Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22626 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22626 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Marocco il 03/09/1979; avverso la sentenza del 21/03/2024 della Corte d’appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza; udito il difensore, avv. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21 marzo 2024, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del 2 novembre 2022, con la quale il Tribunale di Prato, all’esito di giudizio abbreviato e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, aveva condannato alla pena di un anno di reclusione ed euro 1000,00 di multa, NOME in relazione al reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod.
pen., e 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, per aver effettuato, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, più cessioni di cocaina, ritenute di lieve entità.
Avverso la sentenza l’interessato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza si lamenta la violazione del divieto di reformatio in peius, poiché il giudice di appello ha confermato l’applicazione della pena quantificata dal giudice di primo grado, pur avendo riconosciuto il sostanziale errore di quest’ultimo nella commisurazione della medesima, contro i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il divieto di reformatio in peius, riguarda non soltanto il risultato finale, ma anche tutti gli elementi del calcolo della pena, per cui il giudice di appello che esclude una circostanza aggravante, ovvero accoglie l’impugnazione relativamente ai reati concorrenti deve necessariamente ridurre la pena complessivamente inflitta e tutti gli elementi che rilevano nel calcolo di essa. Per la prospettazione difensiva, il giudice di appello avrebbe dovuto ridurre la pena, applicando al minimo determinato per il reato più grave le circostanze attenuanti generiche e, successivamente, gli aumenti per la continuazione.
2.2. Con un secondo motivo, si lamenta la manifesta illogicità della motivazione, consistita nell’avere ritenuto congrua una pena base più elevata del minimo edittale, basandosi sulla gravità della condotta e della lesione al bene giuridico, e senza aver tenuto conto dell’esiguo numero degli episodi di cessione, e dello scarso quantitativo di stupefacente rinvenuto in possesso dell’imputato, avevano portato riconoscimento di circostanze attenuanti generiche.
2.3. In terzo luogo, si lamenta il vizio di motivazione in relazione all’ammontare degli aumenti dovuti alla continuazione, che non risultava dalla motivazione della prima sentenza, essendo stato solo indirettamente ricavato dal giudice di appello attraverso un riferimento al provvedimento di primo grado.
Il procedimento, inizialmente assegnato alla settima sezione, è stato trasmesso alla terza sezione di questa Corte, non ravvisandosi cause di inammissibilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Il primo motivo, con cui si deduce la violazione del divieto di reformatio in peius, è infondato.
1.1. Nell’ipotesi in cui il giudice di primo grado ometta di indicare il criter posto alla base del calcolo della pena, la Corte di appello può correggere la
sentenza e la pena può essere tenuta ferma nel suo ammontare. Merita, al riguardo, precisare che, nell’ipotesi in cui l’errore si riduca ad una svista che rende poco chiara l’individuazione dei passaggi logici circa il quantum di pena applicato dal primo giudice, il giudice di appello può ricostruire l’effettiva intenzione d quest’ultimo, di commisurare la pena in un certo ammontare. In tal caso, infatti, la pena deve intendersi già effettivamente commisurata dal primo giudice, e l’attività del giudice di appello si riduce ad una mera ricognizione, che non altera in senso peggiorativo il trattamento sanzionatorio precedentemente determinato. Dunque, qualora il giudice di primo grado non specifichi i criteri del proprio calcolo e faccia un calcolo errato, tale erroneità non vincola la Corte d’appello, che può riprodurre il calcolo in modo corretto: se nel calcolo erroneo del giudice di primo grado non è stato computata correttamente una parte della pena, una voce della pena, (ad esempio l’aumento per la continuazione) ciò non impedisce alla Corte di appello di computare correttamente tale aumento. In sostanza il principio secondo cui il divieto di reformatio in peius non riguarda solo la pena finale ma riguarda anche le singole parti che compongono la pena (pena base, aumento per la continuazione, aumenti e/o diminuzioni circostanze) non trova applicazione e quando manchi, da parte del giudice di primo grado, la determinazione di una parte della pena, qualora questa possa essere comunque ricostruita dal giudice del secondo grado.
1.2. Nel caso di specie il primo giudice non ha indicato quale sarebbe stato l’aumento della continuazione che avrebbe applicato, e successivamente bilanciato con la diminuzione dovuta alle circostanze attenuanti generiche, riconosciute nella massima estensione, ma in mancanza di tale indicazione, la Corte d’appello era legittimata a ricostruire l’effettivo ammontare della pena che il giudice di primo grado intendeva irrogare. Così, la Corte di appello ha sostanzialmente rilevato che il giudice di primo grado ha operato un aumento per la continuazione, e ne ha ricavato l’ammontare, corrispondente alle circostanze attenuanti generiche, concesse nella loro massima estensione di un terzo, e ricavando un aumento dell’ammontare di sei mesi di reclusione ed euro 500,00 di multa. Correttamente, dunque, ha bilanciato questo aumento con le circostanze attenuanti generiche. Non costituisce violazione del divieto di reformatio in peius la constatazione che il giudice di primo grado abbia erroneamente bilanciato l’aumento per la continuazione con le circostanze attenuanti generiche, perché a tale constatazione la corte di appello ha fatto seguire un’applicazione complessiva della pena non superiore a quella già applicata in primo grado, pur ritenuta eccessivamente lieve in relazione alla gravità e pluralità dei reati accertati.
2. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso devono essere dichiarati inammissibili, in quanto non risultano consentiti dalla legge in sede di legittimità,
perché inerenti al trattamento punitivo, benché questo sia sorretto da sufficiente motivazione, laddove, come visto, la Corte territoriale rileva di non poter
aggravare tale trattamento, pur eccessivamente lieve, in considerazione dei fatti commessi.
3. In conclusione, il quantum
dell’aumento per i reati satellite non è stato determinato in misura superiore a quella determinata in primo grado, avendo il
giudice dell’appello ricavato correttamente la misura di tale aumento dal provvedimento di primo grado; mentre la pena non è stata aumentata, né in
relazione al suo ammontare complessivo, né in relazione a quello dei suoi singoli elementi.
Il ricorso deve essere perciò rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 09/04/2025