Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11394 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11394 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Pocapaglia (Cn) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 1°/6/2023 della Corte di appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 1°/6/2023, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia emessa il 29/3/2022 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Asti, assolveva NOME COGNOME dal delitto di cui all’art. 440 cod. pen., perché il fatto non sussiste, e rideterminava in 300 euro di multa la pena per il delitto di cui all’art. 516 cod. pen.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo i seguenti motivi:
contraddittorietà della motivazione. La Corte di appello avrebbe ritenuto con argomento viziato che la carne trita di bovino fosse destinata alla commercializzazione: questo dato, infatti, non si ricaverebbe dalla informativa dei NAS, né dal fatto che il prodotto fosse stato datato. Ancora, dagli stessi atti di indagine non risulterebbe che il macinato fosse presente nel bancone della macelleria (diversamente dalla salsiccia di Bra), dunque in commercio, come peraltro desumibile dal quantitativo rinvenuto (2 chili), tale da rendere del tutto inverosimile che il prodotto fosse esposto e non, invece, conservato altrove in cella frigorifera;
la mancanza e l’illogicità della motivazione sono poi dedotte, ancora con riguardo al trito di bovino, quanto al profilo soggettivo del reato. Premesso che la società che gestisce la macelleria farebbe capo in misura uguale al ricorrente e alla signora NOME COGNOME, entrambi soci ed amministratori, oltre che presenti nel negozio al momento del sopralluogo, la sentenza non avrebbe considerato la possibilità che la preparazione della carne macinata fosse stata eseguita proprio dalla donna, sul posto la mattina dello stesso giorno. Ed allora, se non vi è prova certa che la preparazione del prodotto fosse stata curata dalla ricorrente, altrettanta incertezza riguarderebbe la consapevolezza che il prodotto stesso contenesse solfiti;
violazione del divieto di reformatio in peius con riguardo alla revoca della sospensione condizionale della pena. Il riconoscimento del beneficio sarebbe stato oggetto di ricorso per cassazione da parte del Pubblico Ministero, poi convertito in appello e dichiarato inammissibile dalla Corte di merito; questa, pertanto, non avrebbe potuto revocare il beneficio in questione, e la differente decisione costituirebbe violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta fondato limitatamente all’ultimo motivo.
Con riguardo ai primi due, in punto di responsabilità, il Collegio rileva che le questioni poste hanno già formato oggetto di gravame, e che la Corte di appello ha fornito sulle stesse una motivazione del tutto adeguata, aderente alle risultanze investigative e priva di illogicità manifeste; come tale, quindi, non censurabile.
4.1. In particolare, e con esclusivo riguardo alla carne trita di bovino (la salsiccia di Bra non forma motivo di ricorso), la sentenza ha evidenziato che la condotta contestata – aver posto in vendita sostanze alimentari non genuine – si desumeva, innanzitutto, dall’informativa dei Nas, nella quale si dava conto di “prodotto commercializzato”; ulteriore elemento valorizzato nelle sentenze, poi, è
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stata la data di preparazione, “in linea di principio non compatibile con una diversa destinazione del prodotto medesimo”, specie, peraltro, quando suscettibile di rapido deterioramento come la carne macinata. Infine, ma non per valenza logica, la pronuncia ha sottolineato che, in assenza di evidenze di segno contrario (non menzionate neppure nel ricorso), doveva per certo ritenersi che la merce, presente all’interno di un esercizio commerciale, fosse destinata alla vendita, anche perché di genere assolutamente compatibile con l’attività svolta presso l’esercizio medesimo.
4.2. Una motivazione che non cede alla prima censura, dunque, neppure laddove si introduce un argomento di puro merito, quindi inammissibile, come l’inverosimile presenza del macinato nel bancone, atteso il quantitativo complessivo di circa 2 kg.
Alle stesse conclusioni, poi, la Corte giunge anche sul secondo motivo che, ancora con riguardo alla carne trita di bovino, lamenta il vizio di motivazione quanto al profilo soggettivo del reato. La tesi secondo cui la preparazione del macinato sarebbe avvenuta per mano esclusiva della signora NOME COGNOME, infatti, non è ancorata ad alcun elemento di prova (eventualmente emerso nel processo e sottoposto ai Giudici), e – a riprova di ciò – è offerta nel ricorso come mera ipotesi (“Risultando ben possibile”), come tale irricevibile in questa sede.
5.1. Si aggiunga, peraltro, che la sentenza di appello ha riconosciuto il dolo del reato ancora con argomento solido e non censurabile, evidenziando la notevole quantità di solfiti rilevati, come tale incompatibile con un’eventuale involontarietà o inconsapevolezza del loro utilizzo, peraltro vietato nella carne trita in modo assoluto.
Il giudizio di responsabilità, pertanto, deve essere confermato, ed i relativi motivi di censura rigettati.
Risulta fondato, per contro, il terzo motivo di ricorso.
6.1. La sospensione condizionale della pena, concessa in primo grado, aveva costituito motivo di impugnazione – quale ricorso per cassazione – da parte della Procura della Repubblica (autrice anche di un atto di appello), che lamentava la misura della pena ed il vizio di motivazione quanto al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e, per l’appunto, in ordine al beneficio in esame.
6.2. Questo ricorso, poi convertito in appello, è stato tuttavia dichiarato inammissibile con la sentenza impugnata, nella sua interezza, cosicché la Corte di appello non avrebbe potuto procedere alla revoca della sospensione condizionale della pena, tradottasi dunque in una violazione del divieto di reformatio in peius di cui all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. La sentenza, pertanto, deve essere annullata senza rinvio su questo punto, con ripristino della sospensione
condizionale della pena ad opera di questa Corte, ai sensi dell’art. 620, l cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla revoca della sospensione condizionale della pena, beneficio che ripristina. Rigetta nel res ricorso.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2024
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