Reformatio in Peius: Quando l’Appello Non Può Peggiorare la Pena
Il principio del divieto di reformatio in peius rappresenta una garanzia fondamentale nel nostro ordinamento processuale penale. Esso stabilisce che un imputato che decide di impugnare una sentenza di condanna non può vedersi infliggere una pena più severa dal giudice dell’appello, a meno che non vi sia anche un’impugnazione da parte del Pubblico Ministero. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato con forza questo principio, annullando la decisione di una Corte d’Appello che aveva erroneamente aumentato una pena pecuniaria.
I Fatti del Caso
Un soggetto veniva condannato in primo grado dal Tribunale per il reato di furto aggravato. La sentenza prevedeva, oltre alla pena detentiva, una multa di 200 euro. L’imputato, ritenendo ingiusta la condanna, decideva di presentare appello. La Corte d’Appello, pur accogliendo parzialmente le ragioni del ricorrente ed escludendo due circostanze aggravanti, commetteva un errore nella rideterminazione della pena. Pur riducendo la pena detentiva, aumentava la multa da 200 a 300 euro. La Corte territoriale riteneva, erroneamente, di dover adeguare la pena pecuniaria a un presunto minimo edittale, senza considerare che l’unico a presentare appello era stato l’imputato stesso.
La Decisione della Cassazione e il Divieto di Reformatio in Peius
Di fronte a questo inaspettato peggioramento, l’imputato ricorreva alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 597, comma 3, del codice di procedura penale, che sancisce appunto il divieto di reformatio in peius. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendolo palesemente fondato. I giudici hanno sottolineato come la Corte d’Appello, in assenza di un’impugnazione del Pubblico Ministero, avesse effettivamente aggravato la pena pecuniaria, incorrendo in una chiara violazione di legge. L’errore del giudice di secondo grado, seppur motivato dall’intenzione di correggere quella che riteneva una sanzione inferiore al minimo, non poteva prevalere su una delle garanzie cardine del processo penale.
Le Motivazioni
La motivazione della Cassazione è netta e si fonda su un’interpretazione rigorosa della norma. Il divieto di reformatio in peius ha lo scopo di tutelare il diritto di difesa, evitando che l’imputato sia dissuaso dall’esercitare il proprio diritto di impugnazione per il timore di ottenere una condanna più grave. Nel caso di specie, la Corte d’Appello, pur escludendo delle aggravanti, ha contraddittoriamente inasprito la sanzione economica. La Cassazione ha chiarito che il divieto opera in modo assoluto quando l’unico appellante è l’imputato. Pertanto, la sentenza impugnata è stata annullata senza rinvio limitatamente alla parte relativa alla pena pecuniaria.
Le Conclusioni
La decisione della Corte di Cassazione ripristina la corretta applicazione della legge e riafferma un principio di civiltà giuridica. La pena pecuniaria è stata quindi rideterminata nella misura originaria di 200 euro. Questa sentenza serve da monito sull’importanza del rispetto delle garanzie processuali. Per l’imputato, essa conferma che il diritto di appellare una sentenza non può trasformarsi in un boomerang, peggiorando la sua posizione. Il principio del divieto di reformatio in peius si conferma come un pilastro essenziale per un processo equo, garantendo che l’esercizio di un diritto non possa mai tradursi in un pregiudizio per chi lo esercita.
Un giudice d’appello può aumentare la pena all’imputato se è l’unico a ricorrere?
No, se l’appello è stato proposto solo dall’imputato, il giudice non può in alcun modo peggiorare la sua condanna, né per quanto riguarda la pena detentiva né per quella pecuniaria. Questo principio è noto come divieto di
reformatio in peius.
Cosa accade se il giudice d’appello commette un errore e aumenta comunque la pena?
La sentenza diventa illegittima in quella parte e può essere impugnata davanti alla Corte di Cassazione. Come nel caso esaminato, la Suprema Corte annullerà la parte della sentenza che ha peggiorato la pena, ripristinando quella originariamente inflitta in primo grado.
Nel caso specifico, perché la Corte d’Appello aveva aumentato la multa?
La Corte d’Appello ha erroneamente aumentato la multa da 200 a 300 euro perché riteneva di dover correggere la pena inflitta in primo grado, giudicandola inferiore al minimo previsto dalla legge. Tuttavia, così facendo, ha ignorato il principio fondamentale del divieto di peggioramento in assenza di un appello del Pubblico Ministero.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11867 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 7 Num. 11867 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a MESSINA il 19/09/1982
avverso la sentenza del 18/10/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RG 39281 /2024 – Consigliere COGNOME – Ud. 26 febbraio 2025
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina che, escludendo le aggravanti di cui all’art. 625 n. 2) e e 61 n. 5) cod. pen., ha parzialmente riformato la condanna del ricorrente per il reato di furto aggravato;
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso – che lamenta violazione di legge in relazione all’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. – è fondato giacché la Corte d’Appello ha effettivamente aggravato la pena pecuniaria – in assenza di impugnazione del P.M. – incorrendo così nel divieto di reformatio in peius.
Nel caso in esame, con sentenza in data 18 ottobre 2024, la Corte d’Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Messina, ha rideterminato la pena detentiva inflitta al ricorrente a seguito della esclusione di due circostanze aggravanti ma, ritenendo erroneamente di confermare la pena pecuniaria inflitta in primo grado siccome inferiore al minimo edittale, ha irrogato una pena di euro 300 di multa, mentre il Tribunale aveva inflitto quella di 200 euro di multa.
Si impone, quindi, l’annullamento senza rinvio in parte qua della sentenza impugnata, in relazione alla pena pecuniaria, che deve essere ridotta ad euro 200 di multa.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena pecuniaria, che ridetermina in euro 200 di multa.
Così deciso il 26 febbraio 2025
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Il consigliere estensore
Il Presidente