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Reddito di cittadinanza: residenza e false dichiarazioni

La Corte di Cassazione esamina il caso di un cittadino straniero condannato per false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza. Nonostante la Corte Costituzionale abbia ridotto il requisito di residenza da 10 a 5 anni, la Cassazione ha confermato la rilevanza penale della condotta, poiché l’imputato non soddisfaceva neanche il nuovo requisito. La Corte ha inoltre respinto la tesi difensiva basata sull’ignoranza della legge e sulle difficoltà linguistiche, affermando la responsabilità personale del dichiarante anche quando assistito da un intermediario come il CAF.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di Cittadinanza: la Cassazione sulla Residenza e le False Dichiarazioni

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema delle false dichiarazioni per ottenere il reddito di cittadinanza, fornendo chiarimenti cruciali anche alla luce dei recenti interventi della Corte Costituzionale sul requisito di residenza. La decisione sottolinea la persistente rilevanza penale della condotta anche quando i parametri normativi vengono modificati, e ribadisce la responsabilità personale del dichiarante.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un cittadino straniero condannato in primo e secondo grado per aver falsamente dichiarato di possedere i requisiti per accedere al reddito di cittadinanza. In particolare, l’imputato aveva attestato di risiedere in Italia da almeno dieci anni, requisito all’epoca previsto dalla legge. Tramite questa falsa dichiarazione, aveva indotto in errore l’INPS, percependo indebitamente una somma di circa 8.000 euro.

La difesa ha proposto ricorso in Cassazione sostenendo due argomenti principali: l’assenza di dolo specifico, attribuendo l’errore a un mero refuso nella compilazione della domanda, e l’inevitabilità dell’ignoranza della legge penale. L’imputato, a causa delle sue difficoltà linguistiche e della scarsa integrazione sociale, si era affidato a un CAF (Centro di Assistenza Fiscale) e non si sarebbe reso conto dell’illiceità della sua condotta.

Il Contesto Normativo: Le Decisioni della Corte di Giustizia UE e della Corte Costituzionale

Prima di analizzare il caso specifico, la Cassazione ha dovuto considerare due sentenze epocali che hanno modificato il quadro normativo del reddito di cittadinanza.

1. Corte di Giustizia dell’Unione Europea (29 luglio 2024): Ha stabilito che il requisito di residenza decennale per i cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo fosse in contrasto con il diritto europeo, in quanto discriminatorio.
2. Corte Costituzionale (sentenza n. 31 del 2025): Ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del requisito di residenza di 10 anni, riducendolo a 5 anni. La Consulta ha ritenuto il termine decennale sproporzionato rispetto alla finalità della misura, che è quella di favorire l’inclusione sociale e lavorativa.

L’impatto sul requisito di residenza per il reddito di cittadinanza

Grazie all’intervento della Corte Costituzionale, il nuovo requisito di residenza per accedere al beneficio è diventato di 5 anni. La Cassazione ha quindi applicato questo nuovo e più favorevole parametro al caso in esame. Tuttavia, ha accertato che l’imputato, arrivato in Italia nell’ottobre 2016 e con un primo permesso di soggiorno del marzo 2017, al momento della domanda (dicembre 2020) non aveva ancora maturato neanche i cinque anni di residenza. Di conseguenza, la sua dichiarazione rimaneva falsa e la sua condotta penalmente rilevante.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo le argomentazioni della difesa. In primo luogo, ha ribadito un principio consolidato: l’errore sulla sussistenza del diritto a percepire il reddito di cittadinanza, in difetto dei requisiti di legge, costituisce un errore sulla legge penale che, secondo l’art. 5 del codice penale, non esclude la colpevolezza. La disposizione che elenca i requisiti (art. 2 del d.l. 4/2019) è parte integrante del precetto penale.

In secondo luogo, la Corte ha smontato la tesi della mancanza di consapevolezza. La dichiarazione di risiedere in Italia per un certo periodo di tempo riguarda un dato di fatto, noto all’interessato. L’essersi avvalso di un intermediario come il CAF non esclude la responsabilità personale del firmatario della domanda. Infine, la presunta carenza di competenze linguistiche è stata smentita dagli stessi fatti: l’imputato risiedeva in Italia da circa quattro anni, aveva un lavoro, un’abitazione e aveva ottenuto autonomamente un documento di identità, dimostrando un livello di integrazione sufficiente a comprendere la natura delle sue dichiarazioni.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma principi fondamentali in materia di reati contro la pubblica amministrazione. Anche a seguito di modifiche normative favorevoli, la falsa dichiarazione per ottenere benefici non dovuti mantiene la sua rilevanza penale se, alla prova dei fatti, i requisiti (anche quelli nuovi e meno stringenti) non sono comunque soddisfatti. La responsabilità per la veridicità di quanto dichiarato è sempre personale e l’ignoranza della legge non è una scusante valida, specialmente quando l’errore verte su circostanze fattuali che il dichiarante non può non conoscere.

È penalmente rilevante una falsa dichiarazione sul requisito di residenza per il Reddito di Cittadinanza anche dopo che la Corte Costituzionale ha ridotto il periodo da 10 a 5 anni?
Sì, la condotta resta penalmente rilevante se il dichiarante, al momento della domanda, non possedeva neanche il nuovo requisito di residenza di cinque anni, come accertato nel caso di specie.

L’assistenza di un CAF per la compilazione della domanda esclude la responsabilità penale per false dichiarazioni?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’utilizzo di un intermediario, come un CAF, non esclude la responsabilità personale del soggetto che sottoscrive la domanda, il quale è tenuto a rispondere della veridicità dei dati dichiarati.

La scarsa conoscenza della lingua italiana può essere una scusante per una falsa dichiarazione sui requisiti per il Reddito di cittadinanza?
No, la Corte ha ritenuto questa difesa non valida. Nel caso specifico, l’imputato viveva in Italia da anni, aveva un lavoro, un’abitazione e aveva ottenuto documenti, dimostrando una capacità di comprensione sufficiente a renderlo responsabile delle proprie dichiarazioni su fatti a lui noti, come la durata della sua permanenza nel Paese.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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