Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 4760 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 4760 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a SIRACUSA il 24/08/1972 COGNOME NOME nato a TORINO il 23/03/1972
avverso la sentenza del 09/04/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso per COGNOME NOME e , per COGNOME NOME, l’annullamento con rinvio limitatamente alla rideterminazione della pena. Rigetto nel resto del ricorso.
udito i difensori
L ‘Avvocato NOME conclude insistendo nell’accoglimento del ricorso
L’ Avvocato COGNOME NOME COGNOME insiste chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 aprile 2024, la Corte di appello di Catania, giudicando in sede di rinvio ex art. 627 cod. proc. pen., ha assolto NOME COGNOME dal reato di riciclaggio a lui ascritto al capo 9) della rubrica, per non aver commesso il fatto e rideterminato la pena per i reati di cui ai residui capi 3), 4) e 5) in tre anni, mese e dieci giorni di reclusione.
Ha, inoltre, concesso le circostanze attenuanti generiche a NOME COGNOME e rideterminato la pena, nei suoi confronti, nella misura di tre anni, quattro mesi e venti giorni di reclusione.
Il processo è parte di uno, ben più ponderoso, esitato nella sentenza della Quinta Sezione di questa Corte emessa il 10 febbraio 2023 relativo ad alcuni reati associativi, anche di natura mafiosa, aventi ad oggetto l’espansione del clan COGNOME e l’interessamento dello stesso per il settore delle scommesse on-line, anche attraverso l’acquisizione di locali commerciali ove effettuare l’attività di raccolta di scommesse.
Le indagini sono state effettuate mediante intercettazioni, sequestro di documentazione e dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore, avv. NOME COGNOME articolando quattro motivi declinati secondo i vizi, promiscuamente eccepiti, di violazione di legge e difetti di motivazione.
2.1. Con il primo ha eccepito, in punto di determinazione della pena, l’omessa considerazione, da parte della Corte di appello, della minore offensività della condotta dell’imputato, siccome emersa dall’intervenuta assoluzione per il delitto più grave originariamente contestatogli.
Quell’assoluzione avrebbe imposto di considerare, alla luce degli artt. 132 e 133 cod. pen. la minore gravità complessiva dei delitti commessi da COGNOME e, conseguentemente, di rirnodulare il trattamento sanzionatorio.
In ogni caso, la Corte avrebbe dovuto motivare la quantificazione della pena in termini più diffusi rispetto a quanto effettivamente operato.
2.2. Con il secondo motivo ha contestato l’omessa riforma delle statuizioni relative alle circostanze attenuanti generiche e alla continuazione, relativamente ai profili di connessione essenziale con il delitto per il quale è intervenut assoluzione, ossia quello di riciclaggio di cui all’art. 648bis cod. pen.
Strettamente connesso all’annullamento per il delitto più grave fra quelli contestati al ricorrente avrebbe dovuto ritenersi il diniego delle circostanze
attenuanti generiche la cui giustificazione non è stata vagliata alla luce della minore gravità complessiva della condotta derivante dall’annullamento e, successivamente, dall’assoluzione, per il delitto di maggiore gravità.
La connessione essenziale riguarderebbe, secondo il ricorrente, anche l’individuazione del vincolo della continuazione, stante la necessità di individuare ex novo la violazione più grave.
2.3. Con il terzo motivo è stata eccepita la violazione del divieto di reformatio in peius di cui all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen.
Dal divieto deriva che è preclusa la possibilità di modificare in senso peggiorativo ogni singolo elemento del calcolo della pena.
Nel caso di specie, la violazione sarebbe derivata dalla individuazione per il delitto associativo, ritenuto il più grave dal giudice di rinvio, della pena di du anni di reclusione, a fronte di un anno di reclusione fissato dal giudice nella sentenza oggetto di annullamento.
Peraltro, la motivazione adottata in sede di quantificazione della predetta pena (basata sulla gravità del reato, della diffusività dell’attività criminale n contesto siciliano) non sarebbe riferibile a condotte ascrivibili al ricorrente, mero partecipe del sodalizio che aveva come scopo quello dell’esercizio abusivo della raccolta di scommesse.
2.4. Con il quarto motivo ha contestato l’omessa riforma delle statuizioni relative alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen. trattandosi, anche in questo caso, di profilo connesso con l’annullamento disposto per il delitto di riciclaggio.
Sul punto, i giudici di merito dell’intero procedimento hanno omesso ogni motivazione, sebbene l’originario vincolo sequestro sia stato disposto proprio in relazione al delitto di riciclaggio.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore, avv. NOME COGNOME eccependo, in primo luogo, il vizio di motivazione apparente o mancante e violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio complessivamente inflitto dalla Corte catanese all’esito del giudizio di rinvio.
La pena per il reato più grave di cui all’art. 416b1s cod. pen. era stata determinata dal giudice di primo grado in sette anni di reclusione.
In sede di giudizio di rinvio, pur in assenza di impugnazione del pubblico ministero, la pena per il reato più grave è stata quantificata in sette anni e sei mesi di reclusione.
Priva di alcuna effettiva motivazione, inoltre, sarebbe la mancata applicazione delle riconosciute attenuanti generiche nella loro massima estensione.
Anziché ridurre la pena di un terzo, la Corte di appello di Catania ha l’ha ridotta di un quinto senza fornire adeguata giustificazione.
La Corte di appello, inoltre, ha omesso di motivare sull’eccezione di prescrizione rispetto alla quale, nella sentenza di annullamento, la Corte di cassazione aveva ritenuto assorbita la censura.
Si tratta dei reati di cui ai capi 10) e 11) (entrambi riferiti all’art. 512b1s c pen.) ormai estinti per prescrizione, stante il riconoscimento della speciale attenuante di cui all’art. 416bis.1, comma terzo, cod. pen.
4. I difensori hanno chiesto procedersi a trattazione orale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi non sono meritevoli di accoglimento.
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME
2.1. Il primo motivo è infondato.
Dall’assoluzione per uno dei reati per i quali è intervenuta sentenza di condanna in primo grado, il ricorrente ritiene consegua la necessaria diminuzione complessiva dell’entità della pena, alla luce della minore gravità della condotta offensiva.
La questione riguarda l’estensione del divieto di reformatio in peius del giudice dell’impugnazione che, nel caso di gravame proposto dal solo imputato, trova la propria disciplina nell’art. 597, commi 3 e 4, cod. proc. pen.
La prima disposizione prevede che «quando appellante è il solo imputato, il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà, entro i limiti indicati nel comma 1, di dare al fatto u definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado».
La seconda stabilisce, inoltre, che «in ogni caso, se è accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati per la continuazione, la pena complessiva irrogata è complessivamente diminuita».
Nel caso di specie, COGNOME ha riportato condanna, in primo grado, alla pena finale di anni cinque, mesi sei e giorni venti di reclusione e 9.400 euro di multa.
Previa assoluzione dal reato di cui al capo 9), la sentenza impugnata ha inflitto la pena finale di tre anni, un mese e dieci giorni di reclusione.
Sulla questione controversa la giurisprudenza di questa Corte esprime orientamenti non del tutto costanti.
Si registrano diversi interventi delle Sezioni Unite a seguito dei quali, tuttavia, continuano ad emergere oscillazioni interpretative.
Con la prima (Sez. U, n. 4460 del 19/01/1994, COGNOME, Rv. 196894 – 01, avente ad oggetto la disciplina del codice di procedura penale del 1930) è stato affermato il principio di diritto secondo cui «il divieto della reformatio in peiu fissato dall’art. 515 c.p.p. del 1930 non può condizionare i poteri di cognizione e di decisione del Giudice del gravame che, infatti, è legittimato a dare al reato una definizione giuridica diversa e anche più grave di quella attribuitagli dal Giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e, nel caso in cui sia stato richiesto dall’appellante il riconoscimento del vincolo della continuazione, ad individuare, ai sensi dell’art. 81 c.p., la violazione più grave, con l’unico limit fissato dalla stessa norma, di non irrogare, nel primo caso, una pena di maggiore entità o gravità rispetto a quella già inflitta e, nell’altro, di determina conformemente alle finalità dell’istituto, in misura complessivamente inferiore alla quantità che risulterebbe, in applicazione della regola del cumulo materiale, dalla sommatoria delle singole pene inflitte per i singoli reati. Il divieto suddett concerne, infatti, la parte dispositiva della sentenza e non si estende alla motivazione della stessa, nella cui formulazione il giudice non può subire condizionamenti a seguito del dedotto gravame o, nel caso di giudizio di rinvio, del disposto annullamento».
E’ stato precisato che «la limitazione dei poteri fissati dall’art. 515 c.p.p. de 1930 non è diretta a garantire all’imputato un trattamento sotto ogni aspetto migliore di quello usatogli nel precedente grado, ma solo ad impedirgli un trattamento sanzionatorio più grave rispetto a quello inflitto dal primo giudice».
Con la seconda decisione (Sez. U, n. 5978 del 12/05/1995, P., Rv. 201034 01) è stata affrontata la questione dei rapporti tre il terzo e il quarto comma dell’art. 597 cod. proc. pen. e si è affermato che «le due norme regolano aspetti diversi del giudizio d’appello, ma interagiscono, nel senso che il divieto della reformatio in peius ha una portata generale e pone un limite ai poteri del Giudice al quale, nei casi previsti dall’art. 597 co. 4 c.p.p., si aggiunge il dovere d diminuire la pena complessiva irrogata in misura corrispondente all’accoglimento dell’impugnazione. Diversamente dal divieto della reformatio in peius, che sorge quando appellante è il solo imputato (art. 597 co. 3 c.p.p.), il dovere di diminuire la pena, di cui all’art. 597 co. 4 c.p.p., esiste in ogni caso, cioè anche quando, oltre all’imputato, è appellante il Pubblico Ministero, la cui impugnazione può avere effetti di aumento sugli elementi della pena ai quali si riferisce, ma non
impedire le diminuzioni corrispondenti all’accoglimento dei motivi dell’imputato relativi a reati concorrenti o a circostanze. E di queste diminuzioni il Giudice d’appello GLYPH nella GLYPH motivazione GLYPH è GLYPH
tenuto GLYPH a GLYPH dare GLYPH conto». La Corte ha precisato che la diminuzione della pena deve essere operata dal giudice tenendo conto dell’effetto devolutivo dell’appello essendole precluso di intervenire su elementi di pena relativi a capi o a punti non coinvolti dall’impugnazione.
E’ stato così affermato il principio di diritto secondo cui «nei casi previst dell’art. 597 co. 4 c.p.p. (accoglimento dello appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti), il Giudice, oltre ad essere vincolato dal generale divieto della refornnatio in peius posto dal comma 3 del medesimo articolo, ha in ogni caso il dovere di diminuire la pena complessivamente irrogata in misura corrispondente all’accoglimento dell’impugnazione, e ciò anche quando, oltre all’imputato, sia appellante il Pubblico Ministero, il cui gravame può avere effetti di aumento sugli elementi della pena ai quali si riferisce, ma non impedire le diminuzioni corrispondenti allo accoglimento dei motivi dell’imputato».
Permanendo una giurisprudenza non del tutto uniforme sul tema qui in rilievo, si è reso necessario un ulteriore intervento delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, Morales, Rv. 232066) che, nel ribadire il principio affermato nel 1995, hanno anche reso alcune precisazioni ulteriori.
In primo luogo, è stata segnalata l’identità di formulazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. rispetto all’art. 515 cod. proc. pen. del 1930 e la portata innovativa della disposizione di cui al quarto comma che, in base a quanto evidenziato nella Relazione preliminare al codice del 1988, assolve alla funzione di «rafforzare il divieto della reformatio in peius» che, con il codice abrogato, veniva sostanzialmente eluso dalla giurisprudenza allorché lo considerava riferibile solo alla pena complessivamente inflitta, consentendo di lasciare privi di conseguenze il riconoscimento di attenuanti, l’esclusione di aggravanti o il proscioglimento da alcune delle imputazioni contestate come concorrenti.
Le Sezioni Unite hanno così affermato che «proprio a seguito dell’introduzione di una previsione innovativa, come quella contenuta nel quarto comma dell’art. 597 c.p.p. appare, infatti, superato l’orientamento giurisprudenziale, formatosi soprattutto sotto il vigore dell’art. 515 co. 3 c.p.p. del 1930, in base al quale il divieto della “reformatio in peius ” andava riferito alla pena in definitiva irrogata e non ai singoli elementi che la compongono ed ai calcoli effettuati per giungere alla determinazione complessiva di essa. Deve, quindi, affermarsi che il divieto di “reformatio in peius” riguarda – oggi – non
soltanto il risultato finale, ma anche tutti gli elementi del calcolo della pena. L disposizione contenuta nel quarto comma dell’art. 597 c.p.p. individua, infatti, quali elementi autonomi, pur nell’ambito della pena complessiva, sia gli aumenti o le diminuzioni apportati alla pena base per le circostanze, che l’aumento conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione. Conseguenza di tale autonomia non è solo l’obbligatoria diminuzione della pena complessiva, in caso di accoglimento dell’appello in ordine alle circostanze o al concorso di reati, anche se unificati per la continuazione, come espressamente previsto dall’art. 597 co. 4 c.p.p., ma anche l’impossibilità di elevare la pena comminata, per detti singoli elementi, pur risultando diminuita quella complessiva a seguito dell’accoglimento dell’appello proposto con riferimento non alle circostanze o al concorso di reati, ma per altri motivi. Il divieto di aumento di pena consegue all’effetto devolutivo dell’appello, di cui all’art. 597 co. 1 c.p.p., che riafferma principio già contenuto nell’art. 515 co. 1 del codice di rito del 1930».
Si segnala, inoltre, anche l’ulteriore arresto delle Sezioni Unite secondo cui «il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante o riconosciuto un’ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, può, senza incorrere nel divieto di “reformatio in peius”, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze, purchè questo sia accompagnato da adeguata motivazione» (Sez. U, n. 33752 del 18/04/2013, Papola, Rv. 255660).
Il principio affermato dalle Sezioni Unite Morales ha trovato numerose declinazioni applicative trasfuse in decisioni che hanno, in parte, inteso quanto affermato dalla Corte in termini rigorosi, in altre, sostanzialmente disatteso il principio sopra riportato.
. In termini conformi all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite, si registrano numerosi precedenti con i quali è stata ribadita l’estensione del divieto di reformatio in peius al procedimento che deve essere seguito dal giudice nella determinazione della pena finale.
Così, fra le altre, Sez. 4, n. 47341 del 28/10/2005, COGNOME, Rv. 233177; Sez. 6, n. 36573 del 04/07/2012, COGNOME, Rv. 253377; Sez. 3, n. 17113 del 16/12/2014, C., Rv. 263387; Sez. 4, n. 34342 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 281829 – 02; Sez. 2, n. 16995 del 28/01/2022, Somma, Rv. 283113.
In numerosi casi, passando così, alla rapida rassegna dell’orientamento che individua nel solo calcolo finale della sanzione concretamente irrogata, è stato affermato che il giudice dell’impugnazione, non è vincolato ai calcoli intermedi compiuti dal giudice di primo grado.
In tal senso, fra le molte, Sez. 3, n. 25606 del 24/03/2010, COGNOME, Rv. 247739; Sez. 2, n. 33563 del 14/07/2016, COGNOME, Rv. 267858; Sez. 5, n.
1281 del 12/11/2018, dep. 2019, COGNOME Rv. 274390, Sez. 5, n. 15130 del 03/03/2020, COGNOME Rv. 279086 – 02.
Deve ritenersi acquisito, pertanto, il dato per cui per apprezzare la violazione del divieto di reformatio in peius, occorre avere riguardo all’entità complessiva della pena irrogata (dalla quale è stata eliminata la pena per il reato venuto meno), non essendo obbligato il giudice dell’appello che pronuncia sentenza assolutoria per uno dei reati in continuazione a ridurre, corrispondentemente, anche la pena inflitta per gli altri reati residui per i quali è confermata la pronuncia di condanna.
2.2. La seconda censura è preclusa dall’avvenuto rigetto del motivo di ricorso proposto avverso la precedente sentenza della Corte di appello nella parte in cui erano state escluse le circostanze attenuanti generiche.
A pag. 40 della sentenza della Quinta Sezione si leggono le ragioni che hanno determinato il rigetto del motivo su tale profilo che, conseguentemente, non è suscettibile di essere rimesso in discussione, neppure all’esito dell’annullamento della sentenza sul capo 9) che, infatti, non ha comportato l’assorbimento della questione riferita all’attenuazione del trattamento sanzionatori ai sensi dell’art. 62 bis cod. pen.
La parte di censura riferita al vincolo della continuazione, oltre che essere generica, non essendo stato chiarito a quale risultato sia funzionale, si ritiene assorbita dalle considerazioni svolte al punto precedente.
2.3. Con riferimento al terzo motivo, va richiamato, in primo luogo, il principio per cui «nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della condanna per il solo reato più grave, il giudice del rinvio, nel determinare la pena per il reato residuo, meno grave, non è vincolato alla quantità di pena individuata quale aumento ai sensi dell’art. 81, comma secondo, cod. pen. ma , per la regola del divieto di “reformatio in peius”, non può irrogare una pena che, per specie e quantità, costituisca un aggravamento di quella individuata, nel giudizio precedente all’annullamento parziale, quale base per il computo degli aumenti a titolo di continuazione. (Nella specie la Corte ha ritenuto sussistente la violazione del divieto in un caso in cui il giudice del rinvio aveva aumentato la pena per il reato satellite determinandola in misura superiore a quanto disposto nel primo giudizio, pur irrogando una pena finale complessivamente inferiore)». (Sez. 4, n. 13806 del 07/03/2023, Clemente, Rv. 284601).
Inoltre, è stato affermato che «nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento della condanna per il solo reato più grave, il giudice di rinvio, nel determinare la pena per il reato residuo, meno grave, non è vincolato alla quantità di pena già individuata quale aumento “ex” art. 81, comma secondo, cod. pen., ma, per la regola del divieto di “reformatio in peius”, non può irrogare
una pena che, per specie e quantità, costituisca un aggravamento di quella individuata, nel giudizio precedente all’annullamento parziale, quale base per il computo degli aumenti a titolo di continuazione» (Sez. 2, n. 2692 del 09/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284301).
In sostanza, il limite della reformatio in peius avrebbe precluso al giudice di rinvio di determinare, come pena base, una sanzione superiore a quella individuata (sempre come pena base) dal giudice di primo grado.
Non era tuttavia vincolato alla determinazione della pena per il capo 3) a titolo di continuazione, essendo stata rimodulata tutta la struttura del reato continuato.
Nel caso di specie, la pena base è stata determinata (prima della riduzione per il rito) in quella di due anni di reclusione sulla base di elementi di fatt specificamente indicati (particolare gravità del reato, diffusione dell’attività su tutto il territorio siciliano), mentre, in primo grado, la pena base per il reato pi grave era stata quantificata nella misura di quattro anni di reclusione e 10.000 euro di multa.
2.4. Così come per il profilo relativo alle circostanze attenuanti generiche, deve ritenersi che ogni questione sulla confisca posta con il quarto motivo sia preclusa per effetto della declaratoria di manifesta infondatezza, in parte qua, del ricorso per cassazione pronunciata dalla Quinta Sezione (pagg. 40 e 41 della sentenza rescindente).
Ricorso nell’interesse di NOME COGNOME.
E’ infondato il motivo relativo alla determinazione della pena per il reato più grave di cui all’art. 416 bis cod. pen..
Infatti, il giudice di primo grado (pag. 148 della relativa sentenza) ha determinato, per tale delitto, la pena nella misura di sette anni di reclusione, previa applicazione della riduzione della pena ai sensi dell’art. 416bis.1., comma terzo, cod. pen.
La pena è stata quantificata (testualmente) in «anni sette di reclusione in considerazione della pena applicabile per il tempus commissi delicti nonché previa concessione della circostanza attenuante specifica di cui all’art. 416bis 1 comma 3 c.p. da dichiarare prevalente su tutte le circostanze aggravante contestate».
Su tale sanzione sono stati computati gli aumenti a titolo di continuazione.
La sentenza oggetto di impugnazione, ha quantificato, invece, la pena base nella misura di sette anni e sei mesi di reclusione, al lordo della riduzione per l’attenuante di cui all’art. 416bis.1., comma terzo, cod. pen. che ha applicato successivamente, determinando la pena nella misura di tre anni e nove mesi di
reclusione, ulteriormente diminuita per le circostanze attenuanti generiche concesse.
Non risulta, pertanto, alcuna revisione peggiorativa nella determinazione della pena base.
Per quanto riguarda la mancata applicazione delle attenuanti generiche nella massima estensione, la Corte di appello ha motivato richiamando i precedenti penali dell’imputato.
A fronte di tale motivazione (che prende in esame un parametro legittimamente utilizzabile ai fini della quantificazione della riduzione per le circostanze attenuanti generiche) il ricorrente si pone in termini meramente confutativi.
Infine, in ordine alla eccepita prescrizione per i reati di cui ai capi 10) e 11) (due fattispecie di cui all’art. 512bis cod. pen.), si osserva che la Quinta Sezione non ha pronunciato sul punto e che non risulta dalla sintesi dei motivi di ricorso che il ricorrente abbia sollevato censura alcuna su tali reati nel precedente giudizio di legittimità (pagg. 16 e 17 della sentenza).
L’assorbimento del quarto motivo riguarda un tema che è estraneo ai predetti reati, essendo riferito alla misura della pena.
Anche su tale punto, quindi, ogni questione è preclusa dall’intervenuto giudicato.
Peraltro, il ricorso non considera che la richiamata elisione dell’aggravante riferita alle modalità del fine e del metodo mafioso, per effetto della speciale attenuante della collaborazione, opera per il termine rapportato all’entità della pena ex art. 157 cod. pen. ma non anche agli effetti delle interruzioni ex art. 161 cod. pen. poiché, per tali reati, il termine ricomincia a decorrere per intero dopo ogni interruzione, senza limite quanto all’incremento complessivo.
Da quanto esposto, deriva il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
o Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. – Così deciso il 21/11/2024