Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43416 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43416 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Palermo avverso la sentenza del 16/01/2024 della Corte d’appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME AVV_NOTAIO; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che sia disposta la rettific:a dell’importo della pena pecuniaria, rigettando per il resto il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Palermo confermava la condanna in primo grado di NOME COGNOME, mitigando tuttavia la pena inflitta all’imputato a seguito della condanna in primo grado per i reati di cui agli arte. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo 1); 648 cod. pen. (capo 4);
23, comma 3, I. 110 del 1975 (capo 3).
Avverso la sentenza ha presentato ricorso NOME COGNOME, presentando, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, tre motivi.
2.1. Vizio di motivazione con riferimento alle contestazioni dei capi 1) e 2).
Posto che fu COGNOME ad indicare alla polizia giudiziaria la cantina dove si trovava la sostanza stupefacente, i Giudici di merito hanno trascurato di considerare che le dichiarazioni provenienti dall’imputato, se sollecitate, sono sempre inutilizzabili.
Peraltro, la Corte di appello non ha risposto alla deduzione per cui il semplice possesso delle chiavi del portone di ingresso ad un parcheggio condominiale in cui si trovano diversi box non dimostra in alcun modo che COGNOME avesse la disponibilità esclusiva e autonoma anche delle cose contenute all’interno di uno di essi, tanto più che la giurisprudenza di questa Corte, in materia di armi, esige la prova della relazione stabile con il soggetto e che, quanto alle sostanze stupefacenti, distingue con precisione le ipotesi di concorso da quelle di mera connivenza.
2.2. Mancata dichiarazione della prescrizione del reato di ricettazione ed omessa motivazione.
Premesso che le denunce di furto delle armi risalgono al 10 agosto 2009 e al 10 novembre 2015, la Corte di appello ha richiamato la giurisprudenza secondo cui, in un’ottica di favor rei, il reato si ritiene consumato nel momento in cui il soggetto ha ricevuto la cosa e, quindi, in prossimità della data di commissione del reato presupposto.
Precisa, invero, che il reato presupposto non coincide soltanto con il furto ma anche con quello di cancellazione del numero di matricola abrasa, trascurando come fosse logico che, al momento della ricezione, la matricola delle armi fosse già abrasa: circostanza sulla cui base, d’altronde, i Giudici di secondo grado hanno fondato il dolo della ricettazione nell’imputato.
Deve, quindi, concludersi che la cancellazione fosse precedente alla ricezione delle armi, con la conseguenza che il reato deve ritenersi prescritto.
2.3. Violazione dell’art. 597, commi 3 e 4, cod. proc. pen.
Sebbene i giudici dell’appello abbiano ridotto la pena detentiva, hanno aumentato quella pecuniaria, violando in tal modo il divieto di reformatio in peius di cui all’art. 597, commi 3 e 4, cod. proc. pen. e disattendendo l’insegnamento di Sez. 4, n. 7086 del 12/11/2020, dep. 2021, Mambrini, Rv. 280947.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato e, come tale inammissibile.
La deduzione relativa all’inutilizzabilità delle dichiarazioni “sollecitat all’imputato – formulata peraltro in modo incidentale e generico nel ricorso – è dedotta in questa sede per la prima volta e, dunque, inammissibile.
Quanto, poi, all’eccepita mancata dimostrazione della disponibilità autonoma ed esclusiva di armi e stupefacenti, la sentenza di secondo grado, nello “svolgimento in fatto”, ha precisato che, durante il servizio di sorveglianza dinamica volto al nnonitoraggio dell’imputato, questi era stato fermato alla guida di uno scooter sul quale veniva rinvenuto un involucro contenente 330 g di cocaina e un mazzo di chiavi, aggiungendo che «le operazioni di perquisizione erano quindi estese ai box ove l’imputato, spontaneamente, provvedeva a consegnare agli agenti le chiavi e ad indicare il garage di interesse, al cui interno» erano rinvenute le armi («quasi un arsenale») e droga (63 gr di cocaina e 16 kg di hashish).
Ancora più chiaramente, nella sentenza di primo grado era scritto che Fu l’imputato a condurre gli agenti presso il box e che tra questi ne indicava uno, (sicché gli agenti lo aprivano con le chiavi trovate nello scooter).
Premesso, allora, che, pur non essendo necessario che l’agente abbia sempre con sé o presso di sé l’arma abusivamente detenuta e anche in assenza di una prossimità fisica con il dispositivo, si richiede che questo sia custodito o mantenuto in un luogo dal quale l’agente possa prelevarlo, sia direttamente, che indirettamente, secondo le proprie autonome e libere determinazioni volitive (Sez. 1, n. 42886 del 20/12/2017, dep. 2018, Gasparro, Rv. 274380; Sez. F, i. 33609 del 30/08/2012, COGNOME, Rv. 253425. Di recente, anche Sez. 6, n. 2468 del 19/12/2023, Cichello, non mass., richiamata nel provvedimento impugnato), pochi dubbi residuano quanto alla disponibilità della merce contenuta nel box di cui l’imputato deteneva le chiavi e, di conseguenza, sulla configurabilità dei reati nel caso di specie: non ravvisandosi alcuna divergenza, se non meramente testuale, con il verbale allegato (in cui si precisa che l’imputato «si rese disponibile ad indicare tanto la chiave quanto la porta d’accesso del portone esterno che conduce ai box», specificando, dopo poche battute, che «tra le diverse cantine presenti COGNOME indicava la prima a sinistra»).
Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
I Giudici di merito hanno ravvisato gli elementi costitutivi di un unico delitto di ricettazione, riferito: sia alle tre armi con matricola abrasa – ritenendo, base ad un consolidato insegnamento giurisprudenziale di legittimità (tra le altre, Sez. 1, n. 37016 del 28/05/2019, Spina, Rv. 276868; Sez. 1, n. 39223 del 26/02/2014, Bonfiglio, Rv. 260347), che l’alterazione fosse chiaro sintomo della volontà di impedirne l’identificazione (oltre che della provenienza delittuosa) -, sia alle restanti due armi non clandestine, di accertata provenienza furtiva.
Tanto premesso, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte in relazione alle armi provenienti dai furti, ai fini del calcolo del termi di prescrizione relativo al reato di ricettazione, nell’ipotesi in cui manchi prov certa della data di acquisizione del bene da parte dell’imputato, il momento consumativo del reato deve essere individuato, in applicazione del principio del favor rei, in prossimità della data di commissione del reato presupposto. Sez. 2, n. 44322 del 15/10/2021, Ceglia, Rv. 282307; Sez. 2, n. 31946 del 09/06/2016, Minutella, Rv. 267480), sempre che si tratti di incertezza assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull’inizio del termine di prescrizione, perché non sia possibile eliminare tale incertezza, anche attraverso deduzioni logiche (Sez. 3, n. 7245 del 12/01/2024, Gueye, Rv. 285953).
Ebbene, in disparte l’astratta configurabilità dell’ipotesi di “occultamento” (di tutte e cinque le armi) come condotta ad esecuzione prolungata, nel caso di specie, quantomeno in relazione alle due armi provenienti da furto, è possibile fare riferimento alle date delle denunce dei furti, sporte nel 2009 e 2010, e ritenere, dunque, in favor rei, che a partire da tali date cominci a decorrere il termine per l’estinzione del reato.
Pertanto, preso atto del fatto che i Giudici di merito hanno ritenuto in sentenza la recidiva reiterata infraquinquennale dell’imputato (art. 99, comma 4, cod. pen.), il reato non sarebbe prescritto.
Di conseguenza, il secondo motivo deve essere rigettato.
3. Il terzo motivo è, invece, fondato, sebbene nei termini e per le ragioni di seguito indicate.
Vero è che la sentenza del Tribunale condannava l’imputato a 14 anni di reclusione e 60.000 euro di multa. Vero è pure che il dispositivo della sentenza di secondo grado, che accoglie l’appello solo in punto di mitigazione della pena, riduce quest’ultima a tredici anni e quattro mesi, disponendo una multa di 80.000 euro, e quindi superiore a quella irrogata in primo grado.
Tuttavia, piuttosto che di reformatio in peius, si è trattato, nel caso di specie, di errore materiale, come si evince dal fatto che, nella motivazione del
provvedimento impugnato, a seguito della compiuta spiegazione del computo, viene indicata la somma, corretta, ammontante a 53.333,00 euro.
Errore cui è possibile porre rimedio in questa sede, rideterminando la multa nella misura corretta, ovvero in 53.333,00 euro.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena pecuniaria che ridetermina in euro 53.333,00. Rigetta il ricor o nel resto. Così deciso il 23/10/2024