LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Reddito di cittadinanza: omissioni e sanzioni

La Corte di Cassazione conferma la condanna per una donna che aveva omesso di dichiarare lo stato di detenzione domiciliare del marito nella domanda per il reddito di cittadinanza. La sentenza chiarisce che l’abrogazione della norma non cancella i reati commessi in passato e che i ricorsi devono essere supportati da prove concrete per non essere dichiarati inammissibili.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di Cittadinanza: Omettere Informazioni Resta Reato

L’introduzione e la successiva modifica delle norme sul reddito di cittadinanza hanno generato numerosi dubbi interpretativi, specialmente in ambito penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 45797/2024, offre chiarimenti cruciali sulle conseguenze penali per chi omette informazioni rilevanti nella domanda di accesso al beneficio. Il caso riguarda una donna condannata per non aver dichiarato lo stato di detenzione domiciliare del marito, un’omissione che ha portato alla percezione di un importo superiore al dovuto.

I Fatti del Caso: Una Domanda Incompleta

La vicenda ha origine da un controllo sulla regolarità delle domande per il reddito di cittadinanza. Durante le verifiche, emerge che una richiedente, nel presentare la sua istanza nell’aprile 2019, aveva omesso un’informazione fondamentale: il marito convivente si trovava in stato di detenzione domiciliare.

Questa circostanza è tutt’altro che irrilevante. La normativa, infatti, prevede che i componenti del nucleo familiare in stato detentivo non debbano essere considerati nel calcolo della cosiddetta “scala di equivalenza”, il parametro che determina l’importo dell’assegno. A causa di questa omissione, la donna ha percepito, per un intero anno (da maggio 2019 a maggio 2020), un beneficio economico maggiore di quello a cui avrebbe avuto diritto. Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno confermato la sua responsabilità penale.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Di fronte alla condanna, la difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due argomenti principali:

1. L’abrogazione del reato: La difesa sosteneva che la legge istitutiva del reato (art. 7 del D.L. 4/2019) era stata abrogata dalla legge di bilancio per il 2023. Di conseguenza, il fatto non sarebbe più previsto dalla legge come reato, e l’imputata avrebbe dovuto essere assolta.
2. L’errata qualificazione giuridica: In secondo luogo, si contestava la qualificazione dello stato del marito come “detentivo cautelare”. Secondo la ricorrente, si trattava di una misura alternativa non ostativa alla percezione del sussidio, e quindi la sua omissione non avrebbe dovuto avere conseguenze penali.

La Decisione della Corte sul reddito di cittadinanza

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente il ricorso, dichiarandolo inammissibile. Gli Ermellini hanno smontato entrambi i motivi di doglianza, confermando la condanna e fornendo importanti principi di diritto applicabili a casi simili.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si sono concentrate su due aspetti fondamentali: la successione delle leggi nel tempo e i requisiti di ammissibilità di un ricorso in Cassazione.

Sulla questione dell’abrogazione della norma incriminatrice, la Corte ha chiarito un punto essenziale: sebbene la disciplina del reddito di cittadinanza sia stata soppressa a partire dal 1° gennaio 2024, il legislatore ha espressamente previsto che le sanzioni penali continuino ad applicarsi per tutti i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023. Questa scelta non è irragionevole, ma serve a garantire una continuità nella tutela penale contro le frodi, coordinando la vecchia disciplina con quella nuova relativa al “reddito di inclusione”. In altre parole, la legge è cambiata, ma chi ha commesso un reato in passato non può beneficiare di un’impunità retroattiva.

Per quanto riguarda il secondo motivo, relativo alla natura della detenzione del marito, la Corte lo ha ritenuto inammissibile per genericità e per la violazione del principio di “autosufficienza del ricorso”. La difesa non ha fornito alcun documento o prova a sostegno della tesi che si trattasse di una misura alternativa e non di una detenzione domiciliare rilevante ai fini del calcolo. La Cassazione non può riesaminare i fatti o cercare prove non presentate nelle fasi precedenti del processo. È onere di chi ricorre fornire tutti gli elementi necessari per dimostrare la fondatezza delle proprie affermazioni. Non avendolo fatto, il motivo è stato considerato puramente oppositivo e privo di fondamento concreto.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce due principi cardine del nostro ordinamento. Primo, la dichiarazione presentata per ottenere benefici pubblici deve essere completa e veritiera in ogni sua parte; le omissioni rilevanti integrano una fattispecie di reato con precise conseguenze. Secondo, l’abrogazione di una legge non significa automaticamente un “colpo di spugna” per il passato, specialmente quando il legislatore dispone diversamente. Infine, insegna che un ricorso in Cassazione, per avere successo, deve essere specifico, dettagliato e supportato da prove concrete, non potendo limitarsi a generiche contestazioni.

Chi omette informazioni rilevanti nella domanda per il reddito di cittadinanza commette ancora reato anche dopo la soppressione del beneficio?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’abrogazione della norma sul reddito di cittadinanza, efficace dal 1° gennaio 2024, non ha effetto retroattivo. Pertanto, chi ha commesso il reato presentando dichiarazioni false o incomplete prima del 31 dicembre 2023 rimane punibile secondo la vecchia legge.

Lo stato di detenzione domiciliare di un familiare convivente deve essere dichiarato?
Assolutamente sì. La sentenza conferma che lo stato di detenzione di un componente del nucleo familiare è un’informazione rilevante che incide sul calcolo del beneficio. Ometterla costituisce il reato previsto dalla normativa, in quanto porta a percepire un importo superiore a quello dovuto.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile per genericità?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché la difesa non ha fornito alcuna prova documentale a sostegno della propria tesi sulla natura della misura restrittiva del familiare. In base al principio di autosufficienza, è onere del ricorrente produrre tutti gli atti e i documenti necessari a dimostrare le proprie ragioni, cosa che in questo caso non è avvenuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati