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Reddito di cittadinanza: false dichiarazioni e reato

La Corte di Cassazione conferma la condanna per il reato legato al reddito di cittadinanza, anche in caso di false dichiarazioni parziali. Un soggetto aveva dichiarato un canone di locazione superiore al reale e omesso di comunicare nuovi redditi, ottenendo così un beneficio maggiore. La Corte ha stabilito che qualsiasi dichiarazione non veritiera finalizzata a percepire un importo superiore integra il reato. Rigettata anche la richiesta di messa alla prova per superamento dei limiti di pena e la tesi della particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di Cittadinanza: Anche le False Dichiarazioni Parziali sono Reato

La percezione del reddito di cittadinanza è un tema che ha generato numerose questioni legali, specialmente riguardo agli obblighi di veridicità nelle dichiarazioni. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: anche le dichiarazioni parzialmente false, volte a ottenere un beneficio economico maggiore di quello spettante, integrano a tutti gli effetti il reato previsto dalla legge. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Dichiarazione Infedele

Il caso esaminato riguarda un cittadino condannato in primo e secondo grado per aver indebitamente percepito il reddito di cittadinanza in misura superiore a quella dovuta. Nello specifico, l’imputato aveva commesso due illeciti:

1. Dichiarazione mendace: Aveva dichiarato di pagare un canone di locazione annuo di 4.800 euro, mentre l’importo reale era di 2.400 euro. Questa falsa attestazione gli ha permesso di ottenere un aumento dell’importo erogato.
2. Omissione di comunicazione: Aveva omesso di comunicare le variazioni di reddito derivanti dall’inizio di un rapporto di lavoro a tempo determinato, sia per sé stesso che per la propria convivente. Tale omissione gli ha consentito di mantenere il beneficio economico.

L’Iter Giudiziario e i Motivi del Ricorso

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. In primo luogo, ha sostenuto un’erronea applicazione della legge, affermando che la falsa dichiarazione non era finalizzata a ottenere il beneficio in sé, ma era contenuta in una dichiarazione successiva (DSU) rilevante solo per il calcolo dell’ISEE. Inoltre, veniva contestato il diniego della sospensione del processo con messa alla prova e il mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, data la condotta successiva di pagamento rateale delle sanzioni INPS.

La Gestione del Reddito di cittadinanza e la Visione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la condanna e fornendo chiarimenti cruciali sulla normativa relativa al reddito di cittadinanza.

La Configurazione del Reato

I giudici hanno specificato che il reato previsto dall’art. 7, comma 1, del D.L. n. 4/2019 non si configura solo quando le false dichiarazioni sono finalizzate a ottenere un beneficio altrimenti non spettante. Il reato sussiste anche quando le menzogne sono volte a conseguire il beneficio in una misura maggiore di quella dovuta. Portare all’attenzione dell’amministrazione dati non veritieri, come un canone di locazione gonfiato, che incidono sul calcolo dell’importo, è sufficiente per integrare la fattispecie criminosa. Lo stesso vale per l’omessa comunicazione delle variazioni di reddito.

La “Messa alla Prova” non Ammissibile

La richiesta di messa alla prova è stata correttamente respinta. La legge prevede che tale istituto non sia applicabile per reati la cui pena edittale massima è superiore a quattro anni di reclusione. Il reato in questione è punito con la reclusione da due a sei anni, superando quindi il limite previsto, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla Riforma Cartabia.

La Tenuità del Fatto e la Condotta Successiva

La Corte ha anche escluso la non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.). Sebbene la condotta successiva al reato (post factum) sia un elemento da valutare, il semplice pagamento rateale delle sanzioni amministrative imposte dall’INPS non è stato ritenuto sufficiente a rendere l’offesa “tenue”. Questo comportamento, infatti, rappresenta l’adempimento di un obbligo di legge e non una spontanea restituzione del beneficio illecitamente percepito. Tale pagamento non diminuisce la gravità dell’offesa, che è stata valutata nel suo complesso.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte si fonda su un’interpretazione rigorosa della norma, volta a tutelare l’integrità del sistema di sostegno al reddito. La buona fede dell’imputato è stata esclusa in quanto non sono richieste competenze specifiche per comprendere l’obbligo di dichiarare il corretto importo del canone di locazione o di comunicare un nuovo reddito da lavoro. La molteplicità delle condotte illecite (dichiarazione mendace e omissioni multiple) ha ulteriormente rafforzato la valutazione negativa sulla colpevolezza e sulla gravità del fatto.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza invia un messaggio chiaro a tutti i percettori di benefici economici statali: la massima trasparenza e veridicità sono requisiti non negoziabili. Qualsiasi alterazione della realtà, anche se apparentemente minore o finalizzata solo a un lieve aumento dell’importo, può avere conseguenze penali significative. La decisione sottolinea inoltre che le condotte riparatorie successive, se non consistono in una completa e spontanea restituzione del maltolto, difficilmente potranno portare a un’esclusione della punibilità per tenuità del fatto. La correttezza nelle comunicazioni con la Pubblica Amministrazione rimane un pilastro fondamentale per la legittima fruizione dei diritti sociali.

Anche una falsa dichiarazione che aumenta solo l’importo del reddito di cittadinanza, senza essere determinante per ottenerlo, costituisce reato?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che il reato di cui all’art. 7 del d.l. n. 4/2019 si configura anche quando le false dichiarazioni o le omissioni sono finalizzate a conseguire il beneficio economico in un importo maggiore di quello altrimenti spettante.

È possibile ottenere la sospensione del processo con “messa alla prova” per il reato di indebita percezione del reddito di cittadinanza?
No. La sentenza chiarisce che la messa alla prova non è ammissibile perché la pena massima prevista per questo reato (sei anni di reclusione) è superiore al limite di quattro anni stabilito dalla legge per l’accesso a tale istituto.

Aver pagato le sanzioni amministrative dopo aver commesso il reato può rendere l’offesa “tenue” e quindi non punibile?
No, non automaticamente. La Corte ha ritenuto che il pagamento rateale delle sanzioni amministrative imposte dall’INPS costituisce un adempimento a un obbligo di legge e non una condotta riparatoria spontanea tale da rendere l’offesa tenue. Questo comportamento, da solo, non è sufficiente a escludere la punibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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