Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18579 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18579 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Mugnano di Napoli l’ DATA_NASCITA;
avverso la sentenza della Corte di cassazione del 31/05/2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 6 luglio 2021 la Corte di appello di Napoli, decidendo in sede di rinvio conseguente alla sentenza della Corte di cassazione n.14823 del 28 febbraio 2020, che aveva annullato quella pronunciata dalla medesima Corte territoriale del 12 settembre 2018 (resa in parziale riforma della decisione pronunciata, a seguito di giudizio abbreviato, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli che aveva dichiarato, per quanto qui rileva, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME colpevoli di partecipazione all’associazione di stampo mafioso di cui al capo A della rubrica) ha condannato i predetti alle pene ritenute di giustizia, nonché al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civil
1.1.L’annullamento, con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, era stato disposto – fermo l’accertamento della sua colpevolezza – al solo fine di determinare la data della cessazione della permanenza con la conseguente verifica del regime sanzionatorio applicabile.
1.2. L’imputazione per il reato di cui all’art.416-bis cod. pen. riguardava la condotta di partecipazione al c.d. clan dei RAGIONE_SOCIALE‘, ritenuto una delle più pericolose e radicate organizzazioni camorristiche del territorio della Campania. La sfera della sua operatività ha avuto storicamente come epicentro il territorio della provincia di Caserta; la condotta addebitata agli imputati riguardava il loro inserimento dell’articolazione del citato clan facente capo a NOME COGNOME ed ai suoi familiari.
1.3. Avverso la citata sentenza della Corte di appello di Napoli aveva proposto ricorso per cassazione, tra gli altri, NOME COGNOME che si era doluto, in primo luogo, del fatto che la Corte territoriale avesse recuperato l’aumento per la circostanza aggravante di cui al comma quarto dell’art. 416-bis cod. pen. che, invece, nella sentenza annullata, non era stata contemplata. In tal modo quindi la sentenza impugnata sarebbe incorsa nella violazione del divieto di reformatio in peius poiché la pena era stata modificata illegittimamente in senso sfavorevole all’imputato. La formazione del giudicato progressivo, secondo il ricorrente, avrebbe impedito in sede di giudizio di rinvio di operare l’aumento previsto dal quarto comma della citata norma incriminatrice.
In secondo luogo il ricorrente aveva censurato il diniego delle circostanze attenuanti generiche, giustificato dalla costante durata della condotta e della sua qualifica pubblicistica (prima vigile urbano e poi addetto al servizio ecologia) con una valutazione ritenuta contraddittoria rispetto alla scelta di irrogare il minimo edittale.
1.5. La Quinta sezione della Corte di cassazione, con sentenza n.36434 pronunciata il giorno 31 maggio 2023, ha respinto il ricorso di NOME COGNOME ritenendo infondate entrambe le censure sopra indicate.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen.; in particolare, egli lamenta come in sede rescissoria la Corte di appello abbia rideterminata il trattamento sanzionatorio secondo la cornice edittale più favorevole di cui alla 1.125/2008 muovendo da una pena base superiore al “nuovo” minimo previsto dalla I. 69/2019 in virtù della corretta perimetrazione temporale della condotta così, tuttavia, violando il divieto di reformatio in peius della decisione del giudice di primo grado che nel calcolo era partita dal limite edittale minimo previsto dalle L. 69/2015.
Secondo il ricorrente la Corte di legittimità sarebbe incorsa nell’errore di non considerare che il giudice di primo grado aveva applicato il minimo della pena, spiegando adeguatamente e logicamente come la condotta dell’imputato non avesse rivestito alcun carattere di gravità e che, pertanto, la Corte del rinvio non poteva discostarsi significativamente dai limiti edittali minimi, in quanto condizionata dal precedente accertamento valutativo del giudice di merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Deve, anzitutto, ricordarsi che l’istituto del ricorso straordinario pe cassazione disciplinato dall’art. 625-bis cod. proc. pen. è stato oggetto di reiterati interventi interpretativi da parte della Corte di cassazione a partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite nr. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280, la quale, affermato che l’incontrovertibilità delle sentenze rese in sede di legittimità,
per quanto non più inviolabile per effetto appunto del ricorso straordinario, costituisce tuttora il fondamento del sistema processuale delle impugnazioni e del meccanismo di formazione del giudicato (Corte cost. n. 294 del 1995, e, ivi citate, nn. 247 del 1995, 21 del 1982, 136 del 1972, 51 e 50 del 1970; Corte di Giustizia Europea, sentenza 1/6/1999, C-126/97, punto 46; sentenza 30.9.2003, C224/01, p. 38; Corte EDU 12/01/2006, NOME e altri c. Bulgaria, ric. n. 47797/99 e 68698/01), ha rilevato la necessità di una puntuale applicazione delle disposizioni regolatrici del ricorso straordinario, strumento che, per la sua natura non ordinaria e derogatoria del giudicato, non è estensibile oltre i casi in esse considerati, in ossequio al divieto generale sancito dall’art. 14 disp. gen..
In particolare, in aderenza alla natura eccezionale del rimedio e della formulazione testuale della disposizione che lo regola, si è proceduto ad individuare in via interpretativa, recependo anche le sollecitazioni della giurisprudenza di legittimità civile, la nozione di errore di fatto legittimante proposizione e la possibilità di accoglimento del ricorso straordinario, che resta confinata ai casi di omessa considerazione di uno o più motivi del ricorso per cassazione, intesa quale totale pretermissione delle doglianze riguardanti un capo o punto della decisione, ovvero all’errore di percezione in cui sia incorsa la Corte di Cassazione nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, tutti viz devono avere condizionato in modo decisivo il convincimento formatosi per l’inesatta o equivocata percezione dell’ambito delle censure proposte col ricorso o delle risultanze processuali e la derivata pronuncia di una sentenza differente da quella che, in assenza dell’omissione o dell’errore, si sarebbe esitato. Quale ulteriore conseguenza si ricava in negativo la precisazione di ciò che non rientra nel concetto di “errore di fatto”, ossia: gli errori di valutazione delle emergenze probatorie; gli errori di giudizio e di applicazione ed interpretazione di norme di legge; gli errori percettivi che hanno inciso sul processo formativo della volontà dei giudici di merito, che, per essersi tradotti in un travisamento del fatto, devono essere dedotti con gli strumenti impugnatori ordinari, oppure in sede di revisione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In definitiva, come rilevato da Cass. sez. 1, nr. 17362 del 15/04/2009, Rv. 244067, COGNOME, «esulando dall’errore di fatto ogni profilo valutativo, esso coincide con l’errore revocatorio, secondo l’accezione che vede in esso il travisamento degli atti nelle due forme della “invenzione” o della “omissione”, non estensibile al travisamento delle risultanze, in cui sia in tesi incorsa la stessa Corte di Cassazione nella lettura degli atti del suo giudizio. Il cosiddetto “travisamento del fatto”, e cioè il travisamento del significato, anziché del significante, non può in nessun caso legittimare il ricorso straordinario ex art. 625 bis cod. proc. pen.,
tantomeno quando sia dedotto come vizio della decisione del giudice di merito. E neppure può essere, comunque, dedotto ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., l’errore revocatorio in cui sarebbe incorso il giudice di merito. I criteri interpretazione dei fatti, dibattuti nel giudizio di legittimità e oggetto di valutazio anche implicita, non possono essere riproposti sotto forma di errori di fatto».
Ciò posto, l’impugnazione proposta dal ricorrente prospetta a suo fondamento, quale vizio che avrebbe inficiato la sentenza emessa dal giudice di legittimità, il sopra indicato errore percettivo rispetto al trattamento sanzionatorio applicato dalla Corte di appello di Napoli in sede di rinvio.
3.1. In realtà il lamentato errore non sussiste poiché la sentenza oggetto del presente ricorso straordinario ha affrontato, in modo approfondito, il problema riproposto in questa sede; invero a pag.24 la Corte di legittimità ha anzitutto ritenuto corretta la perimetrazione temporale della condotta partecipativa del COGNOME – operata dalla Corte di appello – fissandone la cessazione alla data dell’arresto di NOME COGNOME (avvenuto il 7 dicembre 2011) e la conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio secondo la cornice edittale più favorevole di cui alla legge n.125/2008 dato che, muovendo da una pena base superiore al nuovo minimo (di anni nove e mesi dieci di reclusione) era giunta alla pena finale di anni otto, mesi dieci e giorni venti di reclusione, inferiore a quell inflitta in primo grado ed a quella irrogata dalla sentenza della Corte territoriale oggetto di annullamento.
Ciò posto, la sentenza della quale oggi si chiede l’annullamento ha escluso la lamentata violazione di legge e del divieto di reformatio in peius avendo espressamente considerato che il giudice del rinvio non era vincolato dalle sole determinazioni aritmetiche del primo giudice, ma attenendosi alla nuova prescrizione normativa discendente dalla specificazione in ordine alla perimetrazione temporale della condotta partecipativa dell’odierno ricorrente, aveva rideterminato la pena esercitando, con adeguata motivazione, il proprio potere discrezionale in materia, senza operare alcuna modifica in senso peggiorativo, dato che la pena inflitta in sede rescissoria era stata, comunque, inferiore a quella fissata sia dal primo giudice sia dalla Corte di appello con la sentenza pronunciata il 12 settembre 2018 (poi annullata).
Sulla base di tali argomentazioni, quindi, la Corte di legittimità ha affermato che non sussiste violazione del principio del divieto di reformatio in peius, nella ipotesi in cui la pronuncia del giudice del rinvio che – nel riformare la pronuncia di primo grado impugnata dal solo imputato e che aveva determinato la pena partendo dal minimo edittale senza però esplicitare alcuna argomentazione giustificativa di tale scelta – abbia applicato una legge più favorevole al reo e
ridotto la pena in termini assoluti, pur non attestandosi allo stesso punto della forbice edittale da cui si era mosso il primo giudice, qualora detto potere discrezionale del giudice di rimodulare la pena nell’ambito della nuova cornice edittale sia stata esercitato nel rispetto del limite costituito dal divieto di sovvert il giudizio di disvalore espresso dal giudice del grado precedente.
In sostanza, soltanto nel caso (non verificatosi nella fattispecie in esame) in cui il primo giudice ha applicato il minimo della pena dando conto – con motivazione congrua e non manifestamente illogica – del perché la condotta dell’imputato non ha rivestito particolare gravità, il giudice di appello non può discostarsi significativamente dai limiti edittali minimi proprio perché condizionato dal precedente accertamento valutativo operato nel grado precedente.
Deve, dunque, concludersi che non sono riconoscibili nell’articolato percorso motivazionale della sentenza in verifica gli errori percettivi denunciati da NOME COGNOME e che, piuttosto, le sue censure si palesano come la richiesta di una inammissibile diversa valutazione degli elementi di merito in ordine al trattamento sanzionatorio, già coerentemente esaminati dalla Corte del rinvio.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, anche al versamento di sanzione in favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo liquidare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 25 gennaio 2024.