Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30625 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30625 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
nato ad
omissis
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza del 17/4/2023 emessa dalla Corte di appello di Bari visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; lette le conclusioni dell’Avvocato NOME COGNOME la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Bari riformava parzialmente la sentenza di condanna, emessa all’esito di rito abbreviato, con la quale l’imputato era stato ritenuto colpevole del reato di maltrattamenti in famiglia, aggravato ex art. 61, n.11
quinquies cod. pen., riconoscendo le attenuanti generiche e l’attenuante del vizio parziale di mente prevalenti sulla contestata aggravate.
Il ricorrente ha proposto un articolato motivo di ricorso con il quale censura due distinti aspetti.
In primo luogo, deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo, ritenuto incompatibile con le precarie condizioni psichiche dell’imputato, tali da non consentirgli di avere una adeguata consapevolezza in ordine alle condotte poste in essere. In particolare, la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare che, proprio nel periodo in cui l’imputato procedeva a far eseguire il test del DNA per verificare la paternità dei figli nati in costanza di matrimonio, poneva in essere comportamenti dimostrativi delle gravi condizioni psichiche che gli impedivano di avere adeguata contezza della realtà.
Inoltre, anche l’epoca di commissione dei fatti non era stata adeguatamente valutata, posto che i medici curanti con i quali la famiglia dell’imputato aveva avuto contatti e che, in parte, avevano appreso delle condizioni di vita familiare dalla moglie dell’imputato, riferivano di aver conosciuto delle difficoltà indotte dai comportamenti dell’imputato solo nella primavera del 2018.
2.1. L’ulteriore profilo dedotto nel ricorso attiene alla ritenuta violazione del divieto di reformatio in peius, evidenziando che il giudice di appello, dopo aver riconosciuto l’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen., già concessa in primo grado, aveva apportato una riduzione pari a un mese di reclusione, a fronte della riduzione operata dal giudice di primo grado pari a 8 mesi.
Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati.
Le doglianze relative al riconoscimento dell’elemento soggettivo del reato e alla individuazione del periodo di commissione dello stesso sono generiche.
Per quanto attiene alla collocazione temporale delle condotte maltrattanti, la Corte di appello ha adeguatamente motivato in ordine alla attendibilità della persona offesa, ritenendo che quest’ultima aveva confidato l’esistenza di condotte maltrattanti solo nel periodo immediatamente antecedente alla separazione in concomitanza con l’aggravamento delle condizioni di vita familiare.
È stato ritenuto del tutto logico e non dimostrativo di una intrinseca inattendibilità il fatto che la persona offesa ha confidato a terzi le difficoltà d menage familiare solo a seguito dell’ulteriore aggravamento delle condotte maltrattanti, senza che ciò possa di per sé far ritenere non provata la protrazione delle stesse per un lungo periodo di tempo anche antecedente.
Altrettando generico è il motivo volto a contestare la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti, essenzialmente incentrato sulla sola vicenda relativa all’esecuzione del test del DNA cui l’imputato ha sottoposto i figli, nel timore che questi fossero stati generati nell’ambito di relazioni extraconiugali. Si tratta di un aspetto che, come rilevato nella sentenza di appello, è del tutto marginale rispetto alla condotta contestata, lì dove non è stata neppure menzionata.
Ne consegue che l’assenza dell’elemento soggettivo non poteva essere in alcun modo posta in contestazione rappresentando le difficoltà psichiche mostrate dall’imputato nel periodo in cui sottoponeva i figli al suddetto test.
Il motivo concernente la violazione del principio del divieto di reformatio in peius è fondato. Il ricorrente sostiene che il giudice di appello avrebbe dovuto confermare la riduzione della pena nella misura di 8 mesi in relazione all’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen.
L’esame della doglianza presuppone la ricostruzione delle due diverse determinazioni della sanzione che si sono susseguite in primo e secondo grado, premettendo che in entrambi i casi si è partiti dalla pena base di 2 anni di reclusione:
in primo grado, è stata ritenuta l’equivalenza tra le generiche e l’aggravante contestata, per poi applicare la riduzione di 1/3 per effetto della sola attenuante di cui all’art. 89 cod. pen., così determinando la pena in anni 1 e mesi 4 di reclusione, ridotta per il rido a mesi 10 e giorni 20 di reclusione;
in appello, è stata ritenuta la prevalenza delle attenuanti, applicando la riduzione di 1/3 per le generiche sulla pena base, con conseguente riduzione ad anni 1 e mesi 4, ulteriormente ridotti di 1 mese per l’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen., così pervenendo alla pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione, ridotta per il rito a mesi 10 di reclusione.
3.1. Deve premettersi che la sentenza di primo grado è incorsa in errore nella misura in cui ha operato il giudizio di equivalenza limitatamente alle attenuanti generiche rispetto all’aggravante contestata, applicando per intero la riduzione per l’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen. Si tratta di un criterio di computo errat posto che il giudizio di comparazione tra circostanze previsto dall’art. 69 cod. pen.
ha carattere unitario e non è pertanto consentito operare il bilanciamento tra le attenuanti ed una sola delle aggravanti, dovendosi invece procedere alla simultanea comparazione di tutte le circostanze contestate e ritenute dal giudice. (Sez. 1, n. 28109 dell’11/6/2021, COGNOME, Rv 281671; Sez.2, n.17347 del 26/1/2021, COGNOME, Rv. 28121705). Tuttavia, in mancanza di impugnazione sul punto da parte del pubblico ministero, tale profilo non è sindacabile in questa sede.
3.2. Mantenendo fermo, quindi, il calcolo della pena così come operato in primo grado, risulta fondata la doglianza proposta dal ricorrente, posto che la Corte di appello non poteva applicare una riduzione, relativa all’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen., inferiore rispetto a quella già ritenuta in primo grado. A sostegno di tale affermazione si richiama la giurisprudenza secondo cui viola il divieto di reformatio in peius il giudice di appello che, a seguito di impugnazione del solo imputato, concedendo un’ulteriore attenuante diminuisca complessivamente la pena inflitta, operando, però, una minore riduzione per l’attenuante già riconosciuta in primo grado (Sez.3, n. 49163 del 4/5/2018, Khan, Rv. 275025; Sez.1, n. 45236 del 22/10/2013, Stralaj, Rv. 257775).
3.3. Invero, deve darsi atto dell’esistenza di un orientamento divergente, secondo cui non viola il divieto di reformatio in peius la decisione del giudice di appello che, nel caso di impugnazione proposta dal solo imputato, avendo riconosciuto una ulteriore circostanza attenuante, operi una minore riduzione per le già applicate attenuanti generiche, purchè l’entità della pena complessiva irrogata risulti diminuita e la decisione sia sorretta da adeguata motivazione (Sez.5, n. 19366 dell’8/6/2020, Finnizio, Rv. 279107; Sez.3, n. 25606 del 24/3/2010, COGNOME, Rv. 247739).
3.4. Quest’ultima soluzione non appare in linea con la ratio recepita, sia pur nell’ambito di un principio riferito a diversa fattispecie, da Sez. U, n. 40910 del 27/07/2005, NOME COGNOME Rv. 232066, secondo cui nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato non riguarda solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l’effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza (art. 597, comma 4, cod. proc. pen.), non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado.
3.5. Una volta riconosciuto il principio generale secondo cui il divieto di reformatio in peius riguarda tutti gli elementi autonomi che concorrono a determinarla (Sez.4, n. 34342 del 24/6/2021, COGNOME, Rv. 281829-02; Sez.2, n. 22032 del 16/3/2023, COGNOME, Rv. 284738; Sez.2, n. 17585 del 23/3/2023, COGNOME, Rv. 284531), ne consegue che il giudice d’appello, in caso di accoglimento
dell’impugnazione proposta dall’imputato in relazione al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti, non può rideterminare la pena
complessiva applicando, in relazione ad una delle predette circostanze, una riduzione di pena inferiore rispetto a quella che era stata già riconosciuta in primo
grado.
4. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere accolto limitatamente alla determinazione della pena, che dovrà essere nuovamente stabilita tenendo
conto dei principi sopra indicati e, quindi, tenendo ferma la riduzione già
riconosciuta in primo grado in relazione all’attenuante di cui all’art. 89 cod. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari.
Così deciso GLYPH luglio 2024