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Reddito di cittadinanza: reato anche dopo l’abolizione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per il reato connesso al reddito di cittadinanza. La Corte ha stabilito che, nonostante l’abolizione del sussidio, l’effetto penale della norma è rimasto in vigore fino al 1° gennaio 2024, rendendo la condotta precedente ancora punibile. È stato inoltre confermato che la valutazione dei precedenti penali può giustificare il diniego delle attenuanti e della sospensione condizionale della pena.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di cittadinanza: quando il reato sopravvive alla legge

L’abolizione di una misura di sostegno come il reddito di cittadinanza non comporta l’immediata cancellazione dei reati ad essa connessi. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha chiarito un punto cruciale sull’efficacia temporale delle norme penali, confermando una condanna per indebita percezione del sussidio anche dopo la sua abrogazione. Questa decisione offre spunti importanti sulla successione delle leggi nel tempo e sui limiti del sindacato di legittimità.

I Fatti di Causa e il Ricorso in Cassazione

Il caso trae origine dalla condanna a 1 anno e 10 mesi di reclusione inflitta dal Tribunale e confermata dalla Corte di Appello nei confronti di un soggetto, ritenuto colpevole di reati legati alla percezione illecita del reddito di cittadinanza. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, affidandosi a tre motivi principali. In primo luogo, sosteneva che il reato previsto dall’art. 7 del D.L. n. 4/2019 non fosse più applicabile a seguito dell’abrogazione della misura di sostegno. In secondo luogo, lamentava un vizio di motivazione riguardo alla mancata qualificazione della sua condotta come “falso innocuo”. Infine, contestava il diniego delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.

L’Applicabilità del Reato legato al Reddito di Cittadinanza

Il fulcro del ricorso riguardava l’applicabilità della norma incriminatrice. Secondo la difesa, l’abolizione del reddito di cittadinanza avrebbe dovuto comportare l’automatica estinzione del reato. Tuttavia, la Suprema Corte ha seguito un orientamento già consolidato, fornendo una lettura tecnica e precisa della successione delle leggi penali nel tempo. La questione non era se la legge fosse stata abrogata, ma da quando tale abrogazione avesse prodotto i suoi effetti penali.

La Decisione della Suprema Corte sul Ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando tutte le censure sollevate dall’imputato.

Il Primo Motivo: la Presunta Abrogazione del Reato

Il motivo centrale del ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. I Giudici hanno spiegato che, sebbene la legge che ha abrogato il reddito di cittadinanza (L. n. 197/2022) sia entrata in vigore il 1° gennaio 2023, la sua efficacia abrogativa in materia penale è stata volutamente posticipata. In particolare, la concreta cessazione dell’applicabilità dell’art. 7 è stata sospesa fino al 1° gennaio 2024. Di conseguenza, al momento dei fatti e delle sentenze di merito, la norma incriminatrice era pienamente in vigore e applicabile.

Il Secondo e Terzo Motivo: Questioni di Merito e Attenuanti

Il secondo motivo, relativo al “falso innocuo”, è stato dichiarato inammissibile perché impingeva in valutazioni di merito, sottratte al giudizio della Corte di Cassazione, che può pronunciarsi solo su violazioni di legge. Anche il terzo motivo è stato ritenuto manifestamente infondato. La Corte di Appello, pur non dedicando un paragrafo specifico, aveva implicitamente negato le attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena valorizzando i numerosi precedenti penali a carico dell’imputato, un elemento sufficiente a giustificare tale decisione.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un principio cardine del diritto: la chiara distinzione tra l’entrata in vigore di una legge e la decorrenza dei suoi effetti. Nel caso del reddito di cittadinanza, il legislatore ha previsto una fase transitoria, durante la quale la vecchia disciplina penale ha continuato a produrre i suoi effetti per garantire la tutela degli interessi erariali. La Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di sostituirsi al legislatore, ma di applicare la legge vigente, anche quando si tratta di norme transitorie. Per quanto riguarda le attenuanti, la decisione conferma che la presenza di precedenti penali è un fattore legittimamente valutabile dal giudice di merito per escludere benefici come le attenuanti generiche o la sospensione della pena, e tale valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente, anche se implicitamente, motivata.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un concetto fondamentale: l’abolizione di una norma non sempre ha un effetto retroattivo immediato, specialmente in ambito penale. La volontà del legislatore di posticipare l’efficacia di una disposizione abrogativa è sovrana e deve essere rispettata dall’interprete. Per i cittadini, ciò significa che le conseguenze penali di una condotta illecita legata a una normativa specifica, come quella sul reddito di cittadinanza, possono persistere anche dopo la formale scomparsa della legge stessa. La decisione sottolinea inoltre la natura del giudizio di Cassazione come un controllo di pura legittimità, che non può entrare nel merito delle valutazioni fattuali operate dai giudici dei gradi precedenti.

Il reato connesso al reddito di cittadinanza è stato immediatamente cancellato con l’abolizione del sussidio?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, sebbene la legge di abolizione sia entrata in vigore il 1° gennaio 2023, l’efficacia dell’effetto abrogativo della norma penale è stata sospesa fino al 1° gennaio 2024. Pertanto, le condotte illecite precedenti a tale data rimanevano punibili.

Perché la Corte di Cassazione non ha valutato l’argomento del “falso innocuo”?
La Corte ha dichiarato questo motivo inammissibile perché la valutazione se una falsità sia “innocua” o meno costituisce un argomento di merito, cioè una valutazione dei fatti. La Corte di Cassazione si occupa solo di questioni di legittimità (corretta applicazione della legge) e non può riesaminare i fatti del processo.

Per quale motivo non sono state concesse le attenuanti generiche o la sospensione della pena?
La Corte di Appello aveva implicitamente escluso la concessione di tali benefici dando rilevanza ai molteplici precedenti penali a carico dell’imputato. La Corte di Cassazione ha ritenuto questa motivazione implicita sufficiente a giustificare il diniego.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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