Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34826 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 34826 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Santa Maria Capua Vetere il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 08/07/2024 della COGNOME di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME; lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020 dal Procuratore generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’ 8 luglio 2024 la COGNOME di appello di Napoli, previa declaratoria di inammissibilità dell’appello, ha confermato la sentenza con cui, il 10 maggio 2022 il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Napoli Nord, in composizione monocratica, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato COGNOME NOME alla pena, già ridotta per il rito, di anni uno di reclusione, oltre pagamento delle spese processuali, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 7 d.l. 4/2029, così riqualificata l’originaria imputazione formulata ai sen dell’art. 640 -bis cod.pen..
COGNOME COGNOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso per l’annullamento della sentenza, affidato a due motivi.
2.1. Col primo motivo deduce, ex art. 606, comma 1, lett.b), c) ed e) cod.proc.pen., violazione ed erronea applicazione di legge e correlato vizio di motivazione in relazione agli artt. 7 d.l. n. 4/2019 e 530 cod.proc.pen.
2.1.1. Assume la difesa che, anche a prescindere dal vizio dell’atto di impugnazione, secondo la COGNOME territoriale sì generico da determinare l’inammissibilità -erroneamente dichiarata- del motivo di GLYPH , il primo, teso ad ottenere una pronuncia assolutoria per l’appellante almeno ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod.proc.pen., i giudici di merito avrebbero potuto/dovuto approfondire le tematiche giuridiche poste dalla pronuncia di condanna dell’imputato, in contrasto con la lettera della norma e con la interpretazione della COGNOME nomofilattica, il cui insegnamento -Sezioni Unite del 13 luglio 2023, dep. 13 dicembre 2023, n. 49686, secondo cui «ntegrano il delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza solo se funzionali a ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge»determinerebbe l’irrilevanza della mancata comunicazione della patita condanna per il reato di cui all’art. 416-bis cod.pen. poiché l’art. 3 d.l. 4/2019 non ne impone l’obbligo di comunicazione.
Ricostruisce la difesa il regime sanzionatorio riveniente dalla lettura sistematica degli artt. 1-13 del d.l. 4/2019, come convertito dalla I. 26/2029, e, in particolare dagli artt. 2 (relativo ai requisiti di accesso alla misura ed ai motivi di esclusione 3 (relativo agli obblighi di informativa), per argomentare che, sussistenti nella specie, il requisito di cittadinanza, residenza e soggiorno, e quello reddituale e patrimoniale, la riduzione del parametro della scala di equivalenza di cui al comma 13 dell’art. 2 d.l. citato -per il caso in cui faccia parte del nucleo familiare componente sottoposto a misura cautelare o condannato per taluno dei delitti
indicati dall’art. 7, comma 3, d.l. 4/2019- non è oggetto di obbligo, ex art. 3 stesso d.I., da parte del richiedente, trattandosi di parametro che la pubblica amministrazione deve considerare al fine di determinare l’ammontare del reddito di cittadinanza.
Argomentazioni da cui deriverebbe la conclusione che alcuna falsità o raggiro penalmente rilevante potesse ritenersi integrato allorché l’imputato ha omesso di comunicare la condanna riportata per delitto di cui all’art. 416-bis cod.pen..
L’omissione contestata all’imputato non è contemplata, continua la difesa, tra quelle rilevanti né ai sensi dell’art. 2, né ai sensi dell’art. 7 d.l. 4/2029, ov stabilito che la condanna irrevocabile o la sentenza di patteggiamento per uno dei delitti ivi previsti comporta la revoca ex tunc del beneficio; lo stato di condannato del COGNOME COGNOME non figura tra le omissioni legalmente contemplate e quindi penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 640-bis o 316-ter cod.pen. o ai sensi dell’art. 7 d.l. 4/201, ai fini dell’ammissione al beneficio o per la sua revoca.
2.1.2. Argomenta poi la difesa che la fattispecie prevista e punita dall’art. 7 d.l. 4/2029 è caratterizzata dal dolo specifico.
Nel modello per la richiesta del reddito di cittadinanza, allo specifico quadro E, non si rinviene alcun obbligo o avvertimento intelligibile tale da rendere edotto il richiedente della necessità di tale dichiarazione.
2.1.3. Anche con riferimento a tale ultimo specifico profilo, come per il precedente, la sentenza della COGNOME Cost. n. 98/2021 impone la necessità che sia il testo di legge a fornire al consociato un chiaro avvertimento circa le conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte, nella specie doppiamente inesistente.
2.2. Col secondo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett.b), c) ed e) cod.proc.pen., violazione ed erronea applicazione di legge e correlato vizio di motivazione in relazione agli artt. 7 d.l. n. 4/2019 e 131-bis cod.pen..
I giudici della COGNOME di appello avrebbero dovuto confrontarsi, ex officio, con la possibilità di un proscioglimento dell’imputato ex art. 131-bis cod.pen., a fronte di un solo precedente penale (cfr. sentenza n. 34045 del 2024 della COGNOME di Cassazione, e Sez. 2, n. 41774 del 26 settembre 2018, sulla non ostatività di una condizione siffatta).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo, nella parte relativa alla pretesa erroneità della declaratoria d inammissibilità dell’atto di appello, peraltro non specificamente contestata, è manifestamente infondato.
Con orientamento espresso a Sezioni unite, si è chiarito che l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto al ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fe restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato (Sez. un., n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Rv. 268822).
Nel caso di specie, corrette appaiono le determinazioni del giudice territoriale, essendosi l’appellante limitato ad affermare genericamente, così come con il ricorso, l’insussistenza del reato, senza un confronto critico con le conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado.
1.1.Quanto al malgoverno della fattispecie incriminatrice, ed alla pretesa irrilevanza della mancata comunicazione della condanna del richiedente per il reato di cui all’art. 416-bis cod.pen., si tratta, ancora una volta di censura inammissibile in quanto afferente ad una violazione di legge non dedotta con l’atto di appello secondo quanto è dato conoscere a questa COGNOME dalla lettura della senten impugnata.
Osserva il Collegio che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca una violazione di legge verificatasi nel giudizio di primo grado, se non si procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello, contenuto nella sentenza impugnata, che non menzioni la medesima violazione come doglianza già proposta in sede di appello, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo (v., ex multis, Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01).
1.2. In ogni caso il motivo è manifestamente infondato.
1.2.1. L’art. 2 d.l. 4/2019 nella formulazione vigente alla data del commesso reato, nell’indicare i requisiti soggettivi -lett. a)-, economici -lett.b)-, e quelli di c successiva lett. c), cumulativamente richiesti per l’accesso al beneficio, prevedeva, al comma 1, lett. c-bis, «per il richiedente il beneficio, la mancata sottoposizione a misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonché la mancanza di condanne definitive, intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta, per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3» catalogo tra cui rientra il reato di cui all’art. 416-bis cod.pen., in ordine al qual ricorrente aveva pacificamente riportato condanna (l’informazione circa la sottoposizione a misura cautelare o circa l’intervenuta condanna per i reati di cui al precitato catalogo era rilevante anche ove relativa non al richiedente, ma a componente del nucleo familiare del richiedente: l’art. 3, comma 13, d.l. 4/2019
prevedeva, infatti, che «Nel caso in cui il nucleo familiare beneficiario abbia tra i suoi componenti soggetti che si trovano in stato detentivo, ovvero sono ricoverati in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali a totale carico de Stato o di altra amministrazione pubblica, il parametro della scala di equivalenza di cui al comma 1, lettera a), non tiene conto di tali soggetti. La medesima riduzione del parametro della scala di equivalenza si applica nei casi in cui faccia parte del nucleo familiare un componente sottoposto a misura cautelare o condannato per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3»).
Tale dato non è esplicitamente indicato tra quelli per cui è sancito l’obbligo di comunicazione all’ente erogatore da parte del beneficiario ai sensi dell’art. 3, comma 11, decreto citato.
Si osserva, tuttavia, che
-dalla lettura dell’art. 2, comma 1, d.l. n. 4 del 2019, risulta con chiarezza che i requisiti (ivi indicati alle lettere a), b), c), c-bis) ) per ottenere il re cittadinanza devono sussistere al momento della domanda (oltre che per tutta la durata dell’erogazione del beneficio);
-dalla lettura dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 4 del 2019, risulta che è sanzionata la condotta di chi, al fine di ottenere indebitamente il beneficio, omette informazioni dovute, tra cui, indubbiamente, anche quelle costituenti requisiti di cui alla lett. c bis, per l’ottenimento del beneficio;
-dalla lettura del comma 3 del medesimo articolo la condanna in via definitiva per il reato di cui all’art. 416-bis cod.pen. risulta tra le evenienze cui consegue «di diritto l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva», dunque ricomprese tra quelle previste al comma 2 del medesimo articolo 7, la cui omessa comunicazione è punita con la reclusione da uno a tre anni: «2. L’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attivita’ irregolari, nonche’ di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini de revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all’articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, e’ punita con la reclusione da uno a tre anni».
Ne consegue la sussistenza del relativo obbligo dichiarativo.
Obbligo la cui sussistenza è stata già affermata da questa COGNOME, in un caso di omessa dichiarazione di una evenienza siffatta rilevante quale motivo di revoca del beneficio (cfr. Sez. 3, n. 33431 del 04/03/2021 Cc. (dep. 09/09/2021 ) Rv. 281814 – 02 secondo cui « Integra il delitto di cui all’art. 7, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, l’omessa comunicazione di informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o riduzione del beneficio del c.d. reddito di cittadinanza, anche se relative agli ulteriori requis inseriti in sede di conversione, ove la condotta si protragga oltre la scadenza del periodo di sei mesi previsto dall’art. 13, comma 1-bis, del medesimo decreto, nel
quale è stabilita l’erogazione del beneficio anche in assenza di tale adempimento integrativo. (Fattispecie relativa all’omessa comunicazione della condanna definitiva del coniuge convivente della beneficiaria per uno dei delitti richiamati dagli artt. 2, comma 1, lett. c) -bis e 7, comma 3, d.l. citato, a seguito delle modifiche introdotte della legge n. 26 del 2019) ».
Orientamento autorevolmente confermato da Sez. U, n. 49686 del 13/07/2023 Ud. (dep. 13/12/2023 ) Rv. 285435 – 01, secondo cui «Integrano il delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza solo se funzionali a ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge».
Il motivo, per quanto fin qui argomentato manifestamente infondato, è in parte qua inammissibile.
1.2.2. Inammissibile perché non risultante tra le questioni proposte con l’atto di appello è la censura svolta in tema di dolo.
È inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca una violazione di legge verificatasi nel giudizio di primo grado, se non si procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello, contenuto nella sentenza impugnata, che non menzioni la medesima violazione come doglianza già proposta in sede di appello, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo (v., ex multis, Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01).
Nella specie è lo stesso ricorrente, peraltro, ad ammettere di non averlo proposto all’attenzione della COGNOME territoriale.
Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della COGNOME costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 7 aprile 2025
e La Co i li ra est.
Il Presidente