Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15734 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15734 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
NOME NOMECOGNOME nato a Imola il 21/03/1964
Avverso la sentenza emessa in data 18/04/2024 dalla Corte di Appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla valutazione relativa all’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen., ed il rigetto del ricorso nel resto
RITENUTO IN FATTO
lì
Con sentenza del 18/04/2024, la Corte d’Appello di Bologna ha parzialmente riformato la sentenza di condanna alla pena di giustizia emessa dal Tribunale di Bologna, in data 23/09/2021, nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME in relazione ai delitti di dichiarazione fraudolenta (capi A e B) e omessa dichiarazione (capo C, limitatamente alla condotta relativa all’I.V.A. 2013), a lui ascritti – come meglio specificato in rubrica – quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE nonché del reato di emissione di fatture per operazioni
inesistenti, contestato allo RAGIONE_SOCIALE nella qualità di amministratore unico delle società indicate al it -a -p -d capo D). Il Tribunale aveva invece assolto lo RAGIONE_SOCIALE dall’imputazione sub C) relativamente alle condotte relative all’IRES e all’IVA dell’anno di imposta 2012, disponendo la confisca diretta nei confronti della società e, ove necessario, per equivalente nei confronti dell’imputato, fino alla concorrenza dell’importo di Euro 130.259,56.
In particolare, la Corte d’Appello ha dichiarato non doversi procedere, nei confronti dello COGNOME, in ordine ai reati di cui ai capi A), B) e D) perché estinti per intervenuta prescrizione, rideterminando conseguentemente le pene principali ed accessorie di cui al capo C) limitatamente all’annualità 2013, e revocando la confisca per equivalente in relazione alle annualità prescritte.
Ricorre per cassazione lo COGNOME a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge con riferimento alla condanna (e alla confisca per equivalente) anche per l’omessa dichiarazione ai fini IRES relativa all’anno 2013, laddove la sentenza di primo grado aveva limitato la decisione di condanna, per il reato di cui al capo C), alla sola omessa dichiarazione ai fini IVA per l’anno 2013. Si evidenzia la violazione del divieto di reformatio in peius, alla luce del dispositivo della sentenza di primo grado (non impugnata dall’accusa) e della esplicita affermazione di responsabilità, da parte della Corte territoriale, anche quanto alla omessa dichiarazione ai fini IRES.
2.2. Omessa motivazione sul motivo di appello concernente la mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla questione dell’applicabilità dell’art. 131-bis, ed il rigetto del ricorso nel resto, riten infondata la censura relativa al divieto di reformatio in peius.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato nei sensi e nei limiti qui di seguito esposti.
Con il primo motivo, la difesa ha lamentato una violazione del divieto di reformatio in peius sostenendo che, in appello, vi sarebbe stata condanna per il reato di omessa dichiarazione per il 2013 di cui al capo C) con riferimento sia alla dichiarazione ai fini IRES sia a quella ai fini IVA, mentre la sentenza di primo grado aveva affermato la responsabilità dello COGNOME, quanto all’annualità 2013, limitatamente alla dichiarazione ai fini IVA.
L’assunto è infondato.
2.1. La giurisprudenza di questa Suprema Corte è del tutto costante nell’affermare che «il divieto di reformatio in peius riguarda esclusivamente il dispositivo della sentenza e il suo concreto contenuto afflittivo, ma non la motivazione, che può contenere una valutazione più grave della violazione commessa sia in termini fattuali che giuridici» (così da ultimo Sez. 3, n. 25585 del 10/02/2023, COGNOME, Rv. 284694 – 01. In senso conforme, tra le altre, cfr. Sez. 3, n. 3070 del 08/09/2016, dep. 2017, Bona, Rv. 268893 – 01).
In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, la valutazione della fondatezza della censura difensiva non può che radicarsi sul confronto tra i dispositivi delle sentenze di primo e di secondo grado, con particolare riguardo all’imputazione di omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini IVA ed IRES per gli anni di imposta 2012 e 2013, contestata al capo C) allo RAGIONE_SOCIALE nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE (cfr. il capo di imputazione allegato alla sentenza di primo grado, da cui emerge tra l’altro che, all’udienza del 28/02/2018, il P.M. aveva modificato il capo di accusa rideterminando l’importo delle imposte evase, con riferimento ad entrambe le dichiarazioni).
In particolare, il Tribunale di Bologna, con la sentenza del 23/09/2021, aveva dichiarato lo COGNOME “colpevole dei delitti ascrittigli, quanto a quello di cui al capo C) soltanto in relazione alla condotta relativa all’IVA dell’esercizio 2013” mentre lo aveva assolto “dal delitto contestatogli al capo C), limitatamente alle condotte relative all’IRES ed all’IVA dell’esercizio 2012, perché il fatto non sussiste”. Il Tribunale, per quanto qui interessa, aveva altresì disposto la confisca diretta dei beni della RAGIONE_SOCIALE ovvero, in mancanza, quella per equivalente dei beni dell’imputato “fino alla complessiva concorrenza con il valore di Euro 130.259,26”.
La Corte d’Appello felsinea ha riformato la decisione di primo grado emettendo il seguente dispositivo: “dichiara non doversi procedere nei confronti dell’appellante COGNOME NOME in ordine ai reati di cui ai capi A, B e D, e per l’effetto ridetermina la pena in ordine al reato si cui al capo C limitatamente all’annualità 2013, concesse le attenuanti generiche, in anni uno di reclusione. Riduce la durata delle pene accessorie temporanee alla durata della pena principale. Revoca la confisca per equivalente in relazione alle annualità prescritte. Conferma nel resto”.
2.2. Il confronto tra i dispositivi consente di escludere la sussistenza della denunciata violazione del divieto di reformatio.
Emerge infatti in termini assolutamente inequivoci, dal dispositivo del Tribunale, che lo COGNOME era stato condannato in primo grado, quanto al capo C), esclusivamente in relazione alla dichiarazione IVA per l’anno 2013, con
la sua contestuale assoluzione per insussistenza del fatto quanto alla residua imputazione contenuta in quel capo (dichiarazioni IRES 2012 e 2013, dichiarazione IVA 2012).
Partendo da tale inequivocabile presupposto, il dispositivo della sentenza con cui la Corte territoriale, nel dichiarare prescritti i reati sub A, B e D, rideterminato la pena per il residuo reato di cui al capo C, confermando “nel resto”, non può che essere inteso nel senso che la statuizione di condanna, oggetto di conferma, va individuato nella sola omessa dichiarazione IVA per l’anno 2013. Va pertanto considerata priva di concreto rilievo, sulla scorta dell’insegnamento giurisprudenziale in precedenza richiamato, l’affermazione di responsabilità dello SGALABERNA, contenuta nella parte motiva della decisione impugnata, anche per l’omessa dichiarazione ai fini IRES (affermazione del resto priva di conseguenze sul piano sanzionatorio, non essendo stato rideterminato alcun aumento a titolo di continuazione, che pure era stata espressamente contestata).
2.3. Le considerazioni fin qui svolte impongono peraltro un intervento di questa Suprema Corte con riferimento alla confisca, il cui importo era stato oggetto di specifica censura da parte del ricorrente.
Invero, l’assoluzione dello COGNOME sin dal primo grado per la residua imputazione sub C), e la declaratoria di estinzione per prescrizione – con revoca della confisca – quanto agli ulteriori reati sub A), B) e D), pronunciata in appello, non possono che imporre una riduzione della confisca, diretta e per equivalente, fino alla concorrenza dell’imposta evasa con l’omessa dichiarazione IVA per l’anno 2013.
A tale rideterminazione, previo annullamento senza rinvio della sentenza in parte qua, può procedere direttamente questa Suprema Corte, essendo tale importo stato quantificato dal P.M. in sede di modifica dell’imputazione, e confermato dal giudice di merito (cfr. pag. 4 della sentenza di primo grado), in Euro 56.236,00.
La residua censura, concernente il difetto di motivazione sulla richiesta di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., è priva di fondamento.
Risulta invero applicabile, nella fattispecie in esame, il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, secondo cui «non è censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente in relazione a una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza» (Sez. 4, n. 5396 del 15/11/2022, dep. 2023, Lakrafy Rv. 284096 – 01).
Viene in rilievo, a tale specifico proposito, la concorde valutazione dei giudici di merito in ordine all’emersione di “un meccanismo eretto a sistema architettato da un’unica mano imprenditoriale, quella di SGALABERNA, in forza del quale
l’attività della RAGIONE_SOCIALE – società (effettivamente) operante nel settore dei servizi di pulizia, amministrata dall’imputato nel periodo di interesse – era
‘supportataida una serie di compagini, a vario titolo riconducibili al (ed orchestrate dal) medesimo imputato, alle quali era riservato il precipuo compito di ‘produrre’,
per la società ‘madre’, costi fittizi, funzionali a consentire di coltivare – su basi collaudata sistematicità – pratiche di evasione fiscale” (cfr. pag. 2 della sentenza
impugnata, che riproduce alla lettera le valutazioni espresse dal giudice di primo grado).
Appare superfluo soffermarsi sulla radicale incompatibilità di tale complessiva ricostruzione della condotta dello COGNOME con l’ipotesi della particolare
tenuità di cui all’art. 131-bis cod. pen.: deve quindi ritenersi del tutto irrilevan alla luce dei principi giurisprudenziali prima ricordati, la mancanza di un’espressa
reiezione del corrispondente motivo di appello. Né a diverse conclusioni potrebbe condurre il rilievo per cui la valutazione di marcata gravità del sistema delineato
dallo COGNOME è stata espressa, dai giudici di merito, valorizzando anche le condotte criminose per cui vi era stata condanna in primo grado, ma declaratoria
di prescrizione in appello. Si è invero chiarito, nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, che «in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ai fini della valutazione del presupposto ostativo del comportamento abituale, ai sensi dell’art. 131-bis, comma terzo, cod. pen., rilevano i reati della stessa indole dichiarati prescritti nell’ambito dello stesso procedimento, posto che l’estinzione del reato per prescrizione non elide ogni effetto penale della sentenza» (Sez. 3, n. 32857 del 12/07/2022, COGNOME, Rv. 283486 – 01).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sulla confisca relativa al residuo reato di cui al capo C), confisca che ridetermina in Euro 52.236.00. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 11 marzo 2025
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