNOME, Rv. 284301-01; Sez. 2, n.37092 del 08/07/2021, COGNOME, Rv. 282127-01).
4. Alla declaratoria d’inammissibilità segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, ravvisandosi profili di colpa relativi alla causa di inammissibilità (Corte Cost. n.186 del 2000), al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro tremila.
Nulla deve essere disposto sulle spese richieste dalla parte civile, perché essa non ha fornito alcun contributo, essendosi limitata a richiedere la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti (Sez. 2, n. 33523 del 16/06/2021, D., Rv. 281960-03; Sez. 5, n. 34816 del 15/06/2021, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 17544 del 30/03/2021, Barba, non mass.; Sez. 5, n. 26484 del 09/03/2021, Castrignano, non mass.; Sez. 1, n. 34847 del 25/02/2021, COGNOME, non mass.; da ultimo in motivazione Sez. U, n. 887del 14/07/2022, COGNOME, Rv. 283886-01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 26/11/2024