Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 45230 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 45230 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SECONDA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME IMPERIALI NOME COGNOMENOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in Marocco il 10/01/1956
avverso la sentenza del 30/01/2024 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME
COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. 137/2020 e s.m.i.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano con sentenza del 30/01/2024 – in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano in data 19/1/2023, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva condannato NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 648 cod. pen., così riqualificata l’originaria imputazione di cui all’art. 648bis cod. pen. riqualificava nuovamente i fatti per cui era intervenuta condanna nel reato di cui all’art. 648bis cod. pen. di cui all’originaria contestazione, confermando nel resto la sentenza appellata.
L’imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 597 cod. proc. pen. Rileva come la piø grave qualificazione del fatto nel reato di riciclaggio costituisca una violazione del divieto della reformatio in peius , quantomeno con riferimento al computo del tempo necessario per la prescrizione, oltre che in relazione al trattamento sanzionatorio; che, per quanto attiene a quest’ultimo profilo, con il terzo motivo di appello si chiedeva di rivalutare la pena irrogata per la ricettazione, contenendola nel minimo edittale; che, invece, mutato il titolo di reato, la pena comminata corrispondeva al minimo edittale della nuova ipotesi delittuosa, per cui la Corte territoriale, pur volendo, non avrebbe potuto operare una diversa valutazione sul tema.
2.2. Con il secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 648bis cod. pen., nonchØ manifesta illogicità della motivazione. Ritiene che la condotta dell’imputato, che si Ł limitato a ricevere consistenti somme di denaro ed a trasferirle ad altri soggetti, non integri il reato di riciclaggio, essendo inidonea a dissimulare o a nascondere la provenienza delittuosa delle stesse; che l’origine illecita del denaro Ł rimasta tale anche dopo la condotta posta in essere dal ricorrente, potendo essa al piø determinare una incertezza sulla identità del soggetto percettore della somma, senza incidere sulla sua provenienza illecita; che, dunque, il quid pluris rispetto alla ricettazione, richiesto per la configurabilità del riciclaggio, manca nel caso di specie.
Evidenzia, inoltre, che non risulta individuato il reato presupposto, il quale – se pure non necessita di essere ricostruito in tutti i suoi elementi storici e fattuali – deve essere comunque specificato almeno nella sua tipologia; che, invero, il reato presupposto Ł individuato in via del tutto ipotetica e indiziaria nel traffico di sostanze stupefacenti, unicamente perchØ alcuni dei soggetti coinvolti hanno precedenti specifici e sono collegati ad una piø vasta indagine relativa ad un traffico internazionale di droga.
2.3. In data 18/11/2024 Ł pervenuta articolata memoria scritta con cui si insiste nella richiesta di annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł destituito di fondamento per le ragioni che seguono.
1.1. Il primo motivo Ł manifestamente infondato.
Invero, quanto alla ritenuta violazione del divieto di reformatio in peius , si osserva che tale principio non Ł violato dalla sentenza del giudice di appello che dia al fatto una definizione giuridica piø grave da cui consegua una modifica sfavorevole dei termini di prescrizione, atteso che – a mente dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. – deve escludersi che la determinazione di un diverso e piø lungo termine prescrizionale rientri nel novero degli effetti del divieto di reformatio in peius , trattandosi, invece, di un effetto collaterale derivante dalla diversa definizione giuridica espressamente consentita al giudice di appello (Sez. 2, n. 23410 del 01/07/2020, Ndiaye, Rv. 279772 – 01). Il principio in discorso, invero, comporta solo l’impossibilità, in assenza dell’impugnazione del pubblico ministero, di comminare una sanzione piø grave di quella già inflitta, avuto riguardo non soltanto al risultato finale, ma anche tutti gli elementi del calcolo della pena (Sez. U, n. 40910 del 27/09/2005, NOME COGNOME in motivazione). Dunque, il divieto di reformatio in peius non implica l’intangibilità del trattamento penale nel suo complesso, ma solo preclude al giudice di appello di applicare una pena piø grave per specie o quantità o una misura di sicurezza nuova, o piø grave, revocare benefici, ovvero prosciogliere per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata (art. 597, comma 3, cod. proc. pen.), restando salva la facoltà del giudice di appello di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, anche piø grave di quella ritenuta dal giudice di primo grado, con ogni connessa conseguenza in tema di determinazione del tempo necessario alla prescrizione del reato, trattandosi di effetti sfavorevoli estranei al divieto di riforma peggiorativa (Sez. 2, n. 46712 del 30/10/2019, COGNOME, Rv. 277599 – 01; Sez. 1, n. 49671 del 24/09/2019, COGNOME, Rv. 277859 – 01).
In altri termini, il giudice di appello, pur in difetto di gravame del pubblico ministero, può dare al fatto una diversa e piø grave qualificazione giuridica, ove la questione sia strettamente connessa ad un capo o ad un punto della sentenza che abbia costituito oggetto dell’impugnazione, senza per questo violare il divieto di reformatio in peius , in quanto tale divieto Ł diretto non a garantire all’imputato un trattamento sotto ogni aspetto migliore di quello riservatogli nel precedente grado, o comunque spettantegli in relazione alla precedente qualificazione giuridica del fatto, ma solo ad
impedire l’applicazione di un trattamento sanzionatorio piø grave, avendo riguardo unicamente alla pena sotto il profilo sia della specie, sia della quantità della sua complessiva determinazione (Sez. 6, n. 47488 del 17/11/2022, F., Rv. 284025 – 01; Sez. 2, n. 4640 del 01/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280560 – 01; Sez. 2, n. 39961 del 19/07/2018, COGNOME, Rv. 273923 – 01). Del resto, Ł stato anche di recente affermato che il giudice di appello, pur in presenza dell’impugnazione del solo imputato, può procedere alla riqualificazione giuridica del fatto nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall’art. 6 CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, anche senza disporre la rinnovazione totale o parziale dell’istruttoria dibattimentale, sempre che sia sufficientemente prevedibile la ridefinizione dell’accusa inizialmente formulata, che il condannato sia in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica del fatto e che questa non comporti una modifica in peius del trattamento sanzionatorio (Sez. 3, n. 9457 del 19/01/2024, E., Rv. 286026 – 01).
Nel caso di specie, le garanzie che discendono dal principio di cui si discute risultano rispettate, non avendo ricevuto il ricorrente un trattamento sanzionatorio deteriore e soprattutto non costituendo la riqualificazione del fatto un evento imprevedibile del giudizio, tenuto conto che l’imputazione iniziale era proprio per il reato di cui all’art. 648bis cod. pen. Del resto, non può essere condiviso il percorso logico argomentativo della difesa, secondo cui la diversa qualificazione avrebbe impedito di ridurre la pena, posto che quella irrogata in primo grado corrisponde al minimo edittale previsto dall’art. 648bis cod. pen. Invero, trattasi di una conseguenza inevitabile della diversa qualificazione giuridica della condotta criminosa, che – per quel che qui rileva – non ha comportato, come detto, conseguenze deteriori per l’imputato in punto di trattamento sanzionatorio.
1.2. Il secondo motivo Ł manifestamente infondato sotto entrambi i profili denunciati.
1.2.1. Ed invero, il delitto di riciclaggio Ł integrato non soltanto dalle condotte tipiche di sostituzione o trasformazione del bene di origine illecita ma, altresì, secondo la testuale dizione contenuta nella norma, «da ogni altra operazione diretta ad ostacolare l’identificazione» dell’origine delittuosa del bene. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto cura di precisare che la disposizione di cui all’art. 648bis cod. pen., pur configurando un reato a forma libera, richiede che le attività poste in essere sul denaro, bene od utilità di provenienza delittuosa siano specificamente dirette o alla sua trasformazione parziale o totale, ovvero ad ostacolare l’accertamento sull’origine delittuosa della res , anche senza incidere direttamente, mediante alterazione dei dati esteriori, sulla cosa in quanto tale (Sez. 2, n. 46754 del 26/09/2018, D., in motivazione).
In altri termini, trattandosi di reato a forma libera, «non si richiede necessariamente ed imprescindibilmente per la punibilità della condotta che l’attività abbia comunque comportato una trasformazione del bene o dei suoi elementi identificativi tipici o dei codici di identificazione dello stesso, potendo la condotta punibile anche essere realizzata attraverso azioni dirette ad ostacolare l’origine delittuosa del bene senza la modificazione dello stesso. La sostanziale modificazione degli elementi identificativi dell’oggetto materiale del reato non si configura pertanto quale elemento unico ed imprescindibile per la punibilità dell’azione delittuosa di riciclaggio, potendo anche configurarsi la condotta punibile in presenza di attività che, pur non mutando l’essenza del bene di provenienza delittuosa, costituiscano sempre un quid pluris rispetto alla semplice ricezione del bene e seguano tale condotta punibile secondo lo schema di cui all’art. 648 cod. pen. e siano però caratterizzate dal frapporre ostacoli concreti alla identificazione del bene quale provento di precedente delitto».
Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha anche avuto modo di precisare che «la prima parte della norma incriminatrice tipizza, come condotta causalmente produttiva dell’evento di pericolo, il trasferimento: vocabolo, che non vi Ł ragione di interpretare quale sinonimo empirico di atto negoziale dispositivo della proprietà o del possesso. Per contro, anche l’attività materiale di trasferimento da un luogo ad altro Ł idonea ad integrare il reato, ove valga a rendere di fatto piø
difficoltosa l’identificazione dell’origine illecita» (così, Sez. 2, n. 23774 del 13/07/2020, Aatifi Faycal, in motivazione; v., anche, Sez. 2, 15/05/2008 n. 23666 del 15/05/2008, COGNOME, Rv. 241107 – 01; Sez. 2, n. 21667 del 03/05/2007, COGNOME, n.m.). Tale appare, appunto, lo spostamento di una somma di denaro provento di attività illecite da un luogo ad un altro (in piø occasioni distanti diverse centinaia di chilometri tra loro, come si evince dal contenuto delle intercettazioni) per l’oggettiva diminuzione delle probabilità di risalire al reato presupposto, dovuta alla recisione del collegamento con il luogo di provenienza.
Dunque, ritiene il Collegio che il delitto di riciclaggio sia integrato anche dalla condotta di chi, ricevuto il denaro provento di attività illecita (nel caso di specie, profitto di reati in materia di stupefacenti), pur senza porre in essere condotte di trasformazione, lo trasporti in luogo diverso e lo consegni a terzi soggetti, atteso che in tal modo l’individuazione dell’origine delittuosa del denaro Ł resa maggiormente difficoltosa, tenuto conto da un lato della sua fungibilità e dell’assenza della minima tracciabilità di tale operazione e dall’altro del mutato contesto spazio-temporale in cui riemerge, oltre che della riferibilità a soggetto del tutto diverso da quello che ha commesso il delitto di cui il denaro costituisce il profitto.
1.2.2. Quanto alla individuazione del reato presupposto del contestato riciclaggio, osserva il Collegio che sul punto si registrano due orientamenti.
Secondo una prima impostazione, il semplice possesso di somme significative di denaro, senza giustificazione, Ł sufficiente ad indicare la sua provenienza illecita, almeno nei procedimenti incidentali che si collocano nella prima fase delle indagini. ¨ stato, invero, ritenuto che integra il delitto di riciclaggio la condotta idonea a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di una rilevante somma di denaro, qualora, per il luogo e le modalità dell’occultamento, possa ritenersi certa la sua provenienza illecita, non essendo necessario, a tal fine, l’accertamento giudiziale della commissione del delitto presupposto, della sua esatta tipologia e dei suoi autori, posto che il giudice può affermarne l’esistenza attraverso prove logiche (Sez. 2, n. 16012 del 14/03/2023, COGNOME, Rv. 284522 – 01; Sez. 2, n. 5616 del 15/01/2021, Grumo, Rv. 280883 – 02; Sez. 2, n. 43532 del 19/11/2021, COGNOME, Rv. 282308 – 01; Sez. 2, n. 20188 del 04/02/2015, COGNOME, Rv. 263521 – 01).
Secondo un diverso e maggiormente consolidato orientamento, cui il Collegio intende dare continuità, invece, ai fini della configurabilità del fumus dei reati contro il patrimonio presupponenti la consumazione di un altro reato (artt. 648, 648bis , 648ter , 648ter .1 cod. pen.), Ł necessario che il reato presupposto, quale essenziale elemento costitutivo delle relative fattispecie, sia individuato quantomeno nella sua tipologia, pur non essendone necessaria la ricostruzione in tutti gli estremi storico-fattuali (Sez. 2, n. 26902 del 31/05/2022, Visaggio, Rv. 283563 – 01; Sez. 2, n. 6584 del 15/12/2021, dep. 2022, Cremonese, Rv. 282629 – 01; Sez. 2, n. 46773 del 23/11/2021, COGNOME, Rv. 282433 – 02; Sez. 2, n. 29689 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 277020 – 01). Ciò per evitare che si proceda al sequestro di somme di denaro contante, elevando imputazioni ai sensi degli artt. 648 o 648bis o ancora 648ter cod. pen., in assenza di qualsiasi elemento atto a dimostrare l’esistenza di un delitto presupposto, in tal modo legittimandosi la generale ablazione di qualsiasi somma ritenuta rilevante. In altri termini, l’estensione generalizzata della possibilità di contestare fattispecie di ricettazione, riciclaggio ed autoriciclaggio, ritenendo in via incidentale e sulla base della prova logica l’esistenza di un reato presupposto, rischierebbe di legittimare prassi di generalizzata ablazione di somme di denaro prive di giustificazione e comporterebbe un eccessivo ampliamento della operatività di dette fattispecie, che non garantirebbe il cittadino da una applicazione indiscriminata ed illegittima del provvedimento ablativo.
Tanto premesso, si osserva come, nel caso di specie, la motivazione del provvedimento impugnato individui il reato presupposto in uno di quelli concernenti la violazione della normativa in materia di stupefacenti e che ciò avvenga sulla base di una serie di elementi che, a giudizio del
Collegio, sono sufficienti a ritenere compiutamente integrata l’indicazione del tipo, non essendo necessaria – come si Ł già rilevato – la puntuale ricostruzione in tutti gli estremi storico-fattuali del reato de quo . In particolare, la Corte territoriale ha evidenziato come il presente procedimento tragga origine proprio da una piø ampia indagine a carico di soggetti operanti nell’ambito del traffico internazionale di stupefacenti ed ha, altresì, valorizzato la circostanza per cui molti dei soggetti che affidavano le ingenti somme di denaro all’odierno ricorrente fossero dediti all’attività di spaccio di sostanze stupefacenti.
All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 26/11/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME