Reformatio in peius: La Cassazione e i limiti alla modifica della pena in appello
Il principio del divieto di reformatio in peius, sancito dall’art. 597 del codice di procedura penale, rappresenta una garanzia fondamentale per l’imputato che decide di impugnare una sentenza. Significa che il giudice dell’appello non può peggiorare la sua situazione. Tuttavia, l’applicazione di questa regola può diventare complessa, specialmente nei casi di reato continuato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su come il giudice può ricalcolare la pena senza violare tale divieto.
I Fatti del Caso: Appello e Rimodulazione della Pena
Il caso in esame riguarda un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Bologna. L’imputato era stato condannato in primo grado per più reati, unificati sotto il vincolo della continuazione. In appello, a seguito dell’assoluzione per uno dei reati satellite, la Corte aveva proceduto a un nuovo calcolo della pena.
Sebbene la pena finale inflitta fosse inferiore a quella del primo grado, il ricorrente lamentava che il giudice d’appello avesse illegittimamente aumentato la pena per il reato principale (resistenza a pubblico ufficiale, art. 337 c.p.), violando così il divieto di reformatio in peius. Secondo la difesa, la Corte non avrebbe potuto modificare la struttura della pena determinata dal primo giudice.
La Decisione della Corte di Cassazione: Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione ha rigettato tutte le doglianze, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno confermato la correttezza dell’operato della Corte d’Appello, ribadendo un principio consolidato, anche a Sezioni Unite: il divieto di reformatio in peius si applica al risultato finale della pena, non alle singole componenti del calcolo. Pertanto, il ricorso è stato respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: Analisi del Divieto di Reformatio in Peius
La Corte ha smontato punto per punto i motivi del ricorso, fornendo una chiara lezione sull’interpretazione dell’art. 597 c.p.p. nel contesto del reato continuato.
Il Primo Motivo: Struttura del Reato Continuato
Il punto centrale della decisione riguarda la flessibilità del calcolo della pena in appello. La Cassazione ha spiegato che, quando la struttura del reato continuato cambia (ad esempio perché uno dei reati viene meno), il giudice dell’impugnazione ha il potere e il dovere di ricalcolare la pena. È possibile che il reato prima considerato ‘satellite’ diventi quello più grave, o che l’aumento per la continuazione venga calcolato diversamente. L’unico, invalicabile limite è che la pena complessiva finale non sia superiore a quella inflitta dal primo giudice. Nel caso specifico, il venir meno di un reato ha permesso alla Corte d’Appello di irrogare una pena detentiva comunque inferiore, rispettando pienamente il divieto.
Gli Altri Motivi: Continuazione Interna e Genericità dell’Appello
La Corte ha anche respinto gli altri motivi di ricorso. In particolare, ha ritenuto infondata la censura sulla quantificazione degli aumenti per la continuazione ‘interna’ al reato di resistenza (commesso contro più persone), poiché il giudice d’appello era legittimato a specificare tali aumenti. Infine, ha dichiarato inammissibile la richiesta di concessione delle attenuanti generiche, in quanto formulata nell’atto d’appello in modo del tutto generico e quasi incidentale, come una mera richiesta ‘eventuale’ di riduzione della pena. La giurisprudenza è costante nel richiedere che tali motivi siano specifici e non meramente esplorativi.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale. Per gli avvocati e gli imputati, la lezione è duplice. Da un lato, il divieto di reformatio in peius protegge l’imputato da un peggioramento della pena complessiva, ma non ‘congela’ le singole componenti del calcolo, che possono essere legittimamente modificate dal giudice d’appello. Dall’altro, emerge ancora una volta l’importanza di formulare i motivi di appello in modo specifico e dettagliato: la genericità, specialmente su punti come le attenuanti, porta quasi inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.
Il giudice d’appello può aumentare la pena per un singolo reato se la pena totale diminuisce?
Sì. Secondo la Cassazione, non si viola il divieto di
reformatio in peius se il giudice, nel ricalcolare la pena per un reato continuato, apporta un aumento maggiore per uno specifico fatto, a condizione che la pena complessiva finale non sia superiore a quella decisa in primo grado.
Perché la richiesta di attenuanti generiche è stata respinta?
La richiesta è stata dichiarata inammissibile perché formulata in modo generico nel motivo d’appello. La difesa si era limitata a chiedere ‘eventualmente’ la concessione delle attenuanti all’interno di una richiesta generica di riduzione della pena, senza argomentare specificamente sul perché dovessero essere concesse.
Cosa accade alla pena se in appello l’imputato viene assolto da uno dei reati in continuazione?
Il giudice d’appello deve ricalcolare l’intera pena. Questo comporta l’eliminazione dell’aumento di pena relativo al reato per cui è intervenuta l’assoluzione e una nuova determinazione della pena base e degli eventuali ulteriori aumenti, con il risultato finale che deve essere uguale o inferiore alla condanna di primo grado.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47461 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47461 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 07/08/1986
avverso la sentenza del 08/05/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminato il ricorso di COGNOME
OSSERVA
Ritenuto che il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 597 c proc. pen. sul presupposto della maggior pena irrogata in ordine al delitto di cui all’art cod. pen. rispetto a quella applicata in aumento per la continuazione sulla pena determinat quanto al reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 39 del 1990 per il quale interv sentenza di assoluzione in secondo grado è manifestamente infondato ttenuto conto dell’ormai pacifica giurisprudenza secondo cui «non viola il divieto di “reformatio in peius” previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall’ide disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, C., Rv. 258652 – 01); si osserva, invero, che nel caso di specie, il venir meno del delitto di cui a 648, secondo comma, cod. pen. in ordine al quale era stata applicata la pena di cinque mesi di reclusione, pena che si colloca nell’ambito della forbice edittale prevista nella citata no non coincidente con quella prevista dall’art. 337 cod. pen. che prevede il minimo edittale di mesi di reclusione, unico reato ritenuto in sentenza, ha consentito alla Corte di appell pervenire ad una pena detentiva comunque inferiore rispetto a quella complessivamente irrogata dal primo giudice;
ritenuto che manifestamente infondato risulta il secondo motivo con cui si deduce l’erronea contestazione della continuazione interna al delitto di cui all’art. 337 cod. pe presupposto della sua mancata applicazione ad opera del primo giudice; che, invero, dalla sentenza di primo grado non si ricava avesse provveduto ad effettuare specifica quantificazione dei singoli aumenti per la continuazione, né può escludersi – come assume la difesa – che g stessi abbiano influito nella quantificazione della continuazione interna (per le tre pe offese evidenziate nella contestazione di cui all’art. 337 cod. pen. di cui al capo c), even che pertanto abilitava il giudice di appello ad argomentare in sentenza i relativi aumenti, t da pervenire alla irrogazione di pena complessivamente inferiore a quella determinata dal Tribunale;
rilevato che il terzo motivo con cui si censura la mancata risposta in ordine alle attenuan generiche è geneticamente inammissibile tenuto conto dell’assoluta genericità del motivo d gravame attraverso cui, nella articolazione del motivo ineentrato unicamente alla richiesta riduzione della pena per come determinata, si richiedeva “eventualmente” la concessione delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 3, n.53710 del 23/02/2016, C, Rv. 268705; Sez.2, n.49007 del 16/09/2014, lussi, Rv. 261423);
rilevato che manifestamente infondato risulta il quarto motivo con cui si censura omessa sostituzione della pena detentiva che non ha costituito oggetto di richiesta da par dell’imputato, circostanza che non impone una specifica pronuncia sul punto da parte della Corte di appello;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/11/2024