Reformatio in Peius: Quando una Pena Più Lieve Rende l’Appello Inammissibile
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sul principio del divieto di reformatio in peius, un pilastro del nostro sistema processuale penale. Il caso in esame dimostra come un ricorso basato su una presunta penalità eccessiva possa essere dichiarato inammissibile quando, in realtà, la nuova sentenza è più favorevole per l’imputato rispetto alla precedente. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.
Il Caso in Analisi: un Ricorso contro una Pena Più Favorevole
La vicenda giudiziaria ha origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato in Corte d’Appello per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti, che disciplina i fatti di lieve entità. L’imputato lamentava unicamente il trattamento sanzionatorio ricevuto, ritenendolo ingiusto.
Tuttavia, un dettaglio fondamentale rendeva il ricorso peculiare. La sentenza impugnata aveva inflitto una pena di otto mesi di reclusione e 1000 euro di multa. Questa condanna era il risultato di un giudizio di rinvio, successivo a un annullamento da parte della stessa Cassazione. La precedente sentenza, poi annullata, prevedeva una pena ben più severa: un anno di reclusione e 1200 euro di multa.
Il Divieto di Reformatio in Peius e la Decisione della Cassazione
Il principio di reformatio in peius stabilisce che, se a impugnare una sentenza è il solo imputato, il giudice del grado successivo non può in nessun caso peggiorare la sua posizione, ovvero infliggergli una pena più grave. Nel caso di specie, l’imputato lamentava proprio una violazione di questo principio, ma in modo del tutto infondato.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo ‘manifestamente infondato’ e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno sottolineato come la nuova pena fosse oggettivamente più mite di quella precedente, escludendo quindi categoricamente qualsiasi peggioramento della posizione del condannato.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri fondamentali. In primo luogo, ha ritenuto che le argomentazioni della Corte d’Appello a sostegno della pena inflitta fossero ‘sufficienti e non illogiche’, avendo preso in adeguata considerazione le argomentazioni difensive. Non vi era, quindi, alcun vizio di motivazione.
In secondo luogo, e in modo decisivo, i giudici hanno evidenziato l’assenza totale di una reformatio in peius. Il passaggio da una condanna di un anno e 1200 euro a una di otto mesi e 1000 euro costituisce un evidente miglioramento per l’imputato. Pertanto, la doglianza su questo punto era priva di qualsiasi fondamento logico e giuridico.
Conclusioni: Le Conseguenze dell’Inammissibilità
L’esito del giudizio è stato netto: il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Questa decisione non solo rende definitiva la condanna a otto mesi, ma comporta anche conseguenze economiche per il ricorrente. Come previsto dalla legge in questi casi, è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa ordinanza serve da monito sull’importanza di presentare ricorsi fondati su motivi concreti e non pretestuosi, per evitare l’aggravio di costi e la conferma della sentenza impugnata.
Che cosa si intende per divieto di ‘reformatio in peius’?
È un principio fondamentale secondo cui, se solo l’imputato presenta appello, il giudice del grado successivo non può emettere una sentenza che peggiori la sua situazione, ad esempio aumentando la pena.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché l’unica critica mossa alla sentenza riguardava la pena, che però era stata ridotta rispetto alla precedente condanna (da un anno a otto mesi). Mancava quindi il presupposto stesso della lamentela, rendendo il motivo di ricorso manifestamente infondato.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
Oltre alla conferma della condanna a otto mesi di reclusione e 1000 euro di multa, il ricorrente è stato condannato a pagare le spese del procedimento e a versare una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7107 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7107 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GELA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/05/2023 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
N. NUMERO_DOCUMENTO SALua
OSSERVA
Visti gli atti e la sentenza impugnata (condanna per il reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309);
Esaminati i motivi di ricorso;
Ritenuto che l’unica censura relativa al trattamento sanzionatorio è manifestamente infondata, dal momento che le argomentazioni sul trattamento punitivo sono sorrette da sufficiente e non illogica motivazione e da adeguato esame delle deduzioni difensive, né è ravvisabile alcuna reformatio in peius rispetto alla precedente sentenza di condanna, oggetto di annullamento con rinvio, là dove al ricorrente era stata irrogata una pena di anni uno di reclusione ed euro 1200,00 di multa a fronte di quella di mesi otto di reclusione ed euro 1000,00 di multa di cui alla sentenza impugnata.
Rilevato, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/01/2024