Reformatio in Peius: Quando la Riqualificazione del Reato Giustifica una Pena Diversa
Il principio del divieto di reformatio in peius rappresenta una garanzia fondamentale nel processo penale: se solo l’imputato impugna una sentenza, la sua posizione non può essere peggiorata nel giudizio successivo. Tuttavia, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30506/2024, chiarisce un importante limite a tale principio, specialmente nei casi di riqualificazione del reato in una fattispecie meno grave. Analizziamo insieme questa decisione per comprenderne la portata e le implicazioni pratiche.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine da una condanna per illecita detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. La Corte d’Appello aveva confermato la sentenza di primo grado, la quale aveva già operato una riqualificazione del fatto, facendolo rientrare nell’ipotesi lieve prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990.
Nonostante la conferma della condanna, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali: un vizio di motivazione sulla dosimetria della pena, fissata in misura superiore al minimo edittale, e la presunta violazione del divieto di reformatio in peius.
I Motivi del Ricorso: Pena e Attenuanti nel Mirino
Il ricorrente lamentava che i giudici di merito non avessero giustificato adeguatamente la scelta di una pena superiore al minimo. Soprattutto, contestava il fatto che i giudici d’appello non avessero applicato la diminuzione per le attenuanti generiche nella massima estensione possibile, come invece era stato fatto in primo grado, configurando a suo dire un peggioramento illegittimo della sua posizione.
La Decisione della Cassazione: Limiti del divieto di reformatio in peius
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, respingendo entrambe le censure. La decisione si articola su due pilastri fondamentali: la discrezionalità del giudice nella commisurazione della pena e l’interpretazione del divieto di reformatio in peius in caso di riqualificazione giuridica del fatto.
La Discrezionalità nella Dosimetria della Pena
In primo luogo, la Corte ha ribadito un principio consolidato: la graduazione della pena rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito. Per assolvere all’obbligo di motivazione, è sufficiente che il giudice dia conto dei criteri utilizzati, anche con espressioni sintetiche come “pena congrua” o “pena equa”, a meno che la pena non sia di gran lunga superiore alla media edittale. Nel caso di specie, la pena finale (tre anni e nove mesi di reclusione) era ampiamente al di sotto del medio edittale. Inoltre, la Corte territoriale aveva correttamente evidenziato elementi di allarme, come la “stabile reiterazione delle condotte” e la “dedizione all’agire criminale”, che giustificavano una pena non minima.
Riqualificazione del Reato e Applicazione delle Attenuanti
Il punto cruciale della decisione riguarda la presunta violazione del divieto di reformatio in peius. La Cassazione ha affermato, richiamando precedenti conformi, che non si ha violazione di tale divieto quando il giudice d’appello, dopo aver riqualificato il fatto in un reato meno grave, applica per le circostanze attenuanti una diminuzione di pena proporzionalmente inferiore a quella del primo grado.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte si fonda su una logica giuridica precisa: la diversa qualificazione del reato comporta una diversa incidenza degli elementi circostanziali. In altre parole, quando un fatto viene inquadrato in una cornice normativa meno severa, anche il peso delle attenuanti deve essere ricalibrato all’interno di quel nuovo quadro. Non si tratta di un peggioramento della posizione dell’imputato, ma di un corretto adeguamento del trattamento sanzionatorio alla nuova e più favorevole qualificazione giuridica. Il giudice, quindi, non è vincolato a replicare meccanicamente la stessa entità di riduzione applicata in primo grado per un reato diverso e più grave. La Corte territoriale, nel caso specifico, aveva congruamente motivato anche la scelta di applicare le attenuanti in misura inferiore alla massima diminuzione possibile, rendendo la decisione immune da censure.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento pratico: la riqualificazione di un reato in una fattispecie più lieve può legittimamente portare a una diversa valutazione del peso delle circostanze attenuanti. L’imputato che beneficia di una riqualificazione favorevole in appello non può pretendere che le riduzioni di pena siano calcolate nella stessa misura del primo grado, poiché il punto di riferimento normativo è mutato. Questa decisione rafforza la discrezionalità motivata del giudice di merito e definisce con maggiore precisione i confini applicativi di una garanzia fondamentale come il divieto di reformatio in peius.
Il giudice d’appello viola il divieto di ‘reformatio in peius’ se, dopo aver riqualificato il reato in uno meno grave, applica una riduzione per le attenuanti inferiore a quella del primo grado?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non si ha violazione del divieto perché la diversa qualificazione giuridica del fatto comporta una diversa incidenza degli elementi circostanziali, giustificando una diminuzione di pena proporzionalmente differente.
Come deve motivare il giudice la determinazione di una pena superiore al minimo edittale?
È sufficiente che il giudice dia conto dei criteri dell’art. 133 cod. pen. con espressioni sintetiche come ‘pena congrua’ o facendo riferimento alla gravità del reato o alla capacità a delinquere. Una motivazione specifica e dettagliata è necessaria solo quando la pena è di gran lunga superiore alla misura media edittale.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (nel caso di specie, tremila euro) in favore della Cassa delle Ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30506 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30506 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/05/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
1. NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli indicata in epigrafe con la quale è stata confermata la sentenza di condanna pronunciata dal GUP presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in ordine al reato di illecita detenzione e spaccio di sostanza stupefacente, previa riqualificazione del fatto nella ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990.
L’esponente lamenta vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla dosimetria della pena, fissata in misura superiore al minimo edittale, e al divieto di reformatio in peius poiché il giudici d’appello non avevano applicato la diminuizione per le attenuanti generiche riconosciute in primo grado nella massima estensione.
2. Il ricorso è manifestamente infondato.
I giudici di merito hanno reso motivazione esaustiva congrua, non manifestamente illogica e pienamente rispettosa della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, secondo cui la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017 ,Rv. 271243;Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Rv. 245596 – 01). Nel caso di specie la pena finale irrogata, pari ad anni tre e mesi nove di reclusione ed euro 9.000 di multa è ampiamente al di sotto del medio edittale. Inoltre, la Corte territoriale sottolinea che le modalità dell’azione erano comunque allarmanti, in considerazione della stabile reiterazione delle condotte di cessione accertate nei confronti di una clientela fissa, seppur per quantitativi non rilevanti, denotanti una condotta non occasionale e improntata ad una dedizione all’agire criminale.
Quanto alla lamentata violazione del divieto di reformatio in peius, è stato più volte affermato da questa Corte il principio per cui nel giudizio di appello, non viola il divieto della “reformatio in peius” il giudice che, dopo aver riqualificato il fatto contestato in un reato meno grave, applica per le circostanze attenuanti generiche una diminuzione di pena proporzionalmente inferiore rispetto a quella praticata dal giudice della sentenza riformata, perché la diversa qualificazione giuridica del fatto comporta una diversa incidenza degli elementi circostanziali (Sez. 2, Sentenza n. 25739 del 09/05/2017 Ud. (dep. 23/05/2017), COGNOME, Rv. 270667 – 01; Sez. 5 – , Sentenza n. 19366 del 08/06/2020 Ud. (dep. 26/06/2020), COGNOME, Rv. 279107 – 01; Sez. 3 – , Sentenza n. 1124 del 25/11/2020 Ud. (dep. 13/01/2021 ), COGNOME, Rv. 280893 – 01). Va rilevato che anche l’applicazione delle attenuanti in misura inferiore alla diminuzione massima è congruamente motivata dalla Corte territoriale.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Co sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indi dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Am Così deciso in Roma, il 10 luglio 2024
Il C nSiglier estensore