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Reformatio in peius: la Cassazione annulla la pena

Un dipendente pubblico, condannato per peculato, ottiene in appello un’assoluzione per la maggior parte delle accuse. Nonostante ciò, la Corte d’Appello aumenta la pena per i reati residui. La Cassazione interviene, annullando la sanzione e riaffermando il principio del divieto di reformatio in peius, secondo cui la posizione dell’imputato non può essere peggiorata a seguito del suo solo ricorso.

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Pubblicato il 18 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Divieto di Reformatio in Peius: Quando il Giudice d’Appello Non Può Aumentare la Pena

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 20550/2024) ha riaffermato un principio cardine del nostro ordinamento processuale: il divieto di reformatio in peius. Questo principio stabilisce che, se solo l’imputato presenta appello, la sua posizione non può essere peggiorata nel giudizio successivo. Il caso in esame riguarda un dipendente pubblico accusato di peculato, la cui pena era stata paradossalmente aumentata in appello nonostante una parziale assoluzione.

I Fatti del Caso: L’Accusa di Peculato

Un addetto all’ufficio passaporti di un Commissariato di pubblica sicurezza era stato condannato in primo grado per il reato di peculato, accusato di essersi appropriato di oltre mille marche da bollo. In sede di appello, la Corte territoriale aveva riformato parzialmente la sentenza. Pur confermando la colpevolezza dell’imputato, lo aveva ritenuto responsabile solo per l’appropriazione di otto marche da bollo, assolvendolo per tutte le altre per insufficienza di prove.

Tuttavia, nel ricalcolare la pena, la Corte d’Appello aveva disposto un aumento per la continuazione tra i reati residui (sette episodi) superiore a quello stabilito in primo grado per oltre mille episodi. Di fatto, pur a fronte di una drastica riduzione delle accuse, l’imputato si vedeva infliggere un aumento di pena più severo per i pochi fatti rimasti.

I Motivi del Ricorso e il Principio del Divieto di Reformatio in Peius

L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi. Tra questi, spiccava la violazione dell’art. 597, comma 3, del codice di procedura penale, che sancisce appunto il divieto di reformatio in peius.
La difesa sosteneva che il giudice d’appello, avendo ridotto il numero di episodi criminosi, non avrebbe potuto applicare un aumento di pena per la continuazione più gravoso rispetto a quello deciso in primo grado. Gli altri motivi di ricorso, relativi alla valutazione delle prove, all’utilizzabilità del riconoscimento fotografico e alla mancata concessione delle attenuanti generiche, sono stati invece respinti dalla Suprema Corte.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo relativo alla violazione del divieto di reformatio in peius. I giudici hanno chiarito che questo principio non riguarda solo l’entità complessiva della pena finale, ma si estende a tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, inclusi gli aumenti per la continuazione.

La Suprema Corte ha sottolineato che l’accoglimento dell’impugnazione dell’imputato su una delle componenti del trattamento sanzionatorio (in questo caso, il numero di reati) impone una riduzione della pena. Questo risultato non può essere ‘neutralizzato’ da un inasprimento su un altro punto, come l’aumento per la continuazione. Se la struttura del reato continuato non cambia, ma si riduce solo il numero degli episodi, il giudice d’appello non può peggiorare la sanzione per i reati residui.

La Corte ha quindi annullato senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla misura della pena, e l’ha rideterminata direttamente, applicando un aumento per la continuazione simbolico, in linea con i criteri più favorevoli adottati dal primo giudice. Gli altri motivi sono stati ritenuti infondati, confermando la logicità della motivazione della Corte d’Appello sia sulla colpevolezza per gli otto episodi, sia sul rigetto delle attenuanti generiche.

Conclusioni

Questa sentenza è un’importante conferma della portata del divieto di reformatio in peius come garanzia fondamentale per l’imputato. Stabilisce chiaramente che una vittoria parziale in appello, ottenuta grazie al ricorso del solo imputato, non può trasformarsi in una ‘sconfitta’ su altri fronti del calcolo della pena. Il giudice dell’impugnazione, in assenza di un appello del Pubblico Ministero, può solo migliorare o confermare la posizione dell’imputato, mai peggiorarla, neppure indirettamente attraverso un ricalcolo più severo delle singole componenti della sanzione.

Può il giudice d’appello aumentare la pena per alcuni reati se assolve l’imputato per altri, su ricorso del solo imputato?
No. Secondo la sentenza, il divieto di ‘reformatio in peius’ impedisce al giudice d’appello di aumentare la pena per i reati residui, anche se l’imputato viene assolto per molte altre accuse. L’accoglimento, anche parziale, dell’impugnazione dell’imputato non può portare a un peggioramento della sua posizione sanzionatoria.

Un riconoscimento fotografico informale è una prova valida in un processo?
Sì. La Corte di Cassazione ha ribadito che il riconoscimento fotografico è una prova ‘atipica’, non soggetta alle rigide formalità della ricognizione di persona. La sua utilizzabilità è ammessa e la sua attendibilità è valutata liberamente dal giudice, purché la motivazione sia logica e non manifestamente errata.

Cosa significa esattamente ‘divieto di reformatio in peius’ nel processo penale?
Significa che se solo l’imputato impugna una sentenza di condanna, il giudice del grado successivo non può modificare la decisione in modo da peggiorare la sua situazione. Questo divieto non riguarda solo la pena finale, ma anche le singole componenti che la determinano, come gli aumenti per la continuazione tra reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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