Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 12665 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12665 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nata a Sogliano Cavour il 02/02/1964
avverso la sentenza del 29/04/2024 della Corte di appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, da Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria del difensore, avv. NOME COGNOME del foro di Lecce, che
insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la pronuncia resa dal G.u.p. del Tribunale di Lecce all’esito del giudizio abbreviato e appellata dall’imputata, la quale aveva condannato NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia perché ritenuta responsabile del delitto di cui all’art. 7 d.l. n. 4 del 2019, in relazione all’art. 3, comma 3, del medesimo d.I., perché al fine di ottenere indebitamente il reddito di cittadinanza, ometteva di dichiarare all’I.n.p.s. la variazione dovuta all’intervenuta misura cautelare restrittiva nei suoi confronti, percependo così un indebito beneficio al novembre 2000 sino al febbraio 2021 per un importo complessivo pari a 2.000 euro.
Avverso la sentenza, l’imputata, per il tramite del difensore di fiducia, ha presentato ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:
2.1. violazione dell’art. 606, comma 1, b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 2 e 7, comma 2, d.l. n. 4 del 2019 e dell’art. 606, comma c, b), cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., in quanto l’obbligo di comunicare lo stato detentivo a seguito di esecuzione di misura cautelare sussiste ove intervenuto successivamente alla presentazione dell’istanza, mentre, nel caso in esame, la COGNOME è stata ristretta in carcere in esecuzione di una sentenza definitiva, ciò che non è oggetto di contestazione nel capo di imputazione;
2.2. violazione dell’art. 606, comma 1, e), cod. proc. pen. in riferimento alla sussistenza del dolo, posto che l’imputata ha affermato di essersi rivolta a un c.a.f. e, comunque, di non essere a conoscenza dell’obbligo di comunicazione dello stato detentivo successivamente alla presentazione dell’istanza;
2.3. violazione dell’art. 606, comma 1, e), cod. proc. pen. in riferimento alla mancata assoluzione per intervenuta depenalizzazione, in quanto la legge di bilancio 2023 ha disposto, a decorrere dal 2024, l’abolizione della normativa relativa al reddito di cittadinanza;
2.4. violazione dell’art. 606, comma 1, e), cod. proc. pen. in riferimento sia alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, non essendo sufficiente i precedenti penali, sia alla conferma della recidiva, operata senza tener conto della risalenza nel tempo della precedente condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il terzo motivo – la cui trattazione riveste priorità logica, perché in caso di accoglimento, la sentenza dovrebbe essere annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato – è manifestamente infondato.
Le argomentazioni addotte dal ricorrente, infatti, non si confrontano criticamente con l’orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimità e avallato dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 54 del 2024), a tenore del quale l’abrogazione, a far data dall’i gennaio 2024, del delitto di cui all’art. 7 d.l 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, disposta ex art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, nel far salva l’applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina, deroga al principio d retroattività della lex mitior, altrimenti conseguente ex art. 2, comma 2, cod. pen., ma tale deroga, in quanto sorretta da una plausibile giustificazione, non presenta profili di irragionevolezza, assicurando la tutela penale all’indebita erogazione del reddito di cittadinanza sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di detto beneficio, posto che la sua prevista soppressione si coordina cronologicamente con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 d.l. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, riferita agli analoghi benefici per il futuro introdotti in sostituzione del reddito di cittadinanza (Sez. 3, n. 7541 del 24/01/2024, COGNOME, Rv. 285964; in senso conforme, Sez. 3, n. 39155 del 24/09/2024, COGNOME, Rv. 286951 – 01).
2. Il primo motivo è infondato.
Come risulta dalla sentenza impugnata, l’imputata è stata arrestata in data 11 novembre 2020 in esecuzione dell’ordine di carcerazione emesso dal pubblico ministero con riferimento alla pena inflitta con sentenza emessa dal g.u.p. del Tribunale di Lecce in data 24 febbraio 2015, irrevocabile il 12 marzo 2015; l’imputata aveva presentato domanda per ottenere il reddito di cittadinanza in data 19 marzo 2019 e 6 ottobre 2020, conseguendo il beneficio ed omettendo di comunicare il sopravvenuto stato detentivo.
Ciò posto, la Corte di merito ha ritenuto sussistente il reato in esame, stante l’omessa comunicazione, da parte dell’imputata, della sopravvenuta carcerazione, “e ciò a prescindere dal titolo detentivo, dal reato commesso, dalla data di consumazione del reato e della data di irrevocabilità della relativa sentenza”.
Si tratta di una motivazione che merita alcune precisazioni, le quali, tuttavia, non incidono sulla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato.
Preliminarmente, occorre ricostruire, sia pure in via di sintesi, il quadro normativo di riferimento.
L’art. 7, comma 1, d.l. n. 4 del 2019, salvo che il fatto costituisca più grave reato, punisce “chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute”.
Il successivo comma 2 incrimina “l’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all’articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11”.
Tra ì requisiti che la legge richiede con riferimento al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, l’art. 2, comma c -bis) d.l. n. 4 del 2019, prevede, quanto al richiedente, “la mancata sottoposizione a misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonché la mancanza di condanne definitive, intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta, per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3”.
Tale ultima disposizione, stabilisce quanto segue: “alla condanna in via definitiva per i reati di cui ai commi 1 e 2 e per quelli previsti dagli articoli 270 bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter, 422, 600, 600-bis, 601, 602, 624-bis, 628, 629, 630, 640-bis, 644, 648, 648-bis e 648-ter del codice penale, dall’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, per i delitti aggravati ai sensi dell’articolo 416-bis.1 del codice penale, per i reati di cui all’articolo 73, commi 1, 1-bis, 2, 3 e 4, nonché comma 5 nei casi di recidiva, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché all’articolo 74 e in tutte le ipotesi aggravate di cui all’articolo 80 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e per i reati di cui all’articolo 12, comma 1, quando ricorra l’aggravante di cui al comma 3-ter, e comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti per gli stessi reati, consegue di diritto l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva e il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito. La revoca è disposta dall’INPS ai sensi del comma 10. Il beneficio non può essere nuovamente richiesto prima che siano decorsi dieci anni dalla condanna”.
Infine, l’art. 7-ter stabilisce che “Nei confronti del beneficiario o del richiedente cui è applicata una misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonché del condannato con sentenza non definitiva per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3, l’erogazione del beneficio di cui all’articolo 1 è sospesa”
Orbene, dal complesso normativo appena richiamato emerge che chi ha ottenuto il beneficio ha il dovere, la cui violazione è sanzionata penalmente dal comma 2 dell’ad 7 del d.l. in esame, di comunicare informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca del beneficio stesso, tra le quali rientra la condanna in via definitiva per uno dei reati contemplati dal successivo comma 3.
Ed è proprio questa la situazione oggetto di contestazione – e accertata nel caso in esame.
A differenza di quanto opinato dalla Corte di merito, la carcerazione patita per effetto di un ordine di esecuzione emesso dal pubblico ministero dopo l’ottenimento del beneficio non rileva ex se, ma in quanto la condanna definitiva si riferisca a uno dei delitti di cui all’art. 7, comma 3, d.l. n. 4 del 201 condanna che comporta la revoca del beneficio.
Orbene, come emerge dagli atti, la condanna ha ad oggetto il delitto di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, che rientra tra quelli considerati dall’art. 7, comma 3, d.l. n. 4 del 2019; di conseguenza, la COGNOME si è resa responsabile del delitto in esame per aver omesso di dichiarare all’I.n.p.s. il sopravenuto stato di detenzione carceraria, in conseguenza della irrevocabilità dell’indicata sentenza di condanna emessa dal g.u.p. del Tribunale di Lecce in data 24 febbraio 2015, irrevocabile il 12 marzo 2015 per il delitto ex art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, ciò che è causa di revoca del beneficio.
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7. Il fri=gb motivo è inammissibile perché di contenuto fattuale.
La Corte di merito, infatti, ha rilevato come il modulo sottoscritto dall’imputata indicasse in maniera chiara e puntuale le condizioni di ammissibilità, sicché l’avere deliberatamente taciuto una circostanza rilevante ai fini della revoca del beneficio integra certamente la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
In relazione a tale aspetto, la ricorrente confezione censure di merito, attinenti alla valutazione delle prove, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
Si rammenta, peraltro, che l’ignoranza o l’errore circa la sussistenza del diritto a percepirne l’erogazione, in difetto dei requisiti a tal fine richiesti dall 2 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, si risolve in un errore sii legge penale, che non esclude la sussistenza del dolo ex art. 5 cod. pen., in quanto l’anzidetta disposizione integra il precetto penale di cui all’art. 7 del citato d.l. (Sez. 2, n. 23265 del 07/05/2024 El, Rv. 286413 – 01).
L’ultimo motivo è parimenti inammissibile.
La Corte di merito, con un apprezzamento fattuale non manifestamente illogico, per un verso, ha negato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, stante l’assenza di elementi valutabili a tale scopo – peraltro nemmeno indicati dalla ricorrente – e considerando i precedenti penali di cui è gravata l’imputata; per altro verso, in considerazione delle precedenti condanne puntualmente indicate a p. 8 della sentenza impugnata, ha ritenuto che il reato in esame sia espressione di un più intensa capacità criminale, in considerazione della breve distanza temporale e dalla condanna, in data 13 settembre 2022, anche per il delitto di costituzione e direzione d un’associazione finalizzata al narcotraffico.
Si tratta di valutazioni di fatto non manifestamente illogiche, che superano il vaglio di legittimità.
Per i motivi indicati, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/03/2025.