Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1950 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1950 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a GELA il 16/05/1978
avverso la sentenza del 27/05/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratorev – NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le conclusioni scritte del difensore, Avv. NOME COGNOME che ha insistito nei motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Ivrea, emessa il 17 ottobre 2023, ha condannato il ricorrente per il reato di estorsione, così riqualificando il fatt originariamente contestato come rapina, commesso ai danni di un collaboratore di un medico odontoiatra, costretto con minaccia e violenza a consegnare la somma di 400 euro.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME deducendo:
1) violazione di legge ed, in particolare, del divieto di reformatio in peius di cui all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., avendo la Corte condannato l’imputato per un fatto più grave rispetto a quello originariamente contestato, prevedendo l’estorsione una pena pecuniaria edittale più alta di quella prevista per il reato di rapina.
La statuizione della Corte di appello, in quanto adottata a sorpresa, avrebbe violato le prerogative difensive;
2) violazione del principio di correlazione tra accusa contestata e sentenza, per effetto della diversa qualificazione giuridica del fatto come estorsione, per quanto osservato anche con il primo motivo e tenuto conto della impossibilità da parte dell’imputato di un pieno esercizio del diritto di difesa rispetto alla nuov contestazione;
3) violazione di legge e vizio della motivazione per non avere la Corte di appello ritenuto che la condotta integrasse il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, dal momento che, secondo quanto dichiarato da testimoni il cui apporto la sentenza avrebbe trascurato, il ricorrente aveva preteso dai medici la restituzione del danaro inerente ad una prestazione sanitaria ricevuta ma che egli riteneva non eseguita a regola d’arte;
4) violazione di legge quanto alla determinazione della pena pecuniaria, non avendo la Corte dato contezza dei criteri seguiti rispetto alla nuova definizione giuridica del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivi manifestamente infondati.
1. In ordine al secondo motivo di ricorso, che ha priorità logica e giuridica, deve ricordarsi il pacifico principio di diritto secondo il quale, in tema di correlazio tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, sicché l’indagine volta ad accertare l violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME; n (Sez. 2, n. 21089 del 29/03/2023, Rv. 284713; Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846).
Nel caso in esame, il fatto storico è rimasto immutato rispetto alla originaria contestazione di rapina, dal momento che nel capo di imputazione conformemente a quanto ritenuto dalla Corte di merito – risulta descritta la condotta minacciosa e violenta del ricorrente verso la vittima, l’indicazione delle generalità di quest’ultima, il profitto del reato e le circostanze di tempo e di luogo della condotta, commessa in Ciriè il 17 gennaio 2020.
L’unica, rilevata differenza tra l’accusa ed il fatto ritenuto in sentenza, consiste, come si legge nella motivazione del provvedimento impugnato, nell’avere la Corte di appello ritenuto che fosse stata esercitata dal ricorrente una minore costrizione fisica nei confronti della persona offesa, idonea a configurare il reato di estorsione in quanto non ineludibile come nella rapina, ma comunque idonea a determinare la vittima alla consegna del danaro per effetto della minaccia.
Di tal che, non si è avuta una trasformazione radicale dell’addebito che avrebbe posto il ricorrente nella impossibilità di difendersi.
A quest’ultimo proposito, peraltro, è bene sottolineare che, proprio in virtù della omogeneità nei tratti essenziali tra il fatto contestato e quello ritenuto i sentenza, la diversa definizione giuridica operata dalla Corte di appello era prevedibile da parte dell’imputato.
Infatti, l’attribuzione all’esito del giudizio di appello, pur in assenza di u richiesta del pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell’art. 111, secondo comma, Cost., e dell’art. 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, ali 26 -4434) ›
2. Anche il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello, qualificando il fatto come estorsione – in termini giuridicamente legittimi, secondo quanto rilevato a proposito del secondo motivo di ricorso – non ha modificato la pena inflitta dal Tribunale, sicché non vi è stata alcuna violazione del divieto di reformatio in peius siccome previsto dall’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., inerente, per quanto di interesse, alla sola determinazione della pena e non alla più grave qualificazione giuridica operata in sentenza (in questo senso, cfr. Sez. 3, n. 9457 del 19/01/2024, E., Rv. 286062). 3. Il terzo motivo è manifestamente infondato in quanto la sentenza impugnata, con valutazioni di merito non rivedibili in questa sede e solo in parte tenute in conto dal ricorrente, ha ritenuto che la richiesta di danaro dell’imputato non poggiasse su un diritto giuridicamente tutelabile, ma che egli, al contrario, avesse
pretestuosamente fatto leva sulle prestazioni sanitarie ricevute dallo studio medico al fine di ottenere somme non dovute.
E la pretestuosità della richiesta è stata ravvisata nel fatto che il ricorrente aveva giustificato la sua condotta aggressiva sostenendo, del tutto inverosimilmente, di avere avuto impiantato dai medici un microchip che permetteva alla polizia di controllarlo; su tale circostanza riferita dalla vittima, decisiva per la ricostruzion dell’elemento soggettivo, il ricorso sorvola.
Con riguardo al quarto motivo, il ricorrente non ha interesse ad una rivalutazione della sanzione pecuniaria in ragione della qualificazione del fatto in un reato più grave, dal momento che la Corte di appello non ha inasprito la pena inflitta dal Tribunale, determinata in relazione al meno grave reato di rapina e rimasta immutata.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso, il 18/12/2024.