Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37922 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37922 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/09/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a FRASCATI il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a FRASCATI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/09/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20/09/2024, la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado del GUP del Tribunale di Roma, che aveva condanNOME gli odierni ricorrenti alla pena di anni uno di reclusione ciascuno per i reati di cu all’art. 7, commi 1 e 2, del D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2019, n. 26, per aver reso dichiarazioni mendaci e omesso informazioni dovute al fine di ottenere indebitamente il “teddito di cittadinanza” e per non aver comunicato variazioni soggettive rilevanti ai fini della revoca del beneficio.
Avverso tale sentenza, gli imputati, a mezzo del difensore, hanno proposto ricorso per RAGIONE_SOCIALEzione, affidato a due motivi:
2.1. Con il primo motivo, si deduce la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione all’art. 2, comma 2, c.p. Sostiene il ricorre che la L. 29 dicembre 2022, n. 197, avrebbe disposto l’abrogazione dell’art. 7 del D.L. n. 4/2019 a far data dal 10 gennaio 2024. Tale abrogazione, seppur con efficacia differita, costituirebbe lex mitior applicabile ai fatti pregressi successiva disposizione di cui all’art. 13, comma 3, del D.L. 4 maggio 2023, n. 48 (convertito in L. n. 85/2023), che ha sancito l’ultrattività della norma incriminatric per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023, non potrebbe operare retroattivamente per i fatti antecedenti alla sua entrata in vigore, in violazion dell’art. 2, comma 1, c.p. Il ricorrente aggiunge non potrebbero configurarsi né il reato di cui all’art. 316-ter c.p. (per il mancato superamento della soglia di punibilità calcolata sui singoli ratei), né quello di cui all’art. 640-bis c.p.
2.2. Con il secondo motivo, lamenta la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione alla mancata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria ai sensi dell’art. 20-bis c.p. La difesa ritiene che la motivazione della Corte territoriale, fondata sulla presunta inefficacia deterrente della pena pecuniaria, sia illogica, contraria ai principi normativi e frutto di una “visi ermetico securitaria”, risolvendosi in una motivazione apparente o assente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile.
In ordine all’eccepita abrogazione della norma incriminatrice contestata, è opportuno richiamare sinteticamente gli interventi normativi succedutisi in materia. L’art. 1, comma 318, I. n. 197/2022, entrato in vigore in data 1/1/2023, ha disposto l’abrogazione dell’art. 7 del D. L. n. 4/2019, contenente le disposizioni di carattere penale che sanzionavano chi avesse indebitamente conseguito il cd. reddito di cittadinanza, con decorrenza dalla data dell’ 1/1/2024; il 4/5/2023 è stato emaNOME il decreto legge n. 48, recante “misure urgenti per l’inclusione e l’accesso al mondo del lavoro”, conv., con modif., dalla I. 3/7/2023 n. 85, che, all’art. 13, comma 3, prevede che «al beneficio di cui all’articolo 1 del decretolegge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 7 del medesimo decreto legge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023».
In relazione all’incidenza di tale successione di norme sulle condotte riconducibili alla previsione del predetto art. 7 sono intervenute le Sezioni Unite, affermando che “L’art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha
abrogato l’art. 7 d. I. n. 4 del 2019, a decorrere, però, dal 10 gennaio 2024. Il legislatore, peraltro, nell’introdurre il cd. «assegno di inclusione» (misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale destinata a sostituire integralmente il Rdc e definita dall’art. 1, comma 1, decreto legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, «quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro»), ha contestualmente ed espressamente previsto che al Rdc continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 7 d.l. n. 4 del 2019 vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023″ (Sez. U., n. 49686 del 13/07/2023, Giudice, Rv. 285435 – 01, in motivazione).
Alla data di adozione della sentenza impugnata, quindi, l’art. 7 d. I. n. 4/2019 era ancora in vigore per cui il reato ascritto all’imputato non poteva dirsi abrogato. In proposito è stato, in maniera del tutto condivisibile, precisato che “pur in difetto di una formale qualificazione in tal senso, alla disposizione di cui all’art. 13, comma 3, d.l. 48/2023, può riconoscersi la natura sostanziale di disposizione transitoria, per assolvere essa propriamente a quelle esigenze di concreta opportunità insorgenti a causa della entrata in vigore di una nuova legge nella contestuale pendenza di rapporti, compresi nella materia da essa regolata, i quali siano stati costituiti sotto l’impero di una legge precedente, e debbano ancora svolgere, in tutto o in parte, il loro contenuto… legge temporanea che, come tale, è sottratta al generale regime della successione di legge di cui all’art. 2 cod.pen. per espressa previsione del comma 5 del citato articolo” (Sez. 3, n. 28877 del 5/7/2024, COGNOME).
Questa Corte ha anche chiarito che la deroga in esame all’art. 2 c.p., “non risultando in contrasto con i principi ricavabili dall’art. 3 Cost. ed essendo altresì rispettosa della disciplina ricavabile dalle convenzioni internazionali (cfr., per tutte Corte cost., sent. n. 236 del 22 luglio 2011), non presta il fianco a censure, essendo indubbiamente sorretta da una giustificazione del tutto ragionevole. E, invero, essa semplicemente assicura tutela penale all’erogazione del reddito di cittadinanza, in conformità ai presupposti previsti dalla legge, sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di tale beneficio, così coordinandosi con la sua prevista soppressione a far tempo dal 1/1/2024 e con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 D.L. 48/2023, che, strutturata in termini del tutto identici e riferita agli analogh benefici per il futuro introdotti in sostituzione del reddito di cittadinanza, continu a prevedere il medesimo disvalore penale delle condotte di mendacio e di omessa comunicazione volte all’ottenimento o al mantenimento delle nuove provvidenze economiche” ( Sez. 2, n. 23265 del 7/5/2024, El Hadraoui Rv. 286413-01).
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Tali principi risultano applicati nel provvedimento impugNOME per cui il motivo si risolve nella sterile reiterazione di una tesi giuridica già motivatamente disattesa dal giudice di merito e palesemente contrastante con il consolidato e condivisibile orientamento di questa Corte di legittimità.
Non è dato, ancora, comprendere, perché la norma introdotta proprio per sanzionare l’indebita percezione del reddito di cittadinanza non debba trovare applicazione alle ipotesi sanzionate in favore dell’art. 316 ter c.p., così ribaltando il brocardo lex specialis derogat generali.
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, tendendo ad una rivalutazione del merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione della Corte territoriale che non è né mancante, né manifestamente illogica.
La difesa lamenta una motivazione “assente” o “apparente” in ordine al diniego della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria. Tale doglianza è palesemente smentita dalla lettura della sentenza impugnata. La Corte di appello, infatti, ha negato il beneficio sulla base di una valutazione ancorata ai criteri di cui all’art. 133 c.p., richiamando espressamente:
l’intensità del dolo, desunta dalla piena consapevolezza degli imputati circa l’obbligo di dichiarare circostanze volutamente occultate;
la condotta post factum, caratterizzata dalla mancata attivazione per il risarcimento del danno all’ente previdenziale, pur in presenza di disponibilità economiche;
la natura pianificata della condotta, lesiva di interessi generali di solidarietà sociale;
il rischio che la conversione in pena pecuniaria vanificherebbe totalmente la funzione preventiva e di emenda della pena.
Tale motivazione, seppur sintetica, è completa e del tutto congrua. Essa dà conto, in modo non manifestamente illogico, delle ragioni per cui il giudice di merito ha ritenuto, nell’esercizio del suo potere discrezionale, di non poter formulare un giudizio prognostico favorevole circa l’idoneità della sanzione sostitutiva a realizzare le finalità della pena nel caso concreto.
Secondo il costante insegnamento di questa Corte, il giudizio relativo alla concessione o al diniego delle sanzioni sostitutive è espressione di un potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio è insindacabile in sede di legittimità qualora sia sorretto da motivazione immune da vizi logici o da errori di diritto. La doglianza del ricorrente, che definisce la valutazione della Corte una “mera illazione” frutto di una “visione ermetico securitaria”, si traduce in una critica di mero fatto avverso l’apprezzamento discrezionale del giudice, senza individuare un vizio riconducibile all’art. 606 c.p.p.
Tenuto conto della sentenza del 13.6.2000 n.186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della cau di inammissibilità” all’esito del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle élimmende, equitativannente fissata come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spe processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende Così deciso il 19/9/2025