Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37686 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37686 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/11/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Erice il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/01/2025 della Corte di appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con pronuncia del 7 gennaio 2025 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Trapani del 28 febbraio 2023 che aveva dichiarato NOME COGNOME responsabile del delitto di cui all’art. 7, comma 2, (rectius: d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla) legge 28 marzo 2019, n. 26, in relazione all’art. 28, comma 5, cod. pen. e all’art. 3, commi 11 e 13, d.l. cit. – perché, beneficiario del reddito di cittadinanza da ottobre 2019, ometteva, nel gennaio 2020, di comunicare all’RAGIONE_SOCIALE, entro il termine di quindici giorni, informazioni dovute ai fini della revoca ed in particolare che in data 2 novembre 2019 era divenuta definitiva nei suoi confronti la sentenza della Corte
di appello di Palermo con cui era stato condannato alla pena di anni due, mesi nove di reclusione, in esecuzione della quale il 10 gennaio 2020 veniva ristretto presso la Casa circondariale di Trapani – e lo aveva condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi otto di reclusione.
Ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe il difensore dell’imputato che si è affidato ad un unico motivo con il quale lamenta la nullità della sentenza per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 7, comma 2, d.l. cit.
2.1 Si deduce che con i motivi di gravame era stata invocata la riforma della sentenza per difetto dell’elemento soggettivo richiesto dalla norma ed in particolare del dolo specifico, evidenziando come l’imputato non avrebbe potuto assolvere all’onere comunicativo richiesto perché raggiunto da sentenza di condanna definitiva e successiva esecuzione con traduzione in carcere.
Osserva il difensore che la sentenza impugnata – laddove evidenzia che tra l’irrevocabilità della sentenza e l’esecuzione di essa erano trascorsi più di due mesi e che è comunque priva di riscontri la circostanza che sarebbe stato necessario che l’imputato si recasse personalmente presso gli uffici dell’RAGIONE_SOCIALE per comunicare le informazioni dovute – è manifestamente illogica perché dal tenore della formulazione normativa non si evincono, in maniera chiara e precisa, la sopravvenienza di quali circostanze facciano sorgere l’obbligo in capo al richiedente della comunicazione della sopravvenuta sentenza irrevocabile.
Si osserva che la condotta deve essere, oltre che cosciente e volontaria, anche finalizzata alla percezione di un sussidio che l’autore della (falsa) dichiarazione sa non spettargli e si afferma che la circostanza di essere sottoposto a misura detentiva non costituisce una informazione di carattere reddituale o patrimoniale e che non può rientrare nella categoria residuale delle “altre informazioni”, posto che tale espressione, in virtù dei principi di determinatezza e tassatività, va riferita solo all’art. 3, comma 8, 9 e 11 d.l. n. 4 del 2019, che menzionano una serie di obblighi, tra cui non rientra anche quello che viene imputato al ricorrente di non aver comunicato.
L’elemento soggettivo va inoltre valutato anche con riferimento alla circostanza che la norma è eccessivamente astratta e indeterminata con riferimento al concetto di altre informazioni.
Pertanto, si conclude, il giudice del gravame ha trascurato la circostanza che gli uffici RAGIONE_SOCIALE richiedono la presenza diretta del beneficiario e la motivazione, laddove fa riferimento alla possibilità di poter adempiere all’obbligazione tramite l’ausilio di un parente o direttamente dall’RAGIONE_SOCIALE matricola della casa circondariale si palesa viziata sotto il profilo della logicità e dunque errata.
3 n Sost. Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Si osserva che il reato sussiste, in ragione di quanto affermato da Sez. 3, n. 33431 del 04/03/2021, Sferlazza, Rv. 281814 – 02 in una fattispecie relativa alla condanna definitiva nei confronti del coniuge del dichiarante e che le doglianze avanzate dal ricorrente in punto di elemento soggettivo del reato sono manifestamente infondate in quanto l’ignoranza o l’errore circa la sussistenza del diritto a percepirne l’erogazione, in difetto dei requisiti a tal fine richiesti dall’a 2 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, si risolve in un errore su legge (Sez. 2, n. 23265 del 07/05/2024, El Hadraoui Rv. 286413 – 01).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è inammissibile per quanto di seguito evidenziato.
1.1 Il ricorrente chiede dichiararsi la nullità della sentenza di appello per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 7, comma 2, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, censurando quanto affermato dalla Corte di appello, in ordine al secondo motivo di gravame, con il quale la parte aveva chiesto l’assoluzione dal reato ascritto perché il fatto non costituisce reato per carenza del dolo specifico.
1.2 Ritiene questo collegio che nessuna censura può essere mossa alla Corte di appello in merito a quanto devolutole con il (secondo) motivo di gravame, reiterato negli stessi termini con il proposto ricorso per cassazione, il cui unico motivo è, come visto, limitato unicamente alla carenza dell’elemento soggettivo del delitto in contestazione.
La Corte territoriale, con motivazione immune da vizi logici e giuridicamente corretta, ha escluso che potessero incidere sulla sussistenza dell’elemento soggettivo le doglianze avanzate dalla difesa – che già in primo grado aveva rappresento che l’imputato, in quanto detenuto in forza della sentenza divenuta irrevocabile della quale è stata omessa la comunicazione, era di fatto impossibilitato a fornire tale informazione, essendo tenuto a recarsi personalmente presso gli uffici dell’RAGIONE_SOCIALE – richiamando quanto già affermato nella sentenza di primo grado (ossia che tale comunicazione poteva essere fatta tramite l’RAGIONE_SOCIALE o un proprio familiare) ed affermando che comunque la parte avrebbe potuto assolvere a tale incombente nell’arco di tempo (due mesi) decorrente dalla irrevocabilità all’ordine di esecuzione.
1.3 E’ questa una motivazione che non presenta profili di illogicità, posto che la parte non è privata dei suoi diritti e delle sue facoltà una volta tratta in arresto, potendo procedere alle comunicazioni di cui è onerata per il tramite dell’RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE o di un suo delegato, tenuto anche conto che nel caso in esame lo stato di detenzione trova il suo titolo legittimante non in una misura cautelare immediatamente posta in esecuzione, ma in una sentenza di condanna eseguita, a quanto risulta, dopo circa due mesi dalla sua irrevocabilità, arco di tempo, questo, che, come congruamente rilevato dalla Corte di appello, lasciava alla parte il tempo di procedere alla comunicazione.
1.4 A fronte di tale motivazione, la parte reitera le proprie doglianze insistendo sull’impedimento all’assolvimento dell’onere dovuto allo stato di detenzione sopravvenuto, senza confrontarsi con la motivazione, logica e congrua, assunta dalla Corte di appello, che risulta quindi insindacabile in questa sede, con conseguente inammissibilità della doglianza
1.5. Parimenti insindacabile, perché giuridicamente corretto e privo di aporie, è quanto affermato dalla Corte di appello a confutazione delle deduzioni della difesa, laddove la stessa ha insistito nella assoluzione dell’imputato per carenza dell’elemento soggettivo, in ragione della formulazione letterale della disposizione normativa di cui all’art. 7, comma 2, d.l. cit., nuovamente reiterate con il proposto ricorso, in quanto, in tesi, incidenti sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto.
Sotto questo profilo, va rilevato che quanto dedotto dalla parte a confutazione dell’elemento soggettivo del delitto, ossia la genericità e onnicomprensività della formulazione letterale della disposizione di cui all’art. 7, comma 2, d.l. cit. nella parte in cui fa riferimento alle «altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio», tale da privare di determinatezza e tassatività la norma e da incidere, in tesi difensiva, sulla sussistenza del dolo specifico richiesto dal legislatore, si palesa manifestamente infondato, risolvendosi nella ignoranza o nell’errore circa la sussistenza del diritto a continuare a percepire il reddito (l’art. 7, comma 2, d.l. cit. fa infatti riferimento alla condotta di chi, beneficiario del reddito, continui a percepirlo), ipotesi, questa, non differente, per identità di rado, da quella in cui versa chi richieda il reddito di cittadinanza, rispetto alla quale Sez. 2, n. 23265 del 07/05/2024, EI, Rv. 286413 – 01 ha già osservato, condivisibilmente, che in tema di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza, l’ignoranza o l’errore circa la sussistenza del diritto a percepirne l’erogazione, in difetto dei requisiti a tal fine richiesti dall’art. 2 d.l. gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, si risolve in un errore su legge penale, che non esclude la sussistenza del dolo ex art. 5 cod. pen., in quanto l’anzidetta disposizione integra il precetto penale di cui all’art. 7 del citato d.l.
2 Alla declaratoria di inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere per il ricorrente del pagamento delle spese del procedimento
nonché, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Il collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista all’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopraindicate
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso il 05/11/2025.