Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 16014 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 16014 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Giulianova il 10/02/1974 avverso la sentenza del 28/05/2024 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha confermato la decisione di condanna alla pena di mesi quattro di reclusione emessa nei confronti di NOME COGNOME per
il reato di minaccia aggravata ed ha eliminato i benefici della sospensione condizionale e della non menzione.
Avverso la citata sentenza d’appello ha proposto ricorso l’imputato, tramite il difensore di fiducia, deducendo un unico motivo con cui denuncia violazione del divieto di reformatio in peius in relazione alla revoca della sospensione condizionale della pena, poiché l’appello avverso la sentenza di primo grado, che aveva concesso i benefici, era stato proposto dal solo imputato.
La difesa richiama giurisprudenza di legittimità a sostegno della propria tesi e precisa che, in ogni caso, il ricorrente non risulta che sia stato mai condannato con sentenza definitiva.
Il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha chiesto l’inammissibilità del ricorso con requisitoria scritta.
3.1. La difesa dell’imputato ha depositato memoria in vista dell’udienza, con cui evidenzia l’errata prospettiva della requisitoria del Procuratore Generale, dal momento che non si tratterebbe di un caso di revoca obbligatoria dei benefici, in quanto la valutazione deve essere compiuta all’interno del processo che non si è ancora chiuso. Comunque, la Corte d’Appello non sarebbe il giudice competente a decidere, poiché tale potere spetterebbe al Tribunale che aveva disposto i benefici.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, relativo al trattamento sanzionatorio e, in particolare, al legittimità della revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, disposta ai sensi dell’art. 168, comma 3, cod. proc. pen. perché in violazione dell’art. 164, comma 4, cod. proc. pen., non è inammissibile bensì fondato, per le ragioni che si indicheranno di seguito.
Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perché il reato di cui all’art. 612 cod. pen., in relazione al quale l’imputato è stat condannato, è estinto per decorso del termine di prescrizione, maturato in data 9.10.2024, computati anche i periodi di sospensione come desunti dai verbali del processo in atti.
Rileva il Collegio che, in considerazione della non manifesta infondatezza dell’unico motivo dedotto dal ricorrente in punto di trattamento sanzionatorio illegale, il ricorso è idoneo – diversamente dai casi di inammissibilità per manifesta infondatezza delle censure – ad instaurare il rapporto di impugnazione, condizione che consente di rilevare d’ufficio ex art. 609, comma 2, cod. proc. pen. una causa
di non punibilità nelle more intervenuta, nel caso di specie costituita, appunto, dalla prescrizione del reato.
In assenza di elementi che rendano evidenti i presupposti per un proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. (secondo quanto è chiaramente evincibile dalla motivazione), deve accedersi ad una pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione.
2. Invero, e con specifico riguardo alla fattispecie in esame, deve evidenziarsi come costituisca espressione di un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità ritenere che l’obbligo di dichiarazione immediata di una causa di non punibilità determina l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna, ove sia nel frattempo maturato il termine di prescrizione del reato, pur quando con il ricorso per cassazione siano stati proposti esclusivamente motivi inerenti al trattamento sanzionatorio, anche se riferiti al solo beneficio della sospensione condizionale della pena, sempre che tali motivi non siano inammissibili, si intende (cfr. in diverse ipotesi di vizi del provvedimento afferenti al trattament sanzionatorio, Sez. 5, n. 43051 del 30/9/2010, Defraia, Rv. 249338; Sez. 2, n. 10515 del 12/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262568; Sez. 5, n. 2334 del 18/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266414; Sez. 5, n. 29225 del 04/06/2018, Triolo, Rv. 273370).
Difatti, solo l’inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 21 del 11/11/1994, dep. 1995, COGNOME, Rv. 199903; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, dep. 2001, COGNOME, Rv. 217266; Sez. U, n. 33542 del 27/6/2001, COGNOME, Rv. 219531; Sez. U, n. 23428 del 22/3/2005, COGNOME, Rv. 231164; Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818, in motivazione).
L’obbligo di dichiarare la prescrizione del reato ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. sussiste anche quando, con il ricorso per cassazione, siano state proposte plurime doglianze e risultino non inammissibili soltanto quelle inerenti al trattamento sanzionatorio (Sez. 2, n. 10515 del 12/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262568), oppure allorché sia stata proposta impugnazione del solo Pubblico ministero (cfr., Sez. 3, n. 5908 del 11/1/2023, Stabilini, Rv. 284084).
2.1. I principi richiamati si fondano sulla distinzione logico-giuridica concettuale tra l’istituto del giudicato e quello della preclusione processuale, quest’ultima direttamente collegata al principio di devoluzione, scolpito negli artt. 597, comma 1, e 609, comma 1, cod. proc. pen.
Il processo di c.d. “formazione progressiva del giudicato”, infatti, si determina, in caso di annullamento parziale della sentenza di condanna con rinvio, sui punti diversi da quelli suscettibili di autonoma considerazione e, tra questi, anzitutto il punto concernente la responsabilità dell’imputato (cfr., per la differenza tra capi e punti della sentenza, in processi anche cumulativi, da ultimo, le pronunce delle Sezioni Unite: Sez. U, n. 3423 del 29/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280261 e Sez. U, n. 6903 del 27/5/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268965).
In tale ipotesi, nel corso del giudizio di rinvio, è preclusa la sopravvenuta operatività delle cause di estinzione del reato (e tra queste, dunque, della prescrizione: cfr. Sez. 4, n. 1355 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278901; Sez. 4, n. 114 del 28/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274828; Sez. 1, n. 43710 del 24/9/2015, Catanese, Rv. 264815; Sez. 2, n. 44949 del 17/10/2013, Abenavoli, Rv. 257314).
Già le Sezioni Unite, inoltre, con la sentenza Sez. U, n. 4904 del 26/3/1997, Attinà, Rv. 207640, avevano chiarito che, qualora venga rimessa dalla Corte di cassazione al giudice di rinvio esclusivamente la questione relativa alla determinazione della pena, il giudicato (progressivo) formatosi sull’accertamento del reato e della responsabilità dell’imputato, con la definitività della decisione s tali parti, impedisce l’applicazione di cause estintive sopravvenute all’annullamento parziale.
La giurisprudenza successiva non ha messo in discussione tali principi, pur se ha ritagliato aree di eccezione, derivate da situazioni peculiari, in caso di dichiarazione di incostituzionalità della norma che ha concorso alla determinazione del tempo necessario a prescrivere (cfr., ad esempio, Sez. 6, n. 48832 del 25/10/2022, COGNOME, Rv. 284028; Sez. 4, n. 12640 del 6/2/2018, COGNOME, Rv. 272244).
Diversamente agisce, invece, il fenomeno della preclusione processuale, che non determina la formazione del “giudicato progressivo” per il solo fatto che l’impugnazione sia limitata a punti diversi da quelli inerenti al giudizio responsabilità o comunque sia ritenuta non affetta da una causa originaria di inammissibilità soltanto con riguardo a punti diversi da quelli inerenti al giudizio d responsabilità.
In tale differente situazione processuale, in cui viene in gioco il rapporto ancora in formazione tra l’impugnazione e il giudice di legittimità (e non già le conseguenze della decisione vincolante di rinvio di quest’ultimo sul giudizio, come conseguenza della statuizione sull’impugnazione), operano ordinariamente le eventuali cause di estinzione del reato riconosciute dal sistema processuale.
Venendo alle ragioni di non inammissibilità dell’unico motivo di ricorso proposto, che determinano, dunque, la prescrizione del reato, va evidenziato che la questione posta ha ad oggetto la denunciata violazione del divieto di reformatio in peius, con riguardo alla revoca della sospensione condizionale della pena da parte del giudice d’appello, ai sensi degli artt. 168, comma 3, e 164, comma 4, cod. proc. pen., nonostante l’appello avverso la sentenza di primo grado che aveva concesso i benefici fosse stato proposto dal solo imputato.
La Corte territoriale, visti i precedenti penali dell’imputato, ha revocato i beneficio, già concesso per due volte, come da annotazioni del certificato penale.
Il tema si connette ad una recente decisione delle Sezioni Unite – la sentenza Sez. U, n. 36460 del 30/5/2024, COGNOME, Rv. 287004 – con cui si è stabilito che è legittima la revoca, in sede esecutiva, della sospensione condizionale della pena disposta in violazione dell’art. 164, comma quarto, cod. pen., in presenza di una causa ostativa ignota al giudice di primo grado pur se nota a quello d’appello, non investito dell’impugnazione sul punto, essendo a quest’ultimo precluso il potere di revoca d’ufficio, in ossequio al principio devolutivo, e non avendo conseguentemente espresso alcuna valutazione in merito, neppure implicita.
Le Sezioni Unite hanno ricostruito gli ambiti di intersezione tra poteri officiosi del giudice d’appello e di quello dell’esecuzione, in relazione alla revoca della sospensione condizionale della pena in esame, qualificata come di natura non dichiarativa, a differenza delle ipotesi contemplate dall’art. 168, comma 1, nn. 1 e 2, cod. proc. pen. di revoca/decadenza obbligatoria (cfr. Sez. U, n. 37345 del 23/4/2015, COGNOME, Rv. 264381) ed hanno affermato il primato del principio di devoluzione dal punto di vista logico-processuale, nel contesto del giudizio di impugnazione, con riguardo al beneficio in esame, pur quando questo sia stato erroneamente concesso.
La sentenza COGNOME ha spiegato che il potere di revoca della sospensione condizionale erroneamente concessa, infatti, non può superare la valenza sistematica del principio di devoluzione, tanto che neppure si immagina ed ipotizza un problema di violazione del divieto di reformatio in peius: il giudice d’appello, nella prospettiva adottata dalla soluzione nomofilattica, può provvedere a revocare il beneficio solo se il punto della sentenza è stato impugnato (dal pubblico ministero, anzitutto, ma anche dall’imputato, si ipotizza).
Per giungere a tale affermazione, peraltro, la Corte ripercorre la storia degli orientamenti di legittimità sul tema, restituendo la corretta lettura dei princip contenuti nella risalente pronuncia del massimo collegio nomofilattico Sez. U, n. 7551 del 8/4/1998, COGNOME, Rv. 210798, le cui affermazioni erano state equivocate da buona parte delle sentenze che avevano dato origine alle diverse
tesi relative al contrasto sui poteri del giudice dell’esecuzione di revocare la sospensione condizionale concessa in violazione di legge.
Ed invece, già in quella pronuncia si era chiaramente presa posizione nel senso che, con riguardo alla revoca della sospensione condizionale da illegittimità originaria e non sopravvenuta (l’ipotesi in esame di cui all’art. 164, comma 4, cod. proc. pen.), il relativo provvedimento non è equiparabile a quello che dichiara una caducazione già avvenuta ope legis e non ha quindi un contenuto meramente ricognitivo.
Il principio generale rinvenibile nel nostro sistema processuale è che il giudice dell’impugnazione – il giudice d’appello, in particolare – si pronuncia ordinariamente nell’ambito della materia devoluta e, solo se la legge estende specificamente la sua zona cognitiva oltre i confini segnati dalla parte impugnante, egli può ampliare l’orizzonte decisorio al di fuori dei motivi proposti (cfr. par. 9 d Considerato in diritto della sentenza COGNOME).
Ma nel caso della statuizione sulla revoca della sospensione condizionale ai sensi dell’art. 168, comma 3, e 164, comma 4, cod. proc. pen. – sottolinea la sentenza COGNOME – non è possibile rilevare alcuna volontà legislativa in tal senso; né sono utili all’ampliamento dei poteri di cognizione del giudice dell’impugnazione cui non sia stata devoluta la questione della patologica, originaria concessione del beneficio, “la pretesa natura meramente dichiarativa del provvedimento che rilevi l’esistenza di cause ostative alla concessione” e neppure l’affermazione del potere di revoca del beneficio concesso in violazione di legge al giudice dell’esecuzione, che, per ragioni di economia processuale, allora non potrebbe che essere consentito anche al giudice della cognizione, ancorchè al di fuori dei limiti del devoluto.
Le Sezioni Unite sottolineano la natura assertiva, manipolativa e fallace del ragionamento che è alla base di tali osservazioni, le quali finiscono erroneamente per attribuire senso anche processuale all’art. 168, terzo comma, cod. pen., allo scopo di affrancare il giudice dell’impugnazione dai limiti della devoluzione.
Diversamente dispone il legislatore, nell’art. 597, quinto comma, cod. proc. pen. quanto al potere, non già di revoca, bensì di applicazione anche d’ufficio dei benefici costituiti dalla sospensione condizionale della pena, dalla non menzione della condanna e dal riconoscimento di una delle circostanze attenuanti o dall’effettuazione del giudizio di comparazione ai sensi dell’art. 69 cod. pen.
Proprio tale espressa previsione dimostra che il potere di debordare dal limite del devoluto deve essere espressamente previsto e si deve poter ritrovare chiaramente nella legge.
L’art. 597, quinto comma, cod. proc. pen., in linea con tale concezione, è stato ritenuto espressivo di una disposizione di stretta applicazione.
Le stesse Sezioni Unite, con la sentenza Sez. U, n. 12872 del 19/1/2017,
COGNOME, Rv. 269125, avevano chiarito che il giudice di appello non ha il potere di applicare d’ufficio le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, se nell’atto d
appello non risulta formulata alcuna specifica e motivata richiesta con riguardo a tale punto della decisione, dal momento che l’ambito di tale potere è circoscritto
alle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 597, comma quinto, cod. proc. pen., che costituisce una eccezione alla regola generale del principio devolutivo
dell’appello e che segna anche il limite del potere discrezionale del giudice di sostituire la pena detentiva previsto dall’art. 58 della legge n. 689 del 1981.
Alla luce di tali considerazioni, la sentenza COGNOME conclude con chiarezza nel senso che non può farsi leva sulla disposizione di cui al quinto comma dell’art. 597
del codice di rito per argomentare che, come il giudice d’appello può concedere la sospensione condizionale, pur quando la cognizione sul punto non gli sia stata
devoluta, così può revocarla oltre il devoluto quando sia stata illegittimamente applicata. Semplicemente, tale potere di revoca non è riconosciuto al giudice
d’appello d’ufficio e al di fuori del devoluto.
Ecco perché, impostata correttamente la questione da cui uno degli orientamenti in contrasto ricavava conclusioni errate rispetto ai poteri del giudice dell’esecuzione, la sentenza COGNOME ritiene che non venga affatto in rilievo il nodo della possibile interferenza con il divieto di reformatio in peius, perché esso è il limite al potere decisorio del giudice d’appello, il quale deve muoversi entro il perimetro “del potere di cognizione per mezzo della devoluzione”.
Applicati i principi alla fattispecie in esame, il motivo del ricorrente si pon nella scia della decisione delle Sezioni Unite del 2024 e, per questo, non soltanto non è inammissibile, bensì rientra nell’alveo dell’applicazione del suo principio di diritto.
4.1. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali, perché il reato di minaccia è estinto per prescrizione.
Non essendo state proposte con il ricorso questioni che attengono alle statuizioni civili, queste devono ritenersi ferme e il ricorso, agli effetti civi intende inammissibile.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione. Dichiara inammissibile il ricorso agli effetti civili.
Così deciso il 28/2/2025.