LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Reformatio in peius e riciclaggio: limiti e confini

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45230/2024, ha stabilito che la riqualificazione di un reato in una fattispecie più grave in appello non viola il divieto di reformatio in peius, a patto che non venga aumentata la pena. Nel caso specifico, la condotta di mero trasferimento di denaro illecito è stata correttamente qualificata come riciclaggio e non come semplice ricettazione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 14 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Divieto di Reformatio in Peius e Riciclaggio: la Cassazione traccia i confini

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 45230 del 2024, offre importanti chiarimenti su due temi centrali del diritto penale: il divieto di reformatio in peius e la configurabilità del reato di riciclaggio. La Corte ha stabilito che la riqualificazione giuridica del fatto in un reato più grave da parte del giudice d’appello non viola tale divieto, a condizione che la pena finale non venga inasprita. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati.

I fatti del processo

Il caso trae origine da una condanna in primo grado per il reato di ricettazione (art. 648 c.p.). In sede di appello, la Corte territoriale, riformando parzialmente la prima decisione, ha riqualificato il fatto nel più grave reato di riciclaggio (art. 648-bis c.p.), così come era stato originariamente contestato, confermando nel resto la sentenza.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali:
1. La violazione del divieto di reformatio in peius, sostenendo che la riqualificazione in riciclaggio costituisse un peggioramento della sua posizione, sia per il trattamento sanzionatorio che per i termini di prescrizione.
2. L’errata applicazione della norma sul riciclaggio, argomentando che la sua condotta – limitata a ricevere e trasferire somme di denaro – non fosse idonea a nascondere o dissimulare la provenienza delittuosa dei fondi. Contestava inoltre la mancata individuazione certa del reato presupposto.

La decisione della Cassazione sul divieto di reformatio in peius

La Suprema Corte ha dichiarato il primo motivo di ricorso manifestamente infondato. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: il divieto di reformatio in peius, sancito dall’art. 597 del codice di procedura penale, riguarda esclusivamente il trattamento sanzionatorio finale. Ciò significa che il giudice d’appello, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, non può comminare una pena più grave per specie o quantità, né applicare una misura di sicurezza nuova o più grave.

Tuttavia, questo divieto non preclude al giudice la possibilità di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica, anche se più grave di quella ritenuta in primo grado. Le conseguenze sfavorevoli che possono derivare da tale riqualificazione, come l’allungamento dei termini di prescrizione, sono considerate ‘effetti collaterali’ che non rientrano nell’ambito di applicazione del divieto. L’importante è che la pena concretamente inflitta non superi quella decisa nel grado precedente. Nel caso di specie, la riqualificazione era peraltro prevedibile, essendo il riciclaggio l’imputazione originaria.

La configurabilità del riciclaggio

Anche il secondo motivo è stato rigettato. La Corte ha ricordato che il delitto di riciclaggio è un reato a forma libera, che si concretizza non solo con la sostituzione o trasformazione del bene illecito, ma con ‘ogni altra operazione diretta ad ostacolare l’identificazione’ della sua origine delittuosa.

Non è necessario, quindi, che il bene venga materialmente alterato. Anche il semplice trasferimento di denaro da un luogo a un altro, specie se su lunghe distanze, e la sua consegna a terzi soggetti, costituisce un’attività idonea a integrare il reato. Tale condotta, infatti, rende oggettivamente più difficoltosa la tracciabilità dei flussi finanziari e recide il collegamento tra il denaro e il suo luogo di provenienza, ostacolando l’accertamento del reato presupposto. Questo ‘quid pluris’ rispetto alla mera ricezione del denaro (propria della ricettazione) è sufficiente a configurare il più grave delitto di riciclaggio.

L’individuazione del reato presupposto

Infine, per quanto riguarda l’identificazione del reato presupposto, la Cassazione ha seguito l’orientamento maggioritario. Non è richiesta una ricostruzione precisa in ogni dettaglio storico-fattuale del delitto da cui provengono i fondi. È sufficiente che il giudice ne individui la tipologia (nel caso di specie, reati legati al traffico di stupefacenti) sulla base di elementi logici e prove indiziarie, come il contesto investigativo e i precedenti dei soggetti coinvolti.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una chiara distinzione tra il ‘dispositivo’ sanzionatorio della sentenza e la ‘qualificazione giuridica’ del fatto. Il principio del divieto di reformatio in peius è posto a garanzia dell’imputato contro un inasprimento della pena in appello, ma non lo ‘cristallizza’ nella qualificazione giuridica data in primo grado. Il giudice d’appello conserva pienamente il potere di inquadrare correttamente i fatti nell’ipotesi di reato più appropriata, anche se più grave. Per quanto riguarda il riciclaggio, la motivazione valorizza la natura polimorfa della condotta, che può manifestarsi anche in semplici attività di trasferimento fisico del denaro, purché idonee a creare un ostacolo concreto all’identificazione della sua origine illecita. Questa interpretazione estensiva è coerente con la finalità della norma, che è quella di contrastare l’immissione di capitali illeciti nel circuito economico legale.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza n. 45230/2024 ribadisce due importanti principi. Primo, il divieto di reformatio in peius opera sul piano della pena e non impedisce una riqualificazione del reato in senso peggiorativo. Secondo, il reato di riciclaggio può essere integrato anche da condotte di mero trasferimento di denaro, senza che sia necessaria una sua trasformazione, quando tali operazioni rendono più difficile risalire alla sua provenienza criminale. La Corte ha quindi dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Il giudice d’appello può modificare la qualificazione del reato in una più grave senza violare il divieto di reformatio in peius?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che tale principio non è violato se il giudice d’appello dà al fatto una definizione giuridica più grave, a condizione che non commini una sanzione finale più severa di quella inflitta in primo grado. Il divieto riguarda la pena, non la qualificazione giuridica.

Il semplice trasferimento di denaro illecito da un luogo all’altro è sufficiente per configurare il reato di riciclaggio?
Sì. Secondo la sentenza, anche la condotta di chi, ricevuto denaro di provenienza illecita, lo trasporta in un luogo diverso per consegnarlo a terzi, integra il delitto di riciclaggio. Tale operazione è infatti considerata idonea a ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa del denaro.

È necessario provare con certezza il reato presupposto per una condanna per riciclaggio?
No. Non è necessaria la ricostruzione del reato presupposto in tutti i suoi elementi storici e fattuali. È sufficiente che il giudice ne individui la tipologia (ad esempio, traffico di stupefacenti) sulla base di prove logiche e del contesto in cui i fatti si sono verificati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati