Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9615 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9615 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 05/02/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME
UP – 05/02/2025
R.G.N. 27307/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME LorenzoCOGNOME nato a Castellammare di Stabia il giorno 11/6/1999 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza in data 8/7/2024 della Corte di Appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; preso atto che non e stata richiesta dalle parti la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 8 luglio 2024 la Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torre Annunziata in data 13 dicembre 2023 con la quale era stata affermata la penale responsabilità di NOME COGNOME in relazione ai reati di detenzione di una pistola con matricola abrasa ex art. 23 l. 110/1975 (capo A della rubrica delle imputazioni), di ricettazione della predetta arma ex art. 648 cod. pen. (capo B) e di illecita detenzione di cartucce ex art. 697 cod. pen. (capo C) unificati sotto il vincolo della continuazione, con condanna dell’imputato a pena ritenuta di giustizia.
I fatti-reato in contestazione risalgono al 18 luglio 2023.
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato, deducendo con motivo unico: violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, comma 3, e 597, comma 3, cod. proc. pen.
Lamenta la difesa del ricorrente la violazione le principio del divieto di reformatio in peius della pena applicata con la sentenza di primo grado che presenta una differenza tra i criteri di calcolo del trattamento sanzionatorio contenuti nella motivazione ed il dispositivo della sentenza stessa e rileva che la Corte di appello nel confermare la sentenza di primo grado non ha posto rimedio ai vizi già denunciati con l’atto di gravame non provvedendo ad integrare la motivazione del G.i.p. ma totalmente sostituendosi allo stesso.
Osserva, infine, parte ricorrente che con l’atto di appello aveva anche denunciato la nullità della sentenza di primo grado legata all’impossibilità di risalire alla corretta determinazione della pena irrogata nonchØ, nel dispositivo, aveva lamentato l’indicazione di una recidiva in realtà mai contestata, errore materiale quest’ultimo successivamente non oggetto di correzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondato nei limiti di cui si dirà nel prosieguo.
Occorre fin da subito rilevare che nel caso in esame non Ł oggetto di contestazione l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in relazione ai reati allo stesso ascritti.
Come già sopra evidenziato, con l’atto di appello era stata dedotta la nullità della sentenza di primo grado per omessa indicazione del calcolo della pena.
La Corte d’appello, disattendendo l’eccezione di nullità, ha ritenuto di integrare la motivazione ritenendo prevalente rispetto alla stessa la pena indicata in dispositivo (questione neppure dedotta dall’appellante) e di correggere gli errori di calcolo presenti in motivazione.
Il ricorrente, come detto, in questa sede di legittimità da un lato ribadisce la deduzione relativa alla nullità della sentenza di primo grado e, dall’altro, censura anche la violazione, da parte del giudice dell’appello, del divieto di reformatio in peius .
Osserva, innanzitutto, l’odierno Collegio che la sentenza di primo grado era stata adeguatamente motivata con riferimento alla determinazione della pena avendo il G.u.p. fatto espresso richiamo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., stabilito la pena per il reato piø grave (quello di cui al capo B della rubrica delle imputazioni) poi, i singoli aumenti per la continuazione con gli altri reati in contestazione e, infine, indicato che sulla pena in tal modo determinata doveva operarsi la riduzione per il rito abbreviato.
Sul punto si deve solo osservare che nella determinazione della pena per il reato piø grave il G.u.p. Ł partito da una sanzione pari al minimo edittale quanto alla pena detentiva e prossima a tale minimo quanto alla pena pecuniaria e ricordare che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che «Nel caso in cui venga irrogata una pena prossima al minimo edittale, l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, talchØ Ł sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.» (Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464). Nessuna nullità Ł quindi ravvisabile sul punto.
Non sfugge, peraltro, che nella sentenza di primo grado era presente una evidente discrasia tra il calcolo relativo alla determinazione della pena così come effettuato nella parte motiva rispetto alla sanzione finale determinata.
Sebbene, infatti, sia nella parte motiva della sentenza che nel dispositivo della sentenza risulta indicata la sanzione finale di «anni due, mesi sei di reclusione ed euro 600,00 di multa» ciò non corrisponde al seguente calcolo matematico effettuato nella stessa motivazione: «pena base per il piø grave delitto sub. B, anni due di reclusione ed euro 600,00 di multa, aumentata alla pena di anni due, mesi nove di reclusione ed euro 900,00 di multa per la continuazione ai sensi dell’art. 81 cod. pen. (mesi sei di reclusione ed euro 200,00 per il reato sub. A e mesi uno di reclusione ed euro 100,00 di multa per il reato sub C)».
In sostanza, in applicazione dei criteri di calcolo indicati da G.u.p. in sentenza la pena detentiva (anni 2 + mesi 6 + mesi 1) avrebbe dovuto essere quella di anni 2 e mesi 7 di reclusione, mentre quella pecuniaria risulterebbe corretta.
Tuttavia, il Giudice, quanto alla pena detentiva, l’ha indicata in anni 2 e mesi 9 di reclusione in luogo di anni 2 e mesi 7 di reclusione. Infine, la riduzione di 1/3 prevista per il rito non risulta essere stata in concreto operata atteso che, sempre sotto il profilo della sanzione detentiva, la pena finale
indicata in anni 2 e mesi 6 di reclusione non corrisponde alla riduzione di un terzo, nØ di anni 2 e mesi 9 di reclusione, nØ di anni 2 e mesi 7 di reclusione.
In presenza di una simile confusione nella determinazione del trattamento sanzionatorio, la Corte di appello con la sentenza impugnata ha cercato di porvi rimedio attraverso l’integrazione della parte motiva della sentenza del G.u.p. dando sostanzialmente per scontato, sempre con riguardo alla pena detentiva, che:
la pena base non fosse di anni 2 ma di anni 2 e mesi 6 di reclusione;
l’aumento per la continuazione per il reato di cui al capo A non fosse di mesi 6 di reclusione ma di anni 1 di reclusione;
l’aumento per la continuazione per il reato di cui al capo C non fosse di mesi 1 di reclusione ma di mesi 3 di reclusione;
così a giungere alla pena di anni 3 e mesi 9 di reclusione ridotta per il rito alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione, oltre alla pena (rimasta inalterata) di euro 600,00 di multa, in tal modo facendo coincidere la sanzione irrogata in sede di appello con quella irrogata nella sentenza di primo grado.
Non sfugge che operando in tal modo la Corte di appello pur non modificando la pena finale complessiva, ha indicato sanzioni detentive in misura superiore a quelle indicate in primo grado, sia in relazione alla pena base (6 mesi in piø) per il reato di cui al capo B ritenuto il piø grave, sia in relazione al primo aumento per la continuazione (6 mesi in piø) con il reato di cui al capo A.
Ritiene l’odierno Collegio che la Corte di appello operando in tal modo Ł incorsa nella violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen.
Fermo restando, infatti, il principio secondo il quale «In caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della prevalenza del dispositivo, in quanto immediata espressione della volontà decisoria del giudice, non Ł assoluta, ma va contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione e che, pertanto, ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso» (Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep. 2019, B., Rv. 275690 – 01), deve poi essere ulteriormente ricordato che «Nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza (art. 597 comma quarto cod.proc.pen.), non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado» (Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, COGNOME, Rv. 232066 – 01) e, ancora, che «Il divieto di “reformatio in peius” della sentenza impugnata dal solo imputato non riguarda unicamente l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono a determinarla …» (Sez. 2, n. 17585 del 23/03/2023, Cordì, Rv. 284531).
Da quanto detto ne consegue che deve disporsi l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che questa Corte di legittimità, procedendo nel senso piø favorevole per l’imputato ed in conformità ai calcoli contenuti nella sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 620, lett. l), cod. proc. pen., ridetermina come segue:
pena base per capo b): anni 2 di reclusione ed euro 600,00 di multa;
aumento ai sensi dell’art. 81, comma 2, cod. pen. per il capo a): + mesi 6 di reclusione ed euro 200,00 di multa;
aumento ai sensi dell’art. 81, comma 2, cod. pen. per il capo c): + mesi 1 di reclusione ed euro 100,00 di multa;
così ad arrivare ad anni 2 e mesi 7 di reclusione ed euro 900,00 di multa ridotta di 1/3 per il rito alla pena finale di anni 1 mesi 8 e giorni 20 di reclusione ed euro 600,00 di multa.
Rileva, altresì, l’odierno Collegio – tenuto conto del fatto che l’imputato risulta attualmente ancora sottoposto alla misura cautelare personale degli arresti domiciliari per i fatti di cui Ł processo – che alla luce dell’intervenuta rideterminazione del trattamento sanzionatorio, il relativo fine pena viene a scadere il giorno 6 aprile 2025.
Deve di conseguenza disporsi la liberazione dell’imputato NOME COGNOME se non detenuto per altra causa, a far data dal giorno 6 aprile 2025, il tutto come disposto da questa Corte con proprio provvedimento indirizzato alla cancelleria che provvederà alle necessarie comunicazioni.
Corretta Ł, infine, l’osservazione difensiva relativa al fatto che nel dispositivo della sentenza di primo grado Ł erroneamente contenuto anche il riferimento alla recidiva che peraltro non risulta essere stata contestata all’imputato e neppure menzionata nella parte motiva delle sentenze di merito.
Trattasi, all’evidenza, di un mero errore materiale non corretto dalla Corte di appello che si Ł limitata a confermare sul punto la sentenza di primo grado, errore materiale che, peraltro, non avendo avuto alcuna incidenza sulla determinazione del trattamento sanzionatorio può essere direttamente emendato in questa sede di legittimità con conseguente mandato alla cancelleria affinchØ provveda alle annotazioni sugli originali delle sentenze.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattemento sanzionatorio che ridetermina in anni 1 mesi 8 e gg. 20 di reclusione ed euro 600,00 di multa. Dispone la correzione dell’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza impugnata nella parte in cui conferma la sentenza di primo grado in punto di riconoscimento della recidiva il cui inciso deve essere escluso. Manda alla cancelleria per le annotazioni sugli originali.
Così Ł deciso, 05/02/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME