Reformatio in Peius: Come la Cassazione Definisce i Limiti del Giudice del Rinvio
Il principio del divieto di reformatio in peius rappresenta un cardine del nostro sistema processuale penale, a tutela del diritto di difesa. Esso stabilisce che l’imputato, se è l’unico a impugnare una sentenza, non può vedersi infliggere una condanna più grave dal giudice superiore. Ma cosa accade quando la Cassazione annulla una sentenza e rinvia il caso a un’altra corte per un nuovo giudizio? Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte offre chiarimenti cruciali sui poteri del giudice del rinvio e sui confini di questo fondamentale divieto.
I Fatti del Caso
Un imputato, dopo aver subito una condanna in primo grado, otteneva in appello una parziale riforma della pena. Successivamente, la Corte di Cassazione annullava questa seconda decisione, ma solo limitatamente al bilanciamento tra le circostanze attenuanti e un’aggravante. Il caso veniva quindi rinviato alla Corte d’Appello per una nuova valutazione su quel punto specifico. La Corte d’Appello, operando il bilanciamento richiesto, rideterminava la pena in sei mesi di reclusione, concedendo la sospensione condizionale. L’imputato, non soddisfatto, proponeva un nuovo ricorso in Cassazione, lamentando due aspetti: il mancato riconoscimento della non menzione della condanna nel casellario giudiziale e, soprattutto, una presunta violazione del divieto di reformatio in peius.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. Per quanto riguarda il primo motivo, relativo alla non menzione, i giudici hanno evidenziato come la censura fosse una semplice ripetizione di argomentazioni già adeguatamente valutate e respinte dalla corte territoriale, senza che l’imputato fornisse nuovi elementi a sostegno della sua tesi. Il punto centrale, tuttavia, riguarda il secondo motivo, quello sulla violazione del divieto di peggioramento della pena.
Analisi del Divieto di Reformatio in Peius nel Giudizio di Rinvio
La Cassazione ha smontato l’argomentazione del ricorrente con un ragionamento tecnico e rigoroso. I giudici hanno chiarito che il giudice del rinvio, investito del caso dopo l’annullamento parziale, aveva il dovere di effettuare nuovamente il bilanciamento tra le circostanze. Una volta operato tale bilanciamento, la cornice edittale di riferimento per la pena era cambiata. Nonostante ciò, il giudice ha individuato una pena che si collocava pienamente all’interno del nuovo range legale (da 15 giorni a un anno di reclusione, secondo la vecchia formulazione dell’art. 635 c.p.). Fatto ancora più decisivo, la pena finale di sei mesi era comunque inferiore a quella inflitta dalla sentenza d’appello che era stata annullata. Pertanto, non vi è stata alcuna violazione del divieto di reformatio in peius.
La Questione della Non Menzione della Condanna
Sul punto della mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, la Corte ha ribadito la correttezza della decisione della Corte territoriale. Quest’ultima aveva negato il beneficio basandosi sulla presenza di una precedente condanna. Il ricorrente si era limitato a contestare genericamente tale diniego, senza però argomentare in modo specifico la sussistenza dei presupposti eccezionali che, secondo l’art. 175 c.p., avrebbero potuto consentire una nuova concessione del beneficio.
Le Motivazioni
La Corte ha motivato la declaratoria di inammissibilità evidenziando, da un lato, la natura reiterativa e generica del primo motivo di ricorso e, dall’altro, la manifesta infondatezza del secondo. Il principio chiave affermato è che il divieto di reformatio in peius va valutato in concreto, confrontando la pena finale irrogata nel giudizio di rinvio con quella della sentenza annullata. Se la nuova pena, pur frutto di un diverso percorso di calcolo imposto dalla Cassazione, non è più grave della precedente e rispetta i limiti edittali, il divieto non può dirsi violato. L’inammissibilità del ricorso ha comportato, come conseguenza di legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a sanzione dell’irritualità dell’impugnazione.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un importante principio di procedura penale: il giudizio di rinvio conferisce al giudice il potere-dovere di riesaminare i punti specifici indicati dalla Cassazione, anche se ciò comporta un ricalcolo della pena partendo da una diversa cornice edittale. L’imputato è tutelato dal divieto di reformatio in peius, ma questa tutela si concretizza nel risultato finale: la pena non deve essere peggiore di quella precedentemente annullata. La pronuncia serve anche da monito sull’importanza di formulare ricorsi specifici e non meramente ripetitivi, pena la declaratoria di inammissibilità e le conseguenti sanzioni economiche.
Quando il giudice del rinvio viola il divieto di reformatio in peius?
Il divieto è violato solo se la pena concretamente determinata nel giudizio di rinvio è più grave di quella inflitta con la sentenza annullata. Non rileva il fatto che il percorso di calcolo sia diverso, purché la nuova pena sia contenuta nei limiti edittali applicabili e non sia peggiorativa nel risultato finale per l’imputato.
Perché il ricorso sul mancato riconoscimento della non menzione della condanna è stato dichiarato inammissibile?
Perché era una semplice riproposizione di una censura già valutata e respinta dalla Corte d’Appello. Il ricorrente non ha introdotto nuove e specifiche argomentazioni giuridiche per dimostrare l’eventuale sussistenza dei presupposti per una seconda concessione del beneficio, rendendo il motivo generico e, quindi, inammissibile.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione?
Comporta che il ricorso non viene esaminato nel merito. Inoltre, la legge prevede che il ricorrente sia condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un’impugnazione priva dei requisiti di legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3843 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3843 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/09/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/04/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza, con la quale la Corte di appello di Milano, giudicando in sede di rinvio su annullamento della Sezione Quinta di questa Corte in data 14 marzo 2022, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Monza in data 8 aprile 2019, ha rideterminato la pena nei suoi riguardi in sei mesi di reclusione ed ha riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della stessa pena e deduce due motivi;
considerato che il primo motivo – con il quale il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati – è motivo non consentito siccome reiterativo di analoga censura adeguatamente vagliata e superata dalla Corte territoriale che, difatti, ha escluso il beneficio sulla scorta della precedente condanna (p. 5 della sentenza impugnata), laddove il ricorrente si è limitato a invocare l’erroneità della mancata concessione del beneficio, senza dedurre l’eventuale sussistenza dei presupposti per la reiterazione del beneficio, che dev’essere contenuto nel limitato ambito dell’ipotesi di reato anteriormente commesso, nell’interpretazione data all’art. 175 cod. pen. dalle pronunce di parziale illegittimità costituzionale della norma dell’art. 175 cod. pen. di cui all sentenze 17 luglio 1975 n. 225 e 7 giugno 1984 n. 155 della Corte costituzionale;
ritenuto del pari manifestamente infondato il secondo motivo, con il quale deduce la violazione del divieto dì reformatio in peius quanto all’individuazione della pena che, nel giudizio di rinvio, non avrebbe rispettato il criterio d proporzionalità rispetto a quella parametrata con la sentenza annullata;
premesso, invero, che la sentenza rescindente aveva limitato l’annullamento al bilanciamento tra le già riconosciute circostanze attenuanti generiche e l’aggravante contestata, tale essendo la minaccia all’epoca del commesso reato di danneggiamento;
rilevato che il Giudice del rinvio, dopo avere operato il bilanciamento negletto nel primo giudizio di appello, ha individuato la pena sulla scorta della diversa cornice edittale, ponendosi certamente nel range legale (ossia da 15 giorni a un anno, in applicazione del primo comma dell’art. 635 cod. pen. nel testo previgente) e rilevato altresì che la pena così individuata è inferiore rispetto a quella irrogata con la sentenza di appello oggetto di annullamento;
ritenuto, dunque, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che a detta declaratoria segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazion
(Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28 settembre 2023
Il Consigliere estensore
Il .Presidente