LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Reddito di cittadinanza: false dichiarazioni e reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino condannato per false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza. La Corte ha stabilito che il reato non è stato abrogato nonostante la soppressione del beneficio, confermando la condanna e le sanzioni pecuniarie. I motivi di ricorso basati su una diversa valutazione dei fatti e delle prove sono stati respinti in quanto non ammissibili in sede di legittimità.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di Cittadinanza: la Cassazione Conferma, le False Dichiarazioni Restano Reato

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale per chi ha beneficiato del reddito di cittadinanza: la soppressione della misura non cancella i reati commessi per ottenerlo. Analizziamo questa importante decisione che chiarisce come le false dichiarazioni rese in passato continuino ad avere conseguenze penali, anche oggi.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un cittadino condannato nei primi due gradi di giudizio per aver reso dichiarazioni mendaci al fine di percepire il reddito di cittadinanza. Nello specifico, l’imputato aveva dichiarato di essere l’unico componente del proprio nucleo familiare anagrafico, omettendo di indicare la presenza del figlio, la cui residenza era attestata presso la stessa abitazione. Questa omissione aveva alterato i requisiti per l’accesso al beneficio, configurando un’ipotesi di reato.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:

1. Vizio di motivazione: Contestava la valutazione delle prove, sostenendo che le dichiarazioni di un testimone avrebbero dovuto prevalere sui dati anagrafici.
2. Insussistenza del dolo: Negava di aver agito con l’intenzione di mentire, affermando la mancanza dell’elemento psicologico del reato.
3. Abolitio criminis: Sosteneva che l’abrogazione della legge istitutiva del reddito di cittadinanza, a partire dal 1° gennaio 2024, avesse di fatto cancellato il reato stesso.

La Decisione della Cassazione sul reddito di cittadinanza

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni della difesa con motivazioni nette e precise.

Inammissibilità delle Censure di Fatto

I primi due motivi, relativi alla valutazione delle prove e all’accertamento del dolo, sono stati giudicati inammissibili. La Corte ha ricordato che il giudizio di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di merito per riesaminare i fatti. La Corte d’Appello aveva già logicamente motivato la sua decisione, ritenendo generiche le testimonianze e prevalenti le risultanze anagrafiche. Inoltre, aveva correttamente identificato la sussistenza del dolo, quantomeno nella forma del “dolo eventuale”: l’imputato, non effettuando alcuna verifica presso il Comune, aveva deliberatamente accettato il rischio di presentare una dichiarazione non veritiera.

L’Infondatezza della Tesi sull’Abolitio Criminis

Il punto cruciale della decisione riguarda il terzo motivo. La Cassazione ha definito “manifestamente infondato” l’argomento secondo cui la soppressione del reddito di cittadinanza avrebbe comportato l’abolizione del reato. La legge che ha abrogato la misura (L. 197/2022) ha esplicitamente previsto che le sanzioni penali continuino ad applicarsi per i fatti commessi fino al termine di efficacia della disciplina.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che questa deroga al principio generale della lex mitior (applicazione della legge più favorevole al reo) è pienamente legittima e non irragionevole. Tale scelta legislativa, avallata anche dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 54 del 2024), si fonda su una plausibile giustificazione: garantire la tutela penale contro l’indebita erogazione del beneficio per tutto il periodo in cui è stato possibile usufruirne. La soppressione della vecchia misura è stata coordinata con l’introduzione di nuovi benefici, e il legislatore ha inteso assicurare una continuità nella protezione penale delle risorse pubbliche destinate al sostegno economico. Pertanto, chi ha commesso il reato in passato non può invocare l’abrogazione della norma per sfuggire alle proprie responsabilità.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: la fine del reddito di cittadinanza non rappresenta un’amnistia per i “furbetti”. Le condotte fraudolente commesse durante la vigenza della legge rimangono penalmente rilevanti. La decisione della Cassazione, oltre a condannare il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro, serve da monito: l’ordinamento giuridico continua a perseguire chi ha indebitamente percepito aiuti statali attraverso dichiarazioni false o omissive, anche se la specifica misura di sostegno è stata superata.

Fare una falsa dichiarazione per il reddito di cittadinanza è ancora reato dopo la sua abolizione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la legge che ha abrogato il reddito di cittadinanza ha specificamente previsto che le sanzioni penali continuino ad applicarsi per i fatti illeciti commessi quando la misura era in vigore.

Cosa si intende per “dolo eventuale” nel contesto di false dichiarazioni?
Significa che, anche se una persona non ha l’intenzione diretta di mentire, commette comunque reato se si rappresenta la possibilità che la sua dichiarazione sia falsa e accetta consapevolmente questo rischio, senza effettuare le dovute verifiche (ad esempio, controllare la composizione del nucleo familiare anagrafico presso il Comune).

Perché la Corte di Cassazione non ha riesaminato le prove come la testimonianza?
La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è rivalutare le prove (come testimonianze o documenti), ma verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio. Le valutazioni sui fatti sono di competenza esclusiva del Tribunale e della Corte d’Appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati