Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 45797 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 45797 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/07/2024
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SENTENZA
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sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Gioia Tauro il 15/05/1976
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NOME
avverso la sentenza del 28/11/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 28/11/2023, ha confermato la decisione con la quale il Tribunale di Palmi, in data 06/03/2023, ha condannato COGNOME NOME alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione per il reato di cui all’art. 7, comma 1, del d.l. n. 4 del 2019, accertato in data 4/06/2020.
Avverso il provvedimento COGNOME COGNOME tramite difensore, propone ricorso per cassazione, articolato nelle seguenti censure.
Nel primo motivo si lamenta il vizio di violazione di legge posto che la Corte d’Appello avrebbe illegittimamente condannato la ricorrente nonostante l’avvenuta abrogazione del reato contestato ad opera dell’art. 1, comma 318, della legge 197 del 2022, mentre avrebbe dovuto pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530 cod. proc. pen. per non essere il fatto più previsto dalla legge come reato.
4.Nel secondo motivo si contesta la violazione di legge e il vizio di omessa motivazione in relazione alla qualificazione giuridica della condotta contestata: erroneamente la Corte avrebbe qualificato lo stato del marito della ricorrente quale stato detentivo cautelare, da ciò facendone discendere la responsabilità penale della COGNOME, pur essendo lo stesso sottoposto alla misura alternativa della detenzione cautelare, ad avviso della difesa, non ostativa alla percezione del sussidio nel suo intero ammontare.
Le doglianze vengono ribadite dalla difesa nella memoria del 22/06/2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Giova premettere che la vicenda oggetto di causa trae origine da un controllo effettuato dai carabinieri della compagnia di Gioia Tauro sulla regolarità delle domande presentate dai residenti del medesimo comune, e dunque dalla ricorrente COGNOME, per l’ottenimento del reddito di cittadinanza.
Dagli accertamenti effettuati era emerso che nella presentazione della domanda, in data 30/04/2019, la donna aveva omesso di dichiarare che il proprio marito convivente, COGNOME Rosario, si trovava in stato di detenzione domiciliare; tale circostanza, ad avviso della difesa, aveva inciso sulla determinazione del quantum dell’assegno, in quanto il coniuge sottoposto a stato detentivo non avrebbe dovuto essere considerato nella scala di equivalenza, con la conseguenza che, a causa dell’omissione, la Sacco aveva percepito dal maggio 2019 al maggio 2020 importi maggiori rispetto a quanto effettivamente dovuto.
Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Come già affermato da questa Corte l’abrogazione, a far data dall01/01/2024, del delitto di cui all’art. 7 dl. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, disposta ex art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, nel far salva l’applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia
della relativa disciplina, deroga al principio di retroattività della “lex mitior altrimenti conseguente ex art. 2, comma secondo, cod. pen. (Sez. 3, Sentenza n. 7541 del 24/01/2024, Picciano, Rv. 285964 che ha precisato in motivazione come tale deroga non presenti profili di irragionevolezza, assicurando la tutela penale all’indebita erogazione del reddito di cittadinanza sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di detto beneficio, posto che la sua prevista soppressione si coordina cronologicamente con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 dl. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, riferita agli analoghi benefici per il futuro introdotti con il c reddito di inclusione, in sostituzione del reddito di cittadinanza;). Va infatti puntualizzato che, decorrendo l’efficacia di tale effetto abrogativo secondo l’espressa previsione legislativa contenuta nell’art. 1, comma 318, L. n. 197 del 2022 dalla data del 1 gennaio 2024, fino a tale data continua a trovare applicazione, malgrado l’intervenuta entrata in vigore a partire dal 1 gennaio 2023 del dl. 48/2023, il citato art. 7 e gli effetti penali da esso previsti, dovendo per l’effetto ritenersi sospesa la concreta efficacia dell’effetto abrogativo: inequivoca in tal senso è la successiva previsione di cui all’art. 13, comma 3, dl. 48/2023 che, collocato tra le disposizioni transitorie e finali, statuisce che «al beneficio di 2 cui all’articolo 1 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 7 del medesimo decretolegge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023».
Ritenendo questo Collegio di dover dare continuità a tale condivisibile interpretazione, la condotta in esame, commessa prima del termine finale di efficacia della disciplina relativa al reddito di cittadinanza, è stata correttamente esaminata dalla Corte d’appello alla luce dell’art. 7 dl. 4/2019.
3. Il secondo motivo è inammissibile perché generico.
Nel vigore del dl. n. 4 del 2019, l’art. 3, comma 13, prevedeva che «Nel caso in cui il nucleo familiare beneficiario abbia tra i suoi componenti soggetti che si trovano in stato detentivo, ovvero sono ricoverati in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali a totale carico dello Stato o di altra amministrazione pubblica, il parametro della scala di equivalenza di cui al comma 1, lettera a), non tiene conto di tali soggetti».
In sede di conversione in legge del citato decreto, al medesimo comma è stato aggiunto che «La medesima riduzione del parametro della scala di equivalenza si applica nei casi in cui faccia parte del nucleo familiare un componente sottoposto a misura cautelare o condannato per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3».
A fronte di tale quadro di riferimento la ricorrente deduce, tra l’altro per la prima volta in sede di legittimità, l’inapplicabilità al caso di specie delle disposizioni evocate, lamentando che erroneamente la Corte d’appello abbia qualificato come stato detentivo “cautelare” la sottoposìzìone del proprio marito alla misura alternativa della detenzione domiciliare, misura affatto equiparabile allo stato detentivo cautelare.
Va tuttavia osservato che, a fronte di un capo d’imputazione relativo all’omessa comunicazione della sottoposizione del COGNOME NOME alla “misura cautelare della detenzione domiciliare”, la circostanza della sottoposizione del COGNOME NOME alla misura alternativa della detenzione domiciliare, oltre a non essere evincibile dagli atti in possesso di Questa Corte, non è stata in alcun modo documentata dalla difesa, risultando, pertanto, il ricorso privo di idonea allegazione proprio in riferimento allo specifico aspetto che, nella impostazione difensiva, darebbe luogo alla mancata ricorrenza dei presupposti della dichiarata responsabilità penale della Sacco.
Come è noto, l’autosufficienza del ricorso è requisito richiesto anche in seguito alla entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen. (cfr. Sez. 5, n. 5897 del 03/12/2020, deo. 2021, Cossu, Rv. 280419 – 01) ed è principio generale, ribadito in plurime pronunce di Questa Corte, quello in base al quale è onere della parte, a pena di inammissibilità del motivo per genericità, provvedere alla produzione dell’atto e delle risultanze documentali addotte a fondamento del vizio processuale, curando che l’atto sia effettivamente acquisito al fascicolo o provvedendo a produrlo in copia (cfr. Sez.6, n. 37074 del 01/10/2020, COGNOME, Rv. 280551 – 01; Sez. 6, n. 46070 del 21/07/2015, COGNOME, Rv. 265535 – 01).
4.In mancanza della indicata allegazione, il rilievo difensivo viene posto in termini puramente generici ed oppositivi e pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, in data 11/07/2024 Il Consigliere estensore
Il Presidente