Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23032 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23032 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME COGNOME PCN nato a LECCO il 20/05/1983 COGNOME NOME nato a MONGIANA il 30/09/1948 COGNOME NOME nato a CALOLZIOCORTE il 25/06/1960
avverso la sentenza del 01/03/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la memoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo, in via principale, la rimessione alle Sezioni Unite della seguente questione: se nel caso di reato continuato, violi il divieto di refornnatio i peius il giudice del rinvio, a fronte dell’impugnazione del solo imputato, che, dopo essere pervenuto ad una pronuncia assolutoria per il reato più grave, pur determinando la pena finale in senso migliorativo, abbia aumentato la pena per il “nuovo reato base rispetto a quella precedentemente irrogata per il reato più grave”; in subordine, per Vallelonga, Valsecchi e Marchio l’annullamento con rinvio in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio.
letta la memoria del difensore del ricorrente NOME COGNOME avv. NOME COGNOME che
ha concluso insistendo nel ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14.06.2023 questa Corte annullava la sentenza della Corte di Appello di Milano del 12.07.2022, emessa nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ritenuti colpevoli del reato di cui al capo 1 di cui all’art.416 bis cod. pen. e dei reati indicati nella imputazione, limitatamente al reato associativo di cui al capo 1, nonché, con riferimento ai residui reati, alle aggravanti, laddove contestate, di aver posto in essere la violenza o minaccia da persona che fa parte dell’associazione di cui all’art.416 bis cod. pen. e di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa, con rinvio per nuovo giudizio sui predetti capi e punti ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Annullava, inoltre, la sentenza impugnata k nei confronti di NOME COGNOME limitatamente all’importo della confisca disposto a suo carico, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigettava, nel resto i ricorsi dei ricorrenti Vallelonga, COGNOME e Valsecchi, con conseguente definitività della affermazione di responsabilità per tutti i reati sopra indicati diversi dal capo 1), nonché quello della parte civile.
1.1 Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano, in sede di giudizio di rinvio, ha parzialmente riformato la sentenza impugnata, assolvendo i ricorrenti Vallelonga, Marchio e Valsecchi dal reato ascritto al capo 1 perché il fatto non sussiste, individuando una nuova pena base per il cumulo giuridico in relazione ai reati puniti con pena congiunta e pluriaggravati.
Al riguardo, la Corte di appello, premettendo che il divieto di reformatio in peius vincola il giudice del rinvio, nel senso che non può essere irrogata una pena superiore a quella determinata dalla sentenza annullata, più favorevole rispetto a quella inflitta in primo grado, richiama le Sezioni Unite 16208/2014, che hanno affermato il principio secondo cui il divieto di reformatio in peius, nel caso in cui muti la struttura del reato continuato per le intervenute assoluzioni, con individuazione di un nuovo reato più grave, diversamente circostanziato rispetto alle aggravanti originariamente individuate, riguarda solo la pena finale, atteso il mutamento della sequenza di reati avvinti dal cumulo giuridico. Le Sezioni Unite hanno precisato che “se muta uno dei termini (una o più delle regiudicande cumulate o il relativo bagaglio circostanziale) oppure l’ordine di quella sequenza (la regiudicanda satellite diviene più grave) sarà lo stesso meccanismo di unificazione a subire una “novazione” di carattere strutturale, non permettendo di sovrapporre la nuova dimensione strutturale a quella oggetto del precedente
giudizio, giacché ove così fosse, si introdurrebbe una regola di invarianza priva di qualsiasi logica giustificazione”. La Corte del rinvio ha anche richiamato Cass. 24430/2021, precisando che, fermo il limite della pena complessivamente inflitta, ove, come nel caso in esame, muti il reato più grave da individuarsi in un reato punito con pena congiunta, anziché con la sola pena della reclusione, la pena da applicare sarà congiunta purché, previo ragguaglio ai sensi dell’art.135 cod. pen., non sia superata la pena complessiva irrogata.
La Corte di appello rideterminava la pena inflitta nei confronti di:
– NOME COGNOME fermo il limite di pena di anni dieci mesi due e giorni venti di reclusione, previa esclusione dell’aggravante di cui all’art.416 bis 1, cod. pen. in relazione ai capi 2-3-4-5-6 e 23 e, limitatamente all’essere stato il fatto commesso da appartenenti ad associazione mafiosa o al fine di agevolare e rafforzare l’associazione mafiosa di appartenenza in relazione al capo 31, ritenuto reato più grave, ferme le aggravanti dell’uso delle armi e del metodo mafioso, ritenute le già riconosciute attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva, e fermo restando il già ritenuto vincolo della continuazione, eliminando l’aumento a tiolo di continuazione per il capo 31, costituente la pena base, individuando la pena base nel reato di cui all’art.629, comma 1, cod. pen., aumentata ai sensi dell’at.416 bis 1 cod. pen. da un terzo alla metà, in anni 9 mesi 6 di reclusione ed euro 2.100,00 di multa, ridotta per le generiche ad anni 6 mesi 4 di reclusione ed euro 1.400,0 di multa, confermava l’aumento a titolo di continuazione per i reati satellite determinato dal GUP, aggiungendo la multa prevista per la violazione più grave, con aumento per il capo 2 in mesi 11 di reclusione, determinava la pena complessiva in anni 9 mesi 2 e giorni 20 di reclusione ed euro 2.500,00 di multa;
– NOME COGNOME fermo il limite di pena di anni 26 di reclusione, ritenuto più grave il reato di cui al capo 31 rispetto alle due precedenti condanne riportate per reati di cui all’art.416 bis, comma 4, cod. pen. (pena da 12 a 20 anni), riuniti in continuazione al presente processo, ferme le aggravanti dell’uso delle armi e del metodo mafioso, con applicazione dell’art.63, comma 4, cod. pen. (aumento per la circostanza più grave art.629 comma 2, cod. pen., ulteriormente aumentata fino ad un terzo ex art.416 bis 1 cod. pen.) indicando quale pena base per l’estorsione quella di anni dieci di reclusione ed euro 9.000,00 di multa, aumentata ad anni 13 e mesi quattro di reclusione ed euro 12.000,00 di multa ex art.416 bis 1 cod. pen., eliminando l’aumento a tiolo di continuazione per il capo 31, costituente la pena base, ritenendo congrui gli aumenti a titolo di continuazione stabiliti da GUP, aggiungendo la multa per la violazione più grave, determinava la pena per la esclusione della aggravante di cui all’416 bis 1 cod. pen. per gli altri reati satellite;
NOME COGNOME fermo il limite di pena di anni 8 mesi 5 e giorni 10 di reclusione, ritenuto più grave il reato di cui al capo 25, individuando come pena base quella di anni 9 di reclusione ed euro 1.700,00 di multa, mantenendo in quanto congrui gli aumenti a titolo di continuazione stabiliti dal GUP, determinava la pena finale in anni 7 mesi 4 di reclusione ed euro 2.200,00 di multa.
Gli imputati, ritualmente assistiti dai loro difensori di fiducia, ricorrono per cassazione avverso la sentenza di appello pronunciata in sede di rinvio.
Il contenuto dei ricorsi può essere riassunto nei seguenti termini, ex art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
L’imputato NOME COGNOME ricorre tramite un unico atto, sottoscritto dall’avv. NOME COGNOME affidato ad un unico motivo.
3.1 Il ricorrente lamenta vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in punto di trattamento sanzionatorio, deducendo che la Corte di appello in sede di rinvio, nella determinazione della pena, escludendo il bilanciamento con l’art.416 bis 1 cod. pen., si è sensibilmente discostata (di tre anni) dal minimo edittale della pena base, rispetto alla pena individuata nel minimo edittale, per il reato di cui all’art.416 bis cod. pen., dalla sentenza della Corte di appello annullata; ciò senza adeguata motivazione, e non tenendo conto dei criteri di cui all’art.133 cod. pen., della esclusione del contesto mafioso, del ruolo non attivo del Marchio nella vicenda estorsiva, delle risultanze del fatto.
L’imputato NOME COGNOME ricorre a mezzo dell’avv. NOME COGNOME affidandosi a due motivi.
4.1 Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge, in relazione all’art.597 cod. proc. pen., richiamando l’orientamento di questa Corte sul divieto di reformatio in peius; in particolare, in presenza di reato continuato, nel caso di annullamento con rinvio della condanna per il reato più grave circostanziato e di rideternninazione della pena per il residuo reato meno grave nonché in riferimento ai limiti degli aumenti per le aggravanti.
4.2 II secondo motivo di ricorso lamenta vizio di carenza e contraddittorietà della motivazione in punto di aggravante del metodo mafioso, di cui all’art.416 bis 1 cod. pen., ritenuta quanto al capo 31 e in riferimento ad altri capi di imputazione, e che sarebbe stata esclusa dalla Corte in sede di annullamento, deducendone la insussistenza sulla base delle modalità e circostanze dei fatti contestati.
L’imputato NOME COGNOME ricorre a mezzo dell’avv. NOME COGNOME affidandosi a due motivi.
5.1 II primo motivo di ricorso lamenta vizio di carenza e contraddittorietà della motivazione in punto di trattamento sanzionatorio, in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, deducendo cha la Corte di appello non avrebbe tenuto conto della sottoposizione ad interrogatorio, sia pure in sede di giudizio abbreviato, dello stato di incensuratezza nonché della condotta tenuta dal ricorrente nella fase di esecuzione della misura cautelare, avendo egli fatto rientro in Italia per sottoporsi alla misura.
5.2 n secondo motivo di ricorso lamenta vizio di carenza e contraddittorietà della motivazione, in punto di trattamento sanzionatorio, nella parte in cui si discosta dal minimo edittale, nonché violazione dell’art. 133 cod. pen., per non avere, il giudice d’appello, specificamente e chiaramente indicato i criteri ai quali si è attenuto nel determinare la pena inflitta, in specie a fronte dell’assoluzione dal reato associativo, facendo generico riferimento alla gravità del reato.
Si è proceduto a trattazione cartolare e le parti hanno concluso come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
Per comodità espositiva e con riferimento al primo motivo, i ricorsi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto i ricorrenti denunciano violazione di legge e vizi di motivazione con riferimento al divieto di reformatio in peius di cui all’art.597 cod. proc. pen.
La questione che pongono i ricorrenti è se, in caso di condanna per reati avvinti dal vincolo della continuazione e successivo annullamento della condanna per il reato più grave, il giudice del rinvio, pervenendo ad una pronuncia assolutoria in relazione a detto reato, sia vincolato, ex art. 597 cod. proc. pen., nella determinazione della pena base, alla quantità di pena già individuata, nel giudizio precedente all’annullamento parziale, quale base per il computo degli aumenti a titolo di continuazione o se il vincolo, imposto al giudice del rinvio dal divieto di refornnatio in peius, riguardi soltanto la pena finale.
2.1 Sul tema dei mutamenti attinenti al reato continuato e delle conseguenti modifiche del trattamento sanzionatorio unificato che lo caratterizza, la giurisprudenza di legittimità si è espressa più volte, anche con numerosi interventi delle Sezioni Unite, tracciando un percorso complesso e affatto privo di incoerenze.
Nell’ampia motivazione ricostruttiva (Sez. U, n. 22471 del 22/2/2015, Sebbar, Rv. 263717) questa Corte ha affermato che la “visione nnultifocale” che
caratterizza la disciplina normativa prevista dall’art. 81 cod. pen. e la rende ora unitaria, ora pluralistica, dà ragione della necessità della individuazione delle singole pene per i reati-satellite ed è essenziale ai fini della “misura” degli aumenti da apportare alla pena-base. La perdita dell’autonomia sanzionatoria dei reatisatellite nell’ambito del reato continuato non comporta, infatti, la irrilevanza della valutazione della gravità dei predetti reati, in sé considerati, per l’ottima ragione che il momento sanzionatorio segue quello valutativo e, dunque, lo presuppone e – ovviamente – si distingue da esso. Il giudice, dunque, considerata la unitarietà del disegno criminoso, procederà ai singoli incrementi sanzionatori, “determinando”, così, la pena, in osservanza delle norme sulla continuazione, ed ogni reato-satellite “contribuirà” alla determinazione della “pena finale” in base al concreto valore ponderale che il giudicante intenderà – in concreto – attribuirgli (tenuto conto della indicazione che – in astratto – gli ha fornito il legislatore con la apposizione dei termini edittali).
2.2 Le Sezioni Unite Morales, poi, hanno affermato il principio di diritto secondo cui, “nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi del calcolo relativo, che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza (art. 597 comma quarto cod. proc. pen.), non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado” (Sez. U, n. 40910 del 27/9/2005, NOME COGNOME, Rv. 232066), e che “la disposizione contenuta nel quarto comma dell’art. 597 cod. proc. pen. individua, come elementi autonomi, pur nell’ambito della pena complessiva, sia gli aumenti o le diminuzioni apportati alla pena base per le circostanze, sia l’aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione, con conseguente obbligo di diminuzione della pena complessiva, in caso di accoglimento dell’appello in ordine alle circostanze o al concorso di reati, anche se unificati per la continuazione, come espressamente previsto dall’art. 597 co. 4 cod. proc. pen. con conseguente impossibilità di elevare la pena comminata, per detti singoli elementi, pur risultando diminuita quella complessiva a seguito dell’accoglimento dell’appello proposto non in ordine alle circostanze o al concorso di reati, ma per altri motivi, quali – ad esempio l’eccessività della pena base” (Sez. 2 Pen., 12/06/1998, COGNOME; Sez. 5 Pen., 28/07/’98, COGNOME e 03/05/2002, COGNOME; Sez. 6 Pen., 25/06/1999, COGNOME; Sez. 1 Pen., 03/11/2004, COGNOME).
2.2. Le SS.UU. Morales pur riguardando la specifica ipotesi di esclusione di un’aggravante e di fissazione di una pena base più severa di quella fissata nel
giudizio di primo grado, affermano un principio di portata generale, afferente anche all’ipotesi di reato continuato, in linea con il tenore letterale dell’art. 597, comma 4, cod. proc. pen., che fa espressa menzione anche dei reati unificati dal vincolo della continuazione.
Le Sezioni Unite 16208/2014, nell’affrontare il tema della applicabilità della regola del divieto di reformatio in peius anche nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione, risolto positivamente secondo il consolidato orientamento di questa Corte ove impugnante sia il solo imputato, hanno ritenuto di riaffermare il dictum della sentenza NOME COGNOME che vale solo nella ipotesi in cui il giudice dell’appello o del rinvio sia chiamato a giudicare della stessa sequenza di reati avvinti dal cumulo giuridico, giacché in tal caso rinviene adeguata giustificazione la preclusione a non rivedere in termini peggiorativi non soltanto l’esito finale del meccanismo normativo di quantificazione del cumulo, ma anche i singoli parametri di commisurazione di ciascun segmento che compone quel cumulo. Diversamente, laddove muti l’individuazione del reato più grave e il relativo trattamento sanzionatorio assunto come pena-base, è legittimo apportare per i reati satellite aumenti più consistenti, a patto di non irrogare una pena complessivamente maggiore (Sez. U., n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258653-01).
Le Sezioni Unite hanno evocato il concetto di “novazione strutturale” cui darebbe origine sia il mutamento dei termini di raffronto, sia l’ordine di sequenza tra i reati avvinti nella continuazione, cosicché l’unico limite imposto al giudice d’appello sarebbe quello del divieto di superare la pena finale stabilita in primo grado. In conclusione, secondo SS.UU. 1608/2014, “nell’ipotesi di dissoluzione della sequenza sanzionatoria e dei relativi parametri di commisurazione, per effetto dell’individuazione, quale violazione più grave, di un diverso reato, la Corte di appello ha facoltà di rideterminare la pena per la nuova violazione più grave e non è vincolata dalle determinazioni assunte dal primo giudice quanto ai “singoli segmenti – o passaggi di giudizio” che hanno concorso a determinare la pena finale”.
In tali casi, pertanto, l’unico elemento di confronto non può che essere rappresentato dalla pena finale, dal momento che è solo questa che “non deve essere superata” dal giudice del gravame: esattamente come non potrebbe comunque essere superata una pena determinata dal primo giudice in nnitius, anche se contra legem.
Le Sezioni Unite hanno pertanto affermato il principio di diritto che “non viola il divieto di reformatio in peius di cui all’art. 597 c.p.p., comma 3, il giudice di rinvio che, individuata la violazione più grave a norma dell’art. 81 cpv. c.p., in
conformità a quanto stabilito nella sentenza della Corte di cassazione, pronunciata su ricorso del solo imputato, apporti per uno dei reati in continuazione un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore”.
2.3 Tanto premesso, nella specie, il giudice del rinvio ha dichiarato di volersi conformare all’anzidetto principio, avendo affermato che “il divieto di reformatio in peius vincola questa Corte nel senso che non può essere irrogata una pena superiore a quella determinata dalla sentenza annullata, più favorevole rispetto a quella inflitta in primo grado. Tale limite però è l’unico atteso che l’assoluzione dal reato che è stato ritenuto più grave per la determinazione della pena per l’unico reato continuato, impone una rivalutazione delle circostanze e del giudizio di comparazione eventualmente effettuato, essendo mutati i termini di valutazione” (pag. 35).
Ora, se appare oramai consolidato e pacifico il principio secondo il quale il divieto di reformatio in peius – laddove sia stato accolto l’appello proposto dal solo imputato- è ostativo all’irrogazione di una sanzione finale uguale o superiore a quella comminata in primo grado, non altrettanto pacifica è la questione dell’applicabilità del divieto di reformatio in peius anche ai segmenti sanzionatori intermedi, in caso di reato continuato. In relazione, poi, alla specifica questione che viene qui in rilievo, vale a dire il limite imposto dall’art. 597 cod. proc. pen. al giudice del rinvio che, in ipotesi di reato continuato, sia stato chiamato a decidere a seguito di annullamento parziale di una sentenza di condanna (limitatamente alla condanna per il reato principale) e sia pervenuto ad una pronuncia assolutoria per il reato principale (così mutando il reato di riferimento per la pena base, poiché un reato “satellite” è divenuto reato “pilota”), si registrano pronunce dissonanti.
Costituisce principio già in passato affermato da questa Corte secondo cui una volta annullata dalla Corte di cassazione, su impugnazione del solo imputato, la sentenza di condanna per reato continuato limitatamente alla violazione più grave (nella specie per essere il reato prescritto), il giudice del rinvio non può lasciare inalterata, per il reato residuo, la pena irrogata per esso a titolo di continuazione, nel giudizio antecedente all’annullamento, ma deve rideterminarla secondo i criteri di cui all’art.133 cod. pen., commisurandola ai limiti edittali, pena la possibile irrogazione, in caso contrario, di una pena illegale, perché inferiore al minimo edittale (Sez. 1, 32621 del 16/06/2009, COGNOME, Rv244299-01; tra le tante, Sez. 6, n. 4162 del 07/11/2012, dep. 2013, Ancona, Rv. 254263; Sez. 5, n. 12136 del 02/12/2011, COGNOME, Rv. 252699; Sez. 4, n. 41585 del 04/11/2010, COGNOME, Rv. 248549; Sez. 6, n. 18301 del 11/05/2010, COGNOME, Rv. 247013; Sez. 1, n. 41310 del 07/10/2009, Huang, Rv. 245042). Il nucleo della tesi secondo la quale
è consentito al giudice procedere alla rideterminazione della pena per il nuovo reato più grave senza tenere conto di quella irrogata per lo stesso reato come satellite, è generalmente individuato nel dissolversi della sequenza sanzionatoria e dei relativi parametri di commisurazione, insiti nel fenomeno del reato continuato, sottolineandosi, al riguardo, come, in ipotesi di mutamento della fattispecie più grave, venga meno la stessa “unità ontologica della ritenuta continuazione, nella sua struttura costituita dal reato già individuato più grave e dai reati-satellite” (Sez. 6, n. 31266 del 16/06/2009, COGNOME, Rv. 244793). Si è anche aggiunto che lo “scioglimento della continuazione o del concorso formale, qualora determini la elisione della pena già fissata per il reato base, fa acquistare ai reati- satellite la loro autonomia, il che comporta che le pene devono essere nuovamente fissate per i singoli reati secondo la loro astratta previsione” (Sez. 1, n. 46533 del 11/10/2005, Pesce, Rv. 232980).
Specificamente, si è affermato, con principio che il Collegio condivide e ribadisce, che viola il divieto di “reformatio in pejus” la decisione del giudice d’appello che, in presenza di impugnazione del solo imputato avverso una sentenza di condanna pronunciata per più reati unificati dal vincolo della continuazione, pur dichiarando l’estinzione per prescrizione di taluni di essi, non diminuisce l’entità della pena originariamente inflitta. Con il necessario corollario che il risultato di mancata diminuzione della pena originaria non può essere conseguenza dell’aumento di un diverso, perdurante elemento della continuazione, che “si sostituisca”, con aggravata valenza sanzionatoria, a quello eliminato (Sez. 3, n. 38084 del 23/6/2009, COGNOME, Rv. 244961; Sez. 4, n. 47341 del 28/10/2005, COGNOME, Rv. 233177; Sez. 3, n. 20403 del 28/4/2005, COGNOME, Rv. 231837). Allo stesso modo si è affermato l’obbligo di diminuire la pena finale in caso di assoluzione per alcuni dei reati posti in continuazione (in tal senso, Sez. 2, n. 28042 del 5/4/2012, COGNOME, Rv. 253245).
Tanto premesso, quanto agli orientamenti più recenti, questa Corte ha affermato che nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della condanna per il reato più grave ritenuto in continuazione, il giudice, nel determinare la pena per il reato satellite, non è vincolato alla quantificazione già effettuata in termini di aumento ex art. 81, comma secondo, cod. pen., ma, per il divieto di “reformatio in peius”, non può irrogare per il reato residuo ritenuto più grave una pena più grave, per specie e quantità, di quella base stabilita nel provvedimento di condanna annullato, quale base per il computo degli aumenti a titolo di continuazione, purché superiore al minimo edittale previsto per tale reato satellite, configurandosi altrimenti un’ipotesi di pena illegale (Sez. 5, 19.5.2005, n.22134, COGNOME, RV. 232153; Sez. 6, n. 4162 del 07/11/2012, dep. 2013, Ancona ed
altri, Rv. 254263 – 01; Sez. 2, n. 5502 del 22/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258263 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 2692 del 09/12/2022, dep. 2023, Rv. 284301 – 01; Sez. 4, 7/03/2023, Rv.31435 -1; Sez. 4, Sentenza n. 9176 del 31/01/2024, Rv. 285873 – 01), ritenendo che non incorre nella violazione denunciata ove venga inflitta, sulla scorta dell’indicazione di precipui indici di cui all’art.133 cod. pen per il nuovo reato ritenuto più grave la medesima pena che era stata determinata, quale pena base, per il precedente reato poi dichiarato prescritto.
Le pronunce di questa Corte hanno riaffermato il medesimo principio, ritenendo non violato il divieto in caso di determinazione della pena base per il reato satellite divenuto più grave in misura inferiore rispetto al reato più grave per il quale era intervenuta la assoluzione, apportando per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Sez. 2, Sentenza n. 48538 del 21/10/2022, Rv. 284214 – 01).
Da ultimo richiama le Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, Rv. 258653-01, la sentenza Sez. 2, n. 16524 del 03/03/2022, Rv. 283075 – 01, che ha affermato il principio di diritto così massimato: “non viola il divieto di “reformatio in peius” previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore” (In senso conforme Sez. 5, n. 16542 del 25/03/2005, COGNOME, Rv. 231701-01; Sez. 1, n. 46533 del 11/10/2005, COGNOME, Rv. 232980-01; Sez. 6, n. 15890 del 03/12/2013, COGNOME, Rv. 261528-01; Sez. 2, n. 29017 del 20/06/2014, COGNOME, Rv. 260099-01; Sez. 2, n. 50949 del 10/10/2017, PG in proc. COGNOME, Rv. 271376-01; 5 Sez. 1, n. 26645 del 10/04/2019, COGNOME, Rv.276196-01). Secondo tale orientamento ermeneutico, dunque, non ricorre alcuna violazione del disposto dell’art. 597 cod. proc. pen. nel caso in cui il giudice applichi per il reato ritenuto più grave la pena pecuniaria che non era stata irrogata in primo grado, in quanto non prevista dalla legge per il reato individuato da quel giudice come più grave, ma ritenuto insussistente in appello; né tale violazione sussiste se il giudice d’appello apporta, per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso, un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Sez. 6, n. 15890 del 03/12/2013, Lleshji, Rv. 261528-01); o, ancora, nel caso in cui sia necessario rideterminare il trattamento sanzionatorio in applicazione della disciplina del reato continuato o per intervenuta modifica dei reati satelliti, ovvero
per una diversa individuazione del reato ritenuto più grave, e il giudice apporti per uno dei fatti unificati un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente superiore (Sez. 2, n. 29017 del 20/06/2014, COGNOME, Rv.260099- 01). Ne discende, nell’ambito dell’ermeneusi proposta da Sez. U., n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258653-01, che in tali casi l’unico elemento di confronto non può che essere rappresentato dalla “pena finale dal momento che è solo questa che non deve essere superata dal giudice del gravame”.
Nella specie, ricorre esattamente una novazione di carattere strutturale del meccanismo di unificazione in relazione al fenomeno della continuazione, con mutamento del titolo del reato più grave e del trattamento sanzionatorio assunto come pena base, alla quale consegue l’impossibilità di sovrapporre la nuova dimensione strutturale a quella oggetto del precedente giudizio, giacché, ove così fosse, si introdurrebbe una regola di invarianza che, come evidenziato dalle Sez. U C., sarebbe priva di qualsiasi logica giustificazione.
Quanto alla posizione dell’imputato NOME COGNOME la Corte del rinvio, fermo il limite di pena di anni dieci mesi due e giorni venti di reclusione (pena inflitta dalla sentenza di primo grado), previa esclusione dell’aggravante di cui all’art.416 bis 1, cod. pen. in relazione ai capi 2-3-4-5-6 e 23 e, limitatamente all’essere stato il fatto commesso da appartenenti ad associazione mafiosa o al fine di agevolare e rafforzare l’associazione mafiosa di appartenenza in relazione al capo 31, ha individuato il reato più grave in quello di cui al capo 31 (art.629, comma 1 e 2, in relazione al 628 co.3, n.1, e 416 bis 1 cod. pen.), di estorsione aggravata dall’uso delle armi e dal metodo mafioso, e ferme tali aggravanti, indicando, quale pena base, quella prevista per il reato di estorsione semplice, aumentata ai sensi dell’art.416 bis 1 cod. pen. (aggravante non bilanciabile), da un terzo alla metà (da anni 6 e mesi 8 ad anni 15 di reclusione e da euro 1.333,33 a euro 6.000 di multa),ha determinato la pena base, comprensiva della aggravante di cui all’art.416 bis 1 cod. pen. in misura di poco superiore al minimo edittale, pari ad anni 9 mesi 6 di reclusione e euro 2.100 di multa.
Per il resto, la Corte del rinvio ha mantenuto il giudizio di bilanciamento in termini di prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva e sull’aggravante dell’uso delle armi per il comportamento tenuto, già valorizzato a tal fine dal primo giudice, fermo restando il già ritenuto vincolo della continuazione; ha eliminato l’aumento a titolo di continuazione per il capo 31, in quanto reato più grave, e quanto alle aggravanti ad effetto speciale, ha rimarcato la non bilanciabilità della aggravante di cui all’art.416 bis 1 cod. pen., ai sensi del comma secondo della stessa disposizione normativa, richiamando la giurisprudenza di questa Corte in
caso di concorso di aggravanti tra le quali alcune bilanciabili (uso dell’arma) e altre non bilanciabili.
La pena veniva ridotta per le attenuanti generiche prevalenti ad anni 6 mesi 4 di reclusione ed euro 1.400,0 di multa, confermando l’aumento a titolo di continuazione per i reati satellite determinato dal GUP, aggiungendo la multa prevista per la violazione più grave, con aumento per il capo 2 di mesi 11 di reclusione, e, quindi, determinando la pena complessiva in anni 9 mesi 2 e giorni 20 di reclusione ed euro 2.500,00 di multa.
La pena base comprensiva della contestata aggravante di cui all’art.416 bis.1 cod. pen. non viola, dunque, il divieto di reformatio in peius, in quanto non superiore né alla pena base di anni dieci di reclusione, come determinata per il reato più grave nella sentenza di primo grado, né alla pena complessivamente determinata in detta sentenza.
La Corte territoriale spiega il discostamento dal minimo edittale sulla base dei criteri di cui all’art.133 cod. pen., anche tenendo conto del diverso ruolo del Marchio rispetto al Vallelonga, per la estrema gravità del fatto (estorsione correlata ad un prestito della somma di euro 500.000,00, ad un tasso usurario del 2% di interessi mensili, prestito che lievitò ad un milione di euro), per le minacce per la mancata restituzione (culminate, nell’agosto 2017, nel prelievo forzoso della parte offesa COGNOME, condotta all’interno di un capannone e minacciata con una pistola alla testa, pistola prelevata dal ricorrente e consegnata al Vallelonga), per il collegamento del fatto al traffico illecito di rifiuti, per l’entità del danno subi dalla persona offesa, che seppure denunciò il fatto continuò a pagare, per l’intensità del dolo, per la negativa valutazione della personalità del ricorrente, per la sua totale adesione alle logiche criminali della famiglia di cui si vanta nelle conversazioni con la fidanzata come anche dei violenti pestaggi per motivi banali.
Quanto alla posizione dell’imputato NOME COGNOME, la Corte del rinvio, fermo il limite di pena di anni dodici di reclusione (pena inflitta dalla sentenza di primo grado), individuando il reato più grave in quello di cui al capo 31 (art.629, comma 1 e 2, in relazione al 628 co.3, n.1, e 416 bis.1 cod. pen.), estorsione aggravata dall’uso delle armi e dal metodo mafioso, ritenuto più grave, rispetto alle due precedenti condanne riportate per reati di cui all’art.416 bis, comma 4, cod. pen. (pena da 12 a 20 anni), riuniti in continuazione al presente processo, eliminando l’aumento a tiolo di continuazione per il capo 31, costituente reato più grave, ferme le aggravanti dell’uso delle armi e del metodo mafioso, ha individuato la pena base in riferimento al reato di estorsione aggravata ex art.629, comma 2, cod. pen. (uso delle armi), in anni dieci di reclusione ed euro 9.000,00 di multa, pena che non viola il divieto di reformatio in peius in quanto inferiore a
quella di anni dodici di reclusione (aumentata per la recidiva ad anni 16 di reclusione e per le aggravanti ad anni 17 di reclusione) di cui alla sentenza annullata.
La Corte del rinvio ha, poi, applicato l’art.63, comma 4, cod. pen., aumentando la pena ex art.416 bis.1 cod. pen. (metodo mafioso), ad anni 13 e mesi quattro di reclusione ed euro 12.000,00 di multa, nella misura massima di un terzo per la protrazione di una condotta impregnata della subcultura mafiosa di riferimento, dalla quale l’imputato non ha dato prova di sapersi né volersi affrancare, ritenendo congrui gli aumenti a titolo di continuazione stabiliti dal GUP, aggiungendo la multa per la violazione più grave e rideterminando la pena per la esclusione della aggravante di cui all’art.416 bis.1 cod. pen. per gli altri reati satellite.
Quanto alla continuazione esterna, la Corte di merito ha applicato, come già determinato dalla sentenza “Infinito”, l’aumento di anni due di reclusione a titolo di continuazione con la condanna nel processo denominato “la Notte dei Fiori di San Vito”, cui ha aggiunto la multa di euro 4.000,00, prima quantificato in anni 6 di reclusione ridotti ad anni 4 di reclusione per il rito, lasciando immutata la pena da porre in continuazione per l’associazione mafiosa, pena cui si aggiunge la multa di euro 8.000,00, ritenuta congrua della Corte del rinvio tenuto conto della condotta accertata in quel processo, del ruolo rivestito, delle doti di cui l’imputato era in possesso, della vicinanza a NOME COGNOME, capo della locale di appartenenza e direttamente coinvolto nella individuazione del successore di NOME COGNOME giungendo ad una pena complessiva di anni 22 mesi 9 giorni 10 di reclusione ed euro 22.640,00 di multa.
Con motivazione congrua ed immune da vizi, la Corte ha spiegato il discostamento dal minimo edittale nel determinare la pena base in considerazione non solo della natura e gravità del reato commesso, ma anche delle modalità e del contesto complessivo in cui l’imputato si è inserito, della intensità del dolo resa evidente dalla commissione dei fatti mentre era sottoposto alla sorveglianza speciale e nonostante le condanne già subite, con protrazione dei comportamenti criminali già ampiamente sperimentati in passato, senza che le precedenti condanne abbiano sortito alcun effetto deterrente.
Quanto alla posizione dell’imputato NOME COGNOME la Corte territoriale, fermo il limite di pena di anni 8 mesi 6 giorni 20 di reclusione di cui alla sentenza di primo grado, individuando il reato più grave in quello di cui al capo 25 (629, co.1 e 2, cod. pen., in riferimento all’art.628 co.3 n.1 e 3, 416 bis 1, cod. pen.) di estorsione aggravata dall’uso delle armi e dal metodo mafioso, eliminando l’aumento a tiolo di continuazione per il capo 25, costituente reato più grave, ferme
le aggravanti dell’uso delle armi e del metodo mafioso, ha individuato la pena base in quella prevista per il reato di estorsione aggravata ex comma 2 dell’art.629 cod. pen. (uso delle armi), ha applicato l’art.63, comma 4, cod. pen., aumentando la pena ex art.416 bis 1 cod. pen. (metodo mafioso), giungendo ad una pena di anni 9 di reclusione ed euro 1.700,00 di multa, che non viola il divieto di reformatio in peius in quanto inferiore a quella di anni dieci di reclusione di cui alla sentenza annullata.
Quanto agli aumenti a titolo di continuazione, la Corte di appello ha ritenuto congrui quelli stabiliti dal GUP in mesi 8 di reclusione per ciascun reato in continuazione, determinando la pena finale in anni 7 mesi 4 di reclusione ed euro 2.200,00 di multa, già ridotta per il rito.
Con motivazione congrua ed immune da vizi di illogicità e da censure, la Corte di merito ha spiegato il discostamento dal minimo edittale in considerazione del pieno inserimento dell’imputato nelle logiche criminali appartenenti al Vallelonga e ad altri esponenti di spicco della criminalità organizzata, quale uomo di fiducia del Vallellonga, la piena adesione alla subcultura criminale della ‘ndrangheta, dalla quale l’imputato non ha inteso affrancarsi ma che ha fatto propria, nonché la modalità e circostanze dei gravi reati di usura ed estorsione e la autonoma commissione del reato di usura di cui al capo 26 in cui Valsecchi si sostituisce al Vallelonga nel praticare interessi a tasso usurario, la disponibilità di armi.
Il secondo motivo di ricorso del Vallelonga è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
L’annullamento disposto dalla sentenza di questa Corte in data 14.6.2023 ha, invero, riguardato l’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 cod. pen. limitatamente alla contestazione nella forma dell’agevolazione mafiosa di cui al capo 1) o dell’avere posto in essere la violenza o minaccia quale appartenente dell’associazione mafiosa, avendo la sentenza rescindente espressamente precisato che “la sussistenza dell’aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso non è invece revocabile in dubbio” (cfr. pag. 42 sentenza rescindente). Di qui l’inammissibilità della censura, posto che, per un verso, il giudice del rinvio, nel rideterminare il trattamento sanzionatorio, ha escluso l’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 cod. pen. limitatamente alla contestazione nella forma dell’agevolazione mafiosa di cui al capo 1) e dell’avere posto in essere la violenza o minaccia quale appartenente dell’associazione mafiosa e, per altro verso, non può essere nuovamente posta in discussione l’aggravante del metodo mafioso, orami coperta da giudicato.
4. Il primo motivo di ricorso del COGNOME è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il motivo non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito
che sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. U, n. 10713
del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931). Le conclusioni ragionate e argomentate del giudice del merito sul diniego delle circostanze attenuanti che richiamano
l’assenza di elementi positivamente valutabili, l’irrilevanza dello stato di incensuratezza e della intervenuta assoluzione per il reato di cui al capo 1, la
spiccata pericolosità sociale desumibile dal contenuto delle conversazioni intercettate, il pieno inserimento nelle logiche criminali appartenenti al Vallelonga
e ad altri esponenti di spicco della criminalità organizzata, quale uomo di fiducia del Vallellonga, ritenute indicative di una piena adesione alla subcultura criminale
della ‘ndrangheta dalla quale l’imputato non ha inteso affrancarsi ma che ha fatto propria, nonché le modalità e circostanze dei gravi reati di usura ed estorsione e
la autonoma commissione del reato di usura di cui al capo 26 in cui COGNOME si sostituisce al COGNOME nel praticare interessi a tasso usurario, la disponibilità di armi che emerge dal contenuto delle intercettazioni, sono congrue ed immuni da vizi di illogicità.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 12/12/2024.