Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 33701 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 33701 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
COGNOME NOME, nato a Messina il DATA_NASCITA avverso la sentenza di revisione del 10/03/2025 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con rideterminazione della pena finale lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, che ha concluso per complessiva in anni nove di reclusione ed euro trentamila di multa.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10/03/2025, la Corte di appello di Catanzaro, in accoglimento dell’istanza di revisione proposta da NOME COGNOME, revocava la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Reggio Calabria del 20/05/2015 nella parte relativa alla condanna per il reato di cui al capo A), assolvendo l’imputato dal reato perchØ il fatto non sussiste, e contestualmente rideterminava la pena per i residui reati, previa unificazione degli stessi sotto quello piø grave di cui al capo F), in anni nove, mesi quattro di reclusione ed euro 34.500 di multa, con conferma nel resto.
Avverso l’ordinanza citata l’imputato propone, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione, lamentando violazione del principio di divieto di reformatio in peius , in quanto nel rideterminare la pena la Corte territoriale: a) non si Ł attestata sul minimo edittale; b) ha applicato anche la pena pecuniaria; c) ha aumentato per continuazione di mesi 8 anzichØ 4 la pena detentiva per il Capo D).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł parzialmente fondato.
Il Collegio preliminarmente evidenzia che la pena comminata dalla Corte di Appello di Messina nel 2012, confermata dalla Corte di Appello di Reggio Calabria, era pari a complessivi anni 13 di reclusione, così determinata: «ritenuta la continuazione con gli altri reati addebitati, di cui alla rubrica, dieci anni per il piø grave reato associativo (capo A), aumentato per la continuazione di mesi otto per i capi C), F) ed H) e di mesi quattro per i restanti capi» (capi D, L, B).
Viceversa, la sentenza impugnata ritiene equa la pena finale da infliggere, previa
unificazione di tutti i reati per il vincolo della continuazione, «pari ad anni nove, mesi quattro di reclusione ed euro 34.500 di multa, così determinata: pena base per il capo di cui al capo F) da ritenersi piø grave, anni sette di reclusione ed euro 30.000 di multa, aumentata di mesi otto di reclusione ed euro 1.500 di multa per il capo C) aumentata di mesi otto di reclusione ed euro 1.500 di multa per il capo D, aumentata di mesi quattro di reclusione ed euro 500 di multa per ciascuno degli altri tre reati».
Tanto premesso, il Collegio evidenzia come, in riferimento alla pena detentiva irrogata per il reato piø grave, nessuna violazione del divieto di reformatio in peius risulta ravvisabile nella fattispecie, atteso che (Sez. 5, n. 44632 del 06/10/2021, COGNOME, Rv. 282279 – 01; Sez. 2, n. 37092 del 08/07/2021, COGNOME, Rv. 282127 – 01; Sez. 2, n. 2867 del 26/11/2021, COGNOME, Rv. 282518 – 02) il solo limite che incontra in appello il giudice nella nuova fissazione della pena, in caso di assoluzione dell’imputato dal reato preso in considerazione in precedenza per determinare la pena base, consiste nel dovere di non superare la pena complessiva inflitta dal primo giudice (limite rispettato: anni 9 e mesi 4 in luogo di anni 13), nØ la pena base da questi determinata, situazione questa che nella fattispecie non si Ł verificata (anni 7 in luogo di anni 10), dovendosi ritenere che il «limite interno» non Ł costituito dalla pena minima edittale del reato, ma la pena base che aveva in precedenza determinato in relazione al reato (allora) piø grave.
La doglianza Ł quindi manifestamente infondata.
Le altre due censure sono, invece, fondate nei limiti che seguono.
4.1. L’irrogazione della pena pecuniaria (applicata, nel caso di specie, solo nel giudizio di revisione) non viola, in senso assoluto, il divieto di reformatio in peius , anche nel caso in cui non sia stata irrogata nel precedente giudizio.
Questa Corte ritiene infatti (Sez. 4, n. 24430 del 10/06/2021, Rossi, Rv. 281403 – 01) che – il corsivo, ora e in seguito, Ł del Collegio – «il giudice dell’impugnazione, in assenza di gravame del pubblico ministero, non può irrogare una pena piø grave per specie e quantità rispetto a quella complessiva inflitta dal giudice di primo grado, con la conseguenza che viola il divieto di reformatio in peius la sentenza d’appello che ridetermini la pena della sola reclusione irrogata in primo grado, in quella congiunta dell’arresto e dell’ammenda in una misura che, effettuato il ragguaglio tra pene pecuniarie e detentive ai sensi dell’art. 135 cod. pen., produca il superamento del quantum della pena detentiva originariamente inflitta» (in applicazione di tale principio la Corte ha annullato con rinvio la sentenza d’appello che aveva rideterminato in anni uno di arresto ed euro 24.000,00 di ammenda la pena di anni uno di reclusione irrogata dalla sentenza di primo grado).
Si Ł anche affermato (Sez. 3, n. 1762 del 03/11/2020, dep. 2021, Cacace, Rv. 281002 01) che «viola il divieto di reformatio in peius la sentenza d’appello che irroghi congiuntamente pena detentiva e pena pecuniaria (nella specie, arresto e ammenda), qualora, operato il ragguaglio di quest’ultima ai sensi dell’art. 135 cod. pen., l’entità finale della pena risulti superiore a quella irrogata con la prima sentenza, anche se di specie diversa (nella specie, reclusione), in quanto, avendo l’espressione ‘pena piø grave per specie o quantità’, di cui all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. finalità di coordinazione logica tra i due termini in essa contenuti, deve operarsi un confronto per quantità anche tra pene di specie diversa».
Applicando tali principi al caso in esame, se non vi sono problemi nel ritenere ‘legale’ la pena irrogata in relazione al reato (divenuto) piø grave, in quanto, pur essendo stata irrogata la pena pecuniaria originariamente non inflitta, operando la sua conversione nella corrispondente pena detentiva, la pena finale (anni nove e giorni 120) Ł inferiore a quella
detentiva inflitta nel giudizio di merito (anni dieci), altrettanto non può dirsi per gli aumenti applicati in continuazione.
Come correttamente evidenziato dal Procuratore generale, in questi casi la pena pecuniaria Ł stata inflitta in aggiunta alla medesima pena detentiva originariamente irrogata, per cui la conversione di tale pena e la sua ideale aggiunta a quella detentiva si risolve in un superamento di tale limite «interno» e in una conseguente violazione del divieto di reformatio in peius .
Gli aumenti di pena pecuniaria applicati per i reati satelliti debbono quindi essere annullati senza rinvio.
4.2. Del pari, l’aumento per continuazione, in riferimento al capo D), Ł stato di quattro mesi superiore rispetto a quello stabilito nel giudizio di merito (mesi 4, anzichØ mesi 8).
In riferimento a tale ipotesi la Corte ha stabilito (Sez. 4, n. 13806 del 07/03/2023, Clemente, Rv. 284601 – 01) che, «nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della condanna per il solo reato piø grave, il giudice del rinvio, nel determinare la pena per il reato residuo, meno grave, non Ł vincolato alla quantità di pena individuata quale aumento ai sensi dell’art. 81, comma secondo, cod. pen. ma, per la regola del divieto di reformatio in peius , non può irrogare una pena che, per specie e quantità, costituisca un aggravamento di quella individuata, nel giudizio precedente all’annullamento parziale, quale base per il computo degli aumenti a titolo di continuazione » (nella specie la Corte ha ritenuto sussistente la violazione del divieto in un caso in cui il giudice del rinvio aveva aumentato la pena per il reato satellite determinandola in misura superiore a quanto disposto nel primo giudizio, pur irrogando una pena finale complessivamente inferiore).
Anche in questo caso la sentenza va annullata limitatamente all’aumento di quattro mesi disposto in riferimento al capo D).
La sentenza deve essere quindi annullata senza rinvio in riferimento al trattamento sanzionatorio.
La pena può essere rideterminata dal Collegio a sensi dell’articolo 620, lettera l), cod. proc. pen. sulla base delle statuizioni già adottate dal giudice di merito, non risultando necessari ulteriori accertamenti (Sez. U, n. 3464 del 30/11/2017, dep. 2018, Matrone, Rv. 271831 – 01).
Va pertanto eliminata la pena pecuniaria complessiva di euro 4.500 disposta quale aumento per continuazione (euro 1.500 di multa per ciascuno dei reati di cui ai capi C e D; euro 500 di multa per ciascuno dei reati di cui ai capi B, H ed I) e la pena di mesi quattro di reclusione inflitta per il Capo D), da ritenersi illegali in quanto irrogate in violazione del divieto di reformatio in peius .
La pena va conseguentemente rideterminata in anni nove di reclusione ed euro 30.000,00 di multa, come da seguente prospetto: riunificati i reati sotto il vincolo della continuazione, va applicata la pena base per il piø grave reato di cui al capo F) di anni sette di reclusione ed euro 30.000,00 di multa; tale pena va aumentata di mesi otto di reclusione per il capo C) e di mesi quattro di reclusione per i restanti capi B), D), H) e L).
Il ricorso va dichiarato inammissibile nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio che ridetermina in anni nove di reclusione ed euro 30.000,00 di multa.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così Ł deciso, 09/10/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME