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Reddito di cittadinanza: omissioni e condanna penale

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna penale di un uomo per aver omesso di dichiarare la sua convivente e il suo reddito nella domanda per il reddito di cittadinanza. L’appello è stato dichiarato inammissibile, stabilendo che un profitto illecito di quasi 800 euro non costituisce un ‘fatto di particolare tenuità’ e giustifica la sanzione penale.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di Cittadinanza: Omettere Dati sul Nucleo Familiare è Reato

L’accesso a benefici statali come il reddito di cittadinanza impone un dovere di massima trasparenza e correttezza nelle dichiarazioni presentate. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ribadisce con fermezza le conseguenze penali per chi omette informazioni cruciali, anche se il profitto ottenuto può sembrare modesto. La sentenza analizza il caso di un cittadino condannato per non aver dichiarato la presenza della sua convivente e dei suoi figli nel nucleo familiare, un’omissione che ha integrato un reato.

I Fatti del Caso: La Dichiarazione Incompleta

Un uomo è stato condannato in primo grado e in appello alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione. Il motivo? Aver richiesto e ottenuto il reddito di cittadinanza senza comunicare all’ente erogatore la presenza, all’interno del suo nucleo familiare, della sua convivente e dei figli di lei. La situazione era aggravata dal fatto che la partner aveva percepito un reddito nell’anno di riferimento (2018), un dato essenziale per la corretta valutazione dei requisiti di accesso al beneficio.

L’imputato ha quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazione, contestando la sua colpevolezza e il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, previsto dall’articolo 131-bis del codice penale.

La Decisione della Corte di Cassazione sul reddito di cittadinanza

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna. I giudici hanno ritenuto che i motivi presentati dall’imputato fossero manifestamente infondati. In sostanza, la difesa non ha sollevato nuove questioni di diritto, ma ha tentato di ottenere una nuova valutazione delle prove, un’operazione non consentita nel giudizio di legittimità, che si limita a verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici di merito.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha ritenuto che la decisione della Corte d’Appello fosse logica e ben motivata. Ecco i punti chiave del ragionamento giuridico:

1. Sussistenza del Reato: La condotta dell’imputato, consistita nell’omettere informazioni determinanti per l’ottenimento del beneficio, integra pienamente il reato previsto dall’art. 7 del decreto-legge n. 4 del 2019. L’omissione non è stata una semplice dimenticanza, ma un’azione finalizzata a conseguire un vantaggio economico indebito.

2. Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto: Il punto più interessante della motivazione riguarda il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte territoriale aveva valorizzato il profitto del reato, quantificato in 797,66 euro. Secondo i giudici, tale somma non può essere considerata “oggettivamente non irrisoria”. Di conseguenza, l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma (la corretta allocazione delle risorse pubbliche) non era così lieve da giustificare la non punibilità.

3. Inammissibilità del Ricorso: Poiché la difesa si è limitata a contrapporre la propria valutazione dei fatti a quella, ritenuta razionale, dei giudici di merito, il ricorso è stato giudicato inammissibile. Tale declaratoria ha comportato per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di 3.000 euro alla Cassa delle ammende.

Conclusioni: L’Importanza della Correttezza nelle Autodichiarazioni

Questa ordinanza offre un importante monito: la legge che disciplina il reddito di cittadinanza e altri sussidi pubblici è estremamente severa nel punire le dichiarazioni false o incomplete. Anche omissioni che potrebbero sembrare di poco conto, o che generano profitti relativamente contenuti, possono avere gravi conseguenze penali. La decisione della Cassazione sottolinea che la tutela della spesa pubblica è un bene primario e che l’onestà e la completezza delle autodichiarazioni sono un presupposto non negoziabile per accedere agli aiuti dello Stato. Chiunque presenti una domanda per un beneficio economico è tenuto a un dovere di diligenza e correttezza, la cui violazione può condurre a un processo penale e a una condanna.

Omettere di dichiarare un convivente per ottenere il reddito di cittadinanza è reato?
Sì, la sentenza conferma che omettere informazioni rilevanti sulla composizione del nucleo familiare, come la presenza di un convivente che percepisce reddito, integra il reato previsto dall’art. 7 del D.L. n. 4/2019, poiché altera i presupposti per il corretto calcolo del beneficio.

Un profitto illecito di quasi 800 euro può essere considerato di ‘particolare tenuità’?
No. Secondo la Corte, un profitto di 797,66 euro è una somma ‘oggettivamente non irrisoria’. Pertanto, non permette di applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis del codice penale.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando la Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile, il ricorrente, oltre a vedere confermata la condanna, è tenuto al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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