Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27722 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27722 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CINISI il 31/08/1963
avverso la sentenza del 29/10/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile e dell’avv.to NOME COGNOME che ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 29/10/2024, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza del GUP del Tribunale di Palermo in data 29/10/2024 che aveva ritenuto COGNOME COGNOME responsabile dei reati di cui all’art. 7 comma 1 e 2 d.l. 4/2019 e 640 bis cod. pen. per av omesso di comunicare all’INPS nell’istanza presentata il 27/10/2020 e nell’ambito del rapporto derivato dall’accoglimento dell’istanza del 30/3/2019, la sottoposizione alla misura della custodi cautelare in carcere così ricavando un ingiusto profitto, · e, unificati i reati, riconosciute le attenuanti generiche, lo aveva condannata alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ordinando la confisca “di un importo monetario di C 23.672,50.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, che, con il primo motivo, denuncia il deficit di motivazione in tutte le sue declinaz Viene, quindi, richiamata una sentenza del GIP del Tribunale di Lodi, che addossa al beneficiario del reddito di cittadinanza l’obbligo di comunicare la sottoposizione a misura cautelare di un familiare di cui l’amministrazione aveva tenuto conto nell’attribuire e commisurare il benefici per poi dedurre che “il figlio di COGNOME è stato sottoposto a misura cautelare in un momento successivo rispetto alla presentazione della domanda di percezione del reddito di cittadinanza”, essendo stata la domanda presentata il 30/3/2019 e COGNOME Fabio sottoposto a misura cautelare il 25/5/2020.
Con il secondo di denuncia la violazione dell’art. 640 bis cod. pen. deducendosi che non era rimasta provata l’integrazione della fattispecie incriminatrice e che comunque, la condotta doveva essere sussunta nella previsione dell’art. 316 ter cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto del tutto scollegato con la motivazione che sorregge il verdetto di condanna.
L’imputazione è incentrata sull’omessa comunicazione all’INPS dello stato di custodia cautelare in carcere cui COGNOME COGNOME venne sottoposto il 25/5/2020 nell’ambito del proc. pen. 144455/18. E’ vero che le sentenze di merito fanno anche riferimento allo stato di sottoposizione del figlio dell’imputato, NOME, alla misura degli arresti domiciliari in e precedente all’inoltro della domanda per ottenere l’ammissione al beneficio, ma tale circostanza è estranea all’imputazione.
E’, quindi, inammissibile il primo motivo d’impugnazione, risultando il medesimo incentrato sul fatto che l’applicazione della custodia in carcere era stata applicata a Palazzolo Fabio dopo l prima delle domande presentate dal padre per percepire il predetto beneficio.
Generico risulta il secondo motivo d’impugnazione che si esaurisce nel richiamare la disciplina generale in tema di truffa ai danni dello Stato senza però spiegare perché i princi enunciati siano applicabili alla vicenda di Palazzolo, così sottraendosi al confronto con l’articol motivazione sviluppata dalla Corte territoriale per giustificate la condanna in ordine al predet delitto.
Tardiva, in quanto non risulta proposta in sede di gravame, risulta, poi, la doglianza relati alla qualificazione della condotta ritenuta, tant’è che sentenza impugnata non se ne fa alcuna menzione ed il ricorrente non ne contesta il punto. Secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dall’odierno Collegio, “in tema di ricorso per cassazione, la regola ricavabile d combinato disposto degli artt. 606, comma terzo, e 609, comma secondo, cod. proc. pen. secondo cui non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudi quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello – trova la sua “ratio” nell
necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso, non investito dal controllo della Corte di
appello, perché non segnalato con i motivi di gravame.” ( Sez. 4,. n. 10611 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 256631; Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316 – 01).
3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’articolo 616 co proc. pen., la condanna della parte privata che lo ha proposto al pagamento delle spese del
procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce
del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n.186 del 2000, si stima equo determinare, considerati i profili di inammissibilità ravvisati, in euro tremila.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/6/2025