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Reddito di cittadinanza: false dichiarazioni e dolo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un cittadino condannato per false dichiarazioni finalizzate a ottenere il reddito di cittadinanza. La Corte ha stabilito che l’ignoranza dei requisiti di legge, come quello della residenza, costituisce un errore su legge penale non scusabile e non esclude il dolo, ovvero l’intenzione di commettere il reato. La mancata conoscenza della lingua italiana non è stata considerata una giustificazione valida.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di Cittadinanza e False Dichiarazioni: L’Ignoranza della Legge Non Scusa

La richiesta di benefici statali, come il reddito di cittadinanza, impone al cittadino un dovere di correttezza e veridicità nelle dichiarazioni fornite. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione penale ha ribadito un principio fondamentale del nostro ordinamento: l’ignoranza dei requisiti di legge non costituisce una scusa valida per evitare una condanna penale in caso di false attestazioni. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti del Caso: Una Domanda Compilata con Leggerezza

Un cittadino di origine straniera presentava domanda per ottenere il reddito di cittadinanza. Successivamente, veniva accertato che non possedeva uno dei requisiti fondamentali previsti dalla legge: la residenza continuativa in Italia per un determinato periodo. Nello specifico, al momento della domanda, l’uomo era presente sul territorio italiano da meno di tre anni.

Condannato in primo grado e in appello alla pena di un anno di reclusione per il reato previsto dall’art. 7 del D.L. 4/2019, l’imputato proponeva ricorso per cassazione. La sua difesa si basava su due argomenti principali:
1. La mancata conoscenza della lingua italiana, che non gli avrebbe permesso di comprendere appieno il contenuto del modulo sottoscritto presso un CAF.
2. L’assenza dell’elemento psicologico del reato (il dolo), sostenendo di aver rinunciato al beneficio non appena compreso di non averne diritto, senza peraltro averlo mai percepito.

In sostanza, l’imputato sosteneva di aver agito in buona fede, vittima di un errore dovuto a barriere linguistiche e a una non completa comprensione della normativa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna. Gli Ermellini hanno ritenuto le argomentazioni difensive infondate e meramente contestative rispetto a quanto già correttamente valutato dai giudici di merito.

La Corte ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, una sanzione prevista per i casi in cui il ricorso viene rigettato per colpa del ricorrente.

Le motivazioni sulla rilevanza delle false dichiarazioni per il reddito di cittadinanza

La Corte ha smontato la tesi difensiva punto per punto. Innanzitutto, ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui le false indicazioni o le omissioni di informazioni rilevanti per l’ottenimento del reddito di cittadinanza integrano il reato previsto dall’art. 7 del D.L. 4/2019. Non è necessario che il beneficio sia effettivamente percepito; è sufficiente che le dichiarazioni false siano strumentali al suo conseguimento.

Il punto cruciale della motivazione riguarda la presunta assenza di dolo. La Cassazione ha chiarito che l’ignoranza o l’errore sui requisiti necessari per accedere al beneficio (in questo caso, la residenza) non si configura come un errore di fatto che scusa, ma come un errore su legge penale. Secondo l’articolo 5 del Codice Penale, l’ignoranza della legge penale non scusa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile. Nel caso di specie, la normativa sul reddito di cittadinanza non è stata ritenuta così oscura o criptica da giustificare un’ignoranza inevitabile.

La sentenza impugnata, secondo la Corte, aveva già spiegato in modo logico come l’imputato, nonostante le barriere linguistiche, fosse consapevole della natura ostativa della sua situazione di residenza, data la chiarezza delle formule utilizzate nella dichiarazione che aveva sottoscritto.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa pronuncia rafforza un principio di responsabilità individuale fondamentale: chiunque sottoscriva una dichiarazione finalizzata a ottenere un beneficio pubblico ha l’onere di accertarsi della veridicità di quanto attesta e della sussistenza dei requisiti richiesti. Le implicazioni pratiche sono chiare:

1. Nessuna scusa per l’ignoranza: Non è possibile difendersi sostenendo di non conoscere la legge. L’errore sui requisiti normativi è un errore di diritto, che di regola non esclude la colpevolezza.
2. La responsabilità della firma: La sottoscrizione di un documento implica l’assunzione di responsabilità sul suo contenuto. Difficoltà linguistiche o la presunta assistenza superficiale di un intermediario (come un CAF) non sono sufficienti, di per sé, a escludere il dolo.
3. Il reato si consuma con la dichiarazione: Il delitto di false dichiarazioni è un reato di pericolo. Si perfeziona nel momento in cui viene presentata la domanda con dati non veritieri, a prescindere dall’effettiva percezione del beneficio o da una successiva rinuncia.

Non conoscere la lingua italiana è una scusa valida per aver fatto false dichiarazioni per ottenere il reddito di cittadinanza?
No. Secondo la Corte, la mancata conoscenza della lingua non è sufficiente a escludere la consapevolezza, specialmente quando le formule utilizzate nella dichiarazione sono chiare nel definire i requisiti, come quello della residenza.

Affermare di non conoscere i requisiti di legge per il reddito di cittadinanza esclude il dolo?
No. La Corte ha stabilito che l’ignoranza o l’errore sui requisiti richiesti dalla legge si risolve in un errore su legge penale. In base all’art. 5 del codice penale, tale errore non esclude la sussistenza del dolo e quindi la punibilità, salvo casi eccezionali di inevitabilità dell’ignoranza, non riscontrati in questa vicenda.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata diventa definitiva. Inoltre, secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, se si ritiene che l’impugnazione sia stata presentata con colpa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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