Reformatio in Peius: i Limiti e i Poteri del Giudice d’Appello
Il principio del divieto di reformatio in peius, sancito dall’articolo 597 del codice di procedura penale, rappresenta una garanzia fondamentale per l’imputato che decide di impugnare una sentenza. Significa che, se solo lui presenta appello, la sua posizione non può essere peggiorata dal giudice del grado successivo. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito i confini di questo principio, specificando i poteri del giudice d’appello in materia di riqualificazione del reato.
I Fatti di Causa
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava un imputato che, dopo essere stato condannato in primo grado per un reato meno grave (previsto dall’art. 610 c.p.), si era visto riqualificare il fatto dalla Corte d’Appello in una fattispecie più severa, ovvero il furto in abitazione (art. 624-bis c.p.).
L’imputato ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando proprio la violazione del divieto di reformatio in peius. A suo avviso, la riqualificazione del reato in una figura più grave costituiva di per sé un peggioramento della sua posizione, indipendentemente dalla pena concretamente inflitta.
La Riqualificazione del Reato e il Divieto di Reformatio in Peius
Il ricorrente ha sostenuto che il potere del giudice d’appello di dare una diversa definizione giuridica al fatto dovesse trovare un limite invalicabile nel divieto di peggiorare la sua situazione processuale. La questione centrale, dunque, era stabilire se la sola riqualificazione giuridica del fatto in un reato più grave violasse tale principio, anche qualora la pena finale fosse rimasta invariata o addirittura diminuita.
Inoltre, l’imputato lamentava la mancata concessione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), che era già stata negata in primo grado.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, offrendo importanti chiarimenti sul tema della reformatio in peius.
I giudici hanno affermato che, ai sensi dell’art. 597, comma 3, c.p.p., il giudice d’appello ha il potere di dare al fatto una qualificazione giuridica diversa e più grave. Tale potere, tuttavia, non è illimitato ma deve rispettare tre condizioni fondamentali:
1. Nessun peggioramento del trattamento sanzionatorio: La pena finale non può essere più severa di quella decisa in primo grado. Il divieto di reformatio in peius si applica alla sanzione, non alla qualificazione giuridica del fatto.
2. Prevedibilità della diversa definizione giuridica: La nuova qualificazione deve essere prevedibile per l’imputato, sulla base dei fatti contestati.
3. Garanzia del diritto di difesa: L’imputato deve essere messo in condizione di potersi difendere efficacemente anche rispetto alla nuova e più grave accusa, in linea con i principi del giusto processo (art. 6 CEDU).
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che queste condizioni fossero state rispettate. Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, la Cassazione ha ritenuto inammissibile la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p., poiché il trattamento edittale previsto per il reato riqualificato (furto in abitazione) non permette di riconoscere la particolare tenuità del fatto.
Conclusioni
La decisione della Suprema Corte consolida un importante principio: il divieto di reformatio in peius riguarda primariamente l’aspetto sanzionatorio della condanna. Il giudice d’appello conserva quindi la facoltà di correggere la qualificazione giuridica del fatto, anche in senso peggiorativo per l’imputato, purché la pena finale non venga aumentata e siano pienamente rispettate le garanzie difensive. Questa ordinanza ribadisce che la corretta applicazione della legge penale prevale sulla mera classificazione formale del reato, a patto di salvaguardare il nucleo essenziale dei diritti dell’imputato.
Il giudice d’appello può modificare l’accusa in un reato più grave se a ricorrere è solo l’imputato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione il giudice d’appello può dare al fatto una qualificazione giuridica più grave, a condizione che non peggiori il trattamento sanzionatorio (la pena) e che siano garantiti i diritti di difesa dell’imputato, come la prevedibilità della nuova accusa.
Cosa si intende esattamente per divieto di reformatio in peius?
Il divieto di reformatio in peius significa che la posizione dell’imputato non può essere peggiorata in appello se è stato solo lui a impugnare la sentenza. La Corte chiarisce che questo divieto si applica specificamente al trattamento sanzionatorio e non impedisce una diversa qualificazione giuridica del fatto.
Perché nel caso di specie è stata negata l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
La richiesta è stata ritenuta inammissibile perché il reato, come riqualificato dalla Corte d’Appello (furto in abitazione, art. 624-bis c.p.), ha un trattamento edittale (cioè i limiti di pena previsti dalla legge) che non è compatibile con l’istituto della particolare tenuità del fatto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37029 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37029 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME (CUI 06NOXHU) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/05/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale è stato condannato per il reato previsto dall’art.624-bis cod depositando successiva memoria difensiva.
I primi due motivi di ricorso, tendenti a sostenere una violazione del divi di reformatio in peius per effetto della riqualificazione, da parte del giudice di appello, del fatto ascritto sotto la specie di quello originariamente contes anziché di quello previsto dall’art.610 cod.pen., ritenuto dal giudice di primo gr sono manifestamente infondati.
Difatti, ai sensi dell’art.597, comma 3, cod.proc.pen., rientra tra i pote giudice di appello quello di dare al fatto anche una qualificazione giuridica grave rispetto a quella datane dal giudice di primo grado, ferma restando la n rivisitazione in peius del trattamento sanzionatorio; difatti, il giudice di appello pur in presenza di impugnazione del solo imputato, può riqualificare il reato rispetto delle garanzie del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU, a condizione tale diversa definizione giuridica sia prevedibile, che l’imputato sia pos condizione di difendersi e che non sia operata una modifica in peius del trattamento sanzionatorio (cfr. Sez. 6, n. 11670 del 14/02/2025, D., Rv. 287796)
Il motivo attinente alla mancata concessione della causa di non punibili prevista dall’art.131-bis cod.pen., comunque già negata dal giudice di pri grado, è – conseguentemente – inammissibile in ragione del trattamento edittal previsto per la fattispecie ritenuta dal giudice di appello.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorren al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro tremila a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.