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Reddito di cittadinanza: Falsa residenza è reato

Il caso riguarda una condanna per aver falsamente dichiarato il requisito di residenza decennale per ottenere il reddito di cittadinanza. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, allineandosi alla Corte Costituzionale che ha ridotto il requisito a cinque anni, un termine comunque non rispettato dalla ricorrente. La Corte ha però annullato la parte della sentenza che subordinava la sospensione della pena alla restituzione delle somme all’INPS, poiché l’ente non si era costituito parte civile.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di Cittadinanza e Falsa Residenza: La Cassazione Fa Chiarezza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema delle false dichiarazioni per l’ottenimento del reddito di cittadinanza, un argomento di grande attualità che si colloca al centro di un complesso dialogo tra la giustizia italiana e quella europea. La decisione analizza la posizione di una cittadina straniera condannata per aver falsamente attestato il requisito della residenza decennale, offrendo importanti chiarimenti sulla rilevanza penale della condotta anche alla luce dei recenti interventi della Corte di Giustizia UE e della Corte Costituzionale.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda una cittadina di origine nigeriana, giunta in Italia nel luglio 2017, che nel settembre 2020 presentava domanda per ottenere il reddito di cittadinanza. Nella richiesta, la donna attestava falsamente di possedere il requisito della residenza in Italia da almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, come richiesto dalla normativa all’epoca vigente. Sulla base di tale dichiarazione mendace, veniva condannata sia in primo grado che in appello. La difesa della donna proponeva quindi ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui la presunta mancanza di dolo e, soprattutto, l’impatto di una cruciale sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Il contrasto tra Normativa Nazionale e Diritto Europeo sul Reddito di Cittadinanza

Il cuore della questione giuridica risiede nel conflitto tra la legge italiana e il diritto europeo. La Corte di Giustizia UE, con una pronuncia del luglio 2024, aveva stabilito che subordinare l’accesso a prestazioni sociali come il reddito di cittadinanza al requisito di dieci anni di residenza fosse discriminatorio e contrario al diritto dell’Unione per i cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo.

Tuttavia, poco dopo, è intervenuta la Corte Costituzionale italiana con la sentenza n. 31 del 2025. La Consulta, pur dichiarando l’illegittimità del requisito dei dieci anni e riducendolo a cinque, ha preso le distanze dall’interpretazione della Corte UE. Secondo i giudici costituzionali, il reddito di cittadinanza non è una mera prestazione di assistenza sociale, ma una misura più complessa, finalizzata all’inclusione sociale e al reinserimento lavorativo. Questa natura “attiva” della misura giustificherebbe la richiesta di un sufficiente “radicamento territoriale”, individuato nel termine di cinque anni.

La Sospensione Condizionale della Pena e la Restituzione delle Somme

Un altro punto fondamentale affrontato dalla Cassazione riguarda la sospensione condizionale della pena. I giudici di merito avevano subordinato tale beneficio alla restituzione delle somme indebitamente percepite in favore dell’INPS. La difesa ha contestato questa condizione, sottolineando che l’INPS non si era costituito parte civile nel processo.

La Corte di Cassazione ha accolto questo motivo di ricorso. Richiamando un principio consolidato delle Sezioni Unite, ha chiarito la distinzione tra “danno criminale” (le conseguenze dannose o pericolose del reato) e “danno civilistico” (il pregiudizio economico subito dalla vittima). La sospensione della pena può essere subordinata all’eliminazione del danno criminale, ma non al risarcimento del danno civile se il danneggiato non ne ha fatto esplicita richiesta costituendosi parte civile.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso per quanto riguarda la responsabilità penale. Aderendo pienamente all’impostazione della Corte Costituzionale, ha affermato che la falsa dichiarazione rimane un reato. Nel caso specifico, la ricorrente, essendo in Italia dal 2017, al momento della domanda nel 2020 non soddisfaceva neppure il requisito ridotto a cinque anni di residenza. La condotta penalmente rilevante consiste proprio nell’aver presentato una dichiarazione non veritiera per accedere a un beneficio pubblico.

La Corte ha invece annullato senza rinvio la sentenza impugnata nella parte relativa alla condizione per la sospensione della pena. Poiché l’INPS non si era costituito parte civile, il giudice non poteva imporre la restituzione delle somme come condizione per il beneficio, trattandosi di una questione di risarcimento del danno civilistico che esula dai poteri del giudice penale in assenza di una specifica richiesta della parte lesa.

Conclusioni

La sentenza consolida un principio fondamentale: dichiarare il falso per ottenere benefici pubblici costituisce reato, indipendentemente dalle successive evoluzioni normative sui requisiti di accesso. La decisione evidenzia inoltre la dialettica tra ordinamenti giuridici, con la giustizia italiana che rivendica una propria interpretazione sulla natura del reddito di cittadinanza rispetto a quella europea. Infine, offre un importante promemoria procedurale sui limiti del potere del giudice penale nel condizionare la sospensione della pena a obblighi di natura risarcitoria, ribadendo la necessità della costituzione di parte civile.

Dichiarare falsamente una residenza di 10 anni per il reddito di cittadinanza è ancora reato dopo le sentenze della Corte UE e della Corte Costituzionale?
Sì. La Cassazione chiarisce che la falsità della dichiarazione al momento della domanda costituisce reato. Anche se la Corte Costituzionale ha poi ridotto il requisito a 5 anni, nel caso specifico la ricorrente non soddisfaceva nemmeno questo requisito, rendendo la sua dichiarazione penalmente rilevante.

Un giudice può subordinare la sospensione condizionale della pena alla restituzione delle somme percepite indebitamente all’INPS?
No, non se l’INPS non si è costituito parte civile nel processo. La Cassazione ha stabilito che la restituzione delle somme è un risarcimento del danno civile, che può essere imposto come condizione solo se la parte danneggiata (l’INPS in questo caso) ha partecipato attivamente al processo penale per richiederlo.

La sentenza della Corte di Giustizia Europea che bocciava il requisito di 10 anni di residenza rende lecita la falsa dichiarazione?
No. La Cassazione, seguendo l’interpretazione della Corte Costituzionale italiana, ha ritenuto che il reddito di cittadinanza non sia una mera prestazione di assistenza sociale, ma una misura complessa di inclusione sociale e lavorativa. Questo giustifica un requisito di radicamento territoriale (ora di 5 anni), rendendo comunque penalmente rilevante la falsa dichiarazione su tale requisito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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