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Reddito di cittadinanza: il reato non è abolito

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’abrogazione del reddito di cittadinanza non estingue il reato per chi lo ha percepito indebitamente in passato. La legge che ha soppresso il beneficio ha espressamente mantenuto in vigore le sanzioni penali per i fatti pregressi, derogando al principio della legge più favorevole. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto che aveva omesso di dichiarare cospicue movimentazioni su conti gioco, confermando la sua condanna.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di Cittadinanza: L’Abrogazione Non Cancella il Reato

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato una questione di grande attualità: le conseguenze penali per chi ha percepito indebitamente il reddito di cittadinanza dopo la sua abrogazione. La Suprema Corte ha chiarito che la soppressione del beneficio non comporta l’automatica estinzione del reato, fornendo un’interpretazione cruciale sul principio di successione delle leggi penali nel tempo.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato riguardava un cittadino condannato per il reato previsto dall’art. 7 del D.L. 4/2019, per aver percepito il reddito di cittadinanza senza averne diritto. In particolare, l’imputato aveva omesso di dichiarare ingenti movimentazioni di denaro registrate sui propri conti gioco.

L’interessato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. L’avvenuta abrogazione del reato: secondo la difesa, la soppressione del reddito di cittadinanza (a far data dal 1° gennaio 2024) avrebbe comportato l’abolizione della relativa fattispecie penale incriminatrice.
2. La particolare tenuità del fatto: in subordine, si chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p., sostenendo che le vincite non dichiarate venivano immediatamente rigiocate, data la sua condizione di ludopatico.

La Decisione della Corte di Cassazione sul Reddito di Cittadinanza

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando entrambe le argomentazioni della difesa con motivazioni precise e destinate a fare da guida per casi analoghi.

Continuità Normativa e Inapplicabilità della “Lex Mitior”

Riguardo al primo motivo, i giudici hanno smontato la tesi dell'”abolitio criminis”. Hanno infatti sottolineato come la legge che ha abrogato il reddito di cittadinanza (L. 197/2022) contenga una clausola di salvaguardia specifica. Questa clausola stabilisce che le sanzioni penali previste dalla vecchia normativa continuano ad applicarsi per tutti i fatti commessi fino al termine di efficacia della disciplina.

Si tratta, spiega la Corte, di una deroga esplicita al principio generale della “lex mitior” (la legge più favorevole all’imputato). Il legislatore ha voluto assicurare la tutela penale per l’indebita erogazione del beneficio per tutto il periodo in cui è stato in vigore. Inoltre, la nuova incriminazione (art. 8, D.L. 48/2023), relativa ai nuovi sussidi, si pone in una logica di continuità cronologica, garantendo che non vi siano vuoti di tutela.

Particolare Tenuità del Fatto: La Valutazione dei Giudici di Merito

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Cassazione ha ricordato che la valutazione sulla particolare tenuità del fatto è di competenza dei giudici di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica o viziata.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato il diniego, facendo riferimento agli “importi non minimali” movimentati sui conti gioco del ricorrente (oltre 11.500 euro in un anno e quasi 5.000 nell’anno successivo). Tali cifre, secondo i giudici, erano indicative di una “continua e non modesta disponibilità di danaro”, incompatibile con i presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su un’attenta analisi della volontà del legislatore e dei principi che regolano la successione delle leggi penali. La decisione di mantenere in vigore le sanzioni per il reddito di cittadinanza anche dopo la sua soppressione risponde all’esigenza di non lasciare impunite le condotte fraudolente che hanno danneggiato le finanze pubbliche. La deroga al principio di retroattività della legge più favorevole è stata ritenuta legittima proprio perché finalizzata a garantire la continuità della tutela penale.

Sul secondo punto, la Corte ribadisce il proprio ruolo di giudice di legittimità, che non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito sui fatti, ma solo verificare la correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito. La motivazione della corte territoriale, basata su dati oggettivi (gli importi transitati sui conti gioco), è stata ritenuta congrua e immune da vizi.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione ha un’importante implicazione pratica: chi ha commesso illeciti legati alla percezione del reddito di cittadinanza non può sperare nell’impunità a seguito della sua abrogazione. La continuità normativa voluta dal legislatore assicura che le condotte fraudolente commesse sotto la vigenza della vecchia legge restino penalmente perseguibili. La decisione conferma un orientamento rigoroso a tutela delle risorse pubbliche destinate alle misure di sostegno sociale.

L’abrogazione del reddito di cittadinanza ha cancellato il reato per chi lo ha percepito indebitamente in passato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la legge che ha abrogato il beneficio (L. n. 197/2022) ha espressamente previsto che le sanzioni penali continuino ad applicarsi per i fatti commessi fino al termine di efficacia della vecchia disciplina, derogando al principio della legge più favorevole.

Perché la Corte ha negato l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La Corte ha ritenuto adeguata la motivazione del giudice di merito, che ha negato la particolare tenuità del fatto a causa degli “importi non minimali” registrati sui conti gioco del ricorrente (oltre 11.500 euro in un anno e quasi 5.000 nell’altro), considerati indicativi di una disponibilità economica non modesta e continua, incompatibile con il beneficio.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la Corte non esamina il merito della questione. La conseguenza per il ricorrente, secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, è la condanna al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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