Divieto di reformatio in peius: i limiti nel calcolo della pena per il reato continuato
Un’ordinanza della Corte di Cassazione torna a fare luce su un principio fondamentale del processo penale: il divieto di reformatio in peius. Questo principio, sancito dall’articolo 597 del codice di procedura penale, tutela l’imputato che decide di impugnare una sentenza, garantendogli che la sua posizione non possa essere peggiorata dal giudice dell’appello. La pronuncia in esame chiarisce come questa regola si applichi nei casi complessi di reato continuato, specialmente quando la struttura stessa dell’accusa cambia tra un grado di giudizio e l’altro.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso di un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello. In secondo grado, il ricorrente era stato prosciolto da uno dei capi d’imputazione (capo a), che in precedenza era stato considerato il reato più grave ai fini del calcolo della pena per il reato continuato. Di conseguenza, la Corte d’Appello aveva dovuto ricalcolare la sanzione, individuando un altro reato (capo b) come nuova e più grave violazione su cui basare la pena complessiva. L’imputato lamentava che questa operazione avesse violato la legge, contestando la modalità di individuazione della nuova pena base.
La Decisione della Corte e l’applicazione del principio di reformatio in peius
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici hanno ribadito un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato: la determinazione della pena, inclusa la sua graduazione attraverso l’applicazione di aumenti e diminuzioni, rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito. Tale discrezionalità deve essere esercitata nel rispetto dei criteri guida stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono di valutare la gravità del fatto e la personalità del reo.
Il punto cruciale della decisione riguarda proprio l’interpretazione del divieto di reformatio in peius nel contesto di una modifica strutturale del reato continuato.
Le Motivazioni
La Corte ha spiegato che l’assoluzione per il reato originariamente più grave ha legittimamente imposto al giudice d’appello di ridefinire la struttura del reato continuato. In questo nuovo quadro, è stato correttamente individuato il reato di cui al capo b) come il più grave, utilizzandolo come nuova base per il calcolo della pena.
Citando una fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 16208 del 2014), la Cassazione ha sottolineato che il divieto di reformatio in peius non è violato quando il giudice dell’impugnazione, a fronte di una mutata struttura del reato continuato (come nel caso in cui un reato ‘satellite’ diventi quello principale), applica per uno dei fatti un aumento maggiore rispetto a quello deciso in primo grado. L’unica, invalicabile condizione è che la pena complessiva finale non sia superiore a quella irrogata con la sentenza impugnata. Il divieto, quindi, tutela il risultato sanzionatorio finale, non i singoli passaggi logico-matematici che portano a quel risultato.
Le Conclusioni
L’ordinanza conferma che la garanzia contro la reformatio in peius opera sul piano del risultato finale: l’imputato appellante non deve rischiare di ottenere una condanna più pesante. Tuttavia, ciò non cristallizza il percorso argomentativo del primo giudice. Il giudice d’appello conserva la facoltà di ricalibrare la pena, anche aumentando la sanzione per un singolo episodio criminoso, se la struttura del reato continuato viene modificata da un’assoluzione parziale, a patto di rispettare il tetto della pena complessiva inflitta in precedenza. Questa interpretazione bilancia la tutela dell’imputato con la necessità per il giudice di adeguare la pena alla reale gravità dei fatti residui accertati.
Un giudice d’appello può aumentare la pena per un singolo reato senza violare il divieto di reformatio in peius?
Sì, può farlo nel contesto di un reato continuato la cui struttura è cambiata (ad esempio, a seguito di un’assoluzione per il reato prima considerato più grave), a condizione che la pena complessiva finale non risulti superiore a quella inflitta nella sentenza impugnata.
Come viene scelta la pena base da cui partire per il calcolo della sanzione?
La determinazione della pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la stabilisce seguendo i principi generali indicati dagli articoli 132 e 133 del codice penale, valutando la gravità del reato e la capacità a delinquere dell’imputato.
Cosa accade se in appello l’imputato viene assolto dal reato che in primo grado era stato ritenuto il più grave in un reato continuato?
Il giudice d’appello deve individuare quale, tra i reati residui, sia il nuovo reato più grave. Su questa nuova base ricalcolerà l’intera pena, applicando gli aumenti per gli altri reati, nel rispetto del divieto di irrogare una pena complessivamente più severa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26017 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26017 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MANTOVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/05/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che contesta violazione di legge nell’individuazione della pena base su cui operare gli aumenti a titolo di continuazione non è consentito dalla legge in sede di legittimità ed è manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.;
che nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pag. 7 della sentenza impugnata);
che, il giudice di appello avendo prosciolto l’odierno ricorrente per il reato di cui al capo a) che costituiva precedentemente il reato più grave, ha poi correttamente individuato come reato più grave quello di cui al capo b) non sussistendo alcuna violazione dell’art. 597 comma terzo cod. proc. pen. (Sez. U, n. 16208 del 27/03/2014, Rv. 258653 – 01: Non viola il divieto di “reformatio in peius” previsto dall’art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell’impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato -come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest’ultima-, apporta per uno dei fatti unificati dall’identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore.);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2024
Il Consigliere Estensore
Il Presidente