Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2597 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2597 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nata a Casal di Principe il 01/06/1963, avverso la sentenza del 17/04/2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sosti Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullame senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non è più previsto d legge come reato;
udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di As RAGIONE_SOCIALE, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
n
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 29 dicembre 2022, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli Nord condannava NOME COGNOME alla pena di un anno di reclusione, in quanto ritenuta colpevole del reato di cui all’art. 7 I. n. 26/2019 per aver reso dichiarazioni non corrispondenti al vero nella attestazione Isee posta a fondamento della domanda presentata in data 25/04/2020 volta a conseguire il beneficio del reddito di cittadinanza, in particolare ometteva di indicare che nel nucleo familiare di appartenenza non vi erano soggetti destinatari di condanna definitiva, mentre il marito, NOME NOME, risultava destinatario di condanna in via definitiva per il reato di cui all’art. 416-bis co pen. con sentenza della Corte di appello di Napoli, irrevocabile dal 25/11/2014, come da casellario giudiziale versato in atti.
Con sentenza del 17 aprile 2024, la Corte di appello di Napoli confermava la pronuncia di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, NOME COGNOME tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo, la difesa lamenta violazione dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., 192 cod. proc. pen. in relazione al reato di cui all’art. 7 I. 26/2019, per mancata assoluzione della ricorrente.
In sintesi, la ricorrente deduce che ella, pur avendo il coniuge convivente riportato condanna per reato associativo, avrebbe avuto in ogni caso diritto alla prestazione seppur in maniera ridotta, richiamando giurisprudenza di legittimità sul punto.
2.2 Con il secondo motivo, la difesa lamenta violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen., 7 I. n. 26/2019, 640, comma 2, cod. pen. per mancata derubricazione nel reato di cui all’art. 640, comma 2, cod. pen., con conseguente dichiarazione di improcedibilità per mancanza di querela.
Deduce la difesa che la condotta della ricorrente, che avrebbe omesso di indicare la condanna del coniuge convivente, avrebbe indotto in errore il contraente, determinando uno spostamento patrimoniale, così integrando il reato di truffa, conseguendone la dichiarazione di improcedibilità per mancanza di querela; questione espressamente dedotta al capo 2 dei motivi di gravame sulla quale la Corte territoriale aveva omesso di rispondere.
2.3 Con il terzo motivo, la difesa lamenta violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 2 cod. pen. per mancata applicazione della retroattività della legge più favorevole, che aveva abrogato il reato, come stabilito dalla stessa Corte di appello per casi analoghi.
Lamenta la ricorrente la mancata applicazione della legge più favorevole che aveva abrogato la legge incriminatrice, richiesta avanzata solo in udienza dibattimentale, trattandosi di elemento sopravvenuto rispetto al momento in cui era stato redatto l’atto di appello.
2.4 Con il quarto motivo, la difesa lamenta violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 133 cod. pen., 62-bis, 81 cpv. cod. pen.
La difesa censura la sentenza impugnata sul punto relativo alla dosimetria della pena, non avendo la Corte di appello adempiuto l’obbligo motivazionale sulla richiesta di un più vasto abbattimento di pena per le circostanze attenuanti generiche già concesse in primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La giurisprudenza di legittimità, nella sua più autorevole composizione, ha infatti affermato che «integrano il delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza solo se funzionali a ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge» (Sez. U, n. 49686 del 13/07/2023, Giudice, Rv. 285435).
E’, pertanto, destituita di fondamento giuridico la tesi sostenuta dalla ricorrente, nel primo motivo, in base alla quale non sarebbe configurabile il reato, poiché costei avrebbe avuto diritto alla prestazione, seppur in misura ridotta: il reato previsto dal primo comma dell’art. 7, cit., sussiste anche quando l’agente agisce nella prospettiva di ottenere più del dovuto, dovendosi attribuire all’avverbio “indebitamente’ un contenuto più ampio, non limitato alla sola prospettiva di ottenere il beneficio senza averne diritto, ma anche a quella di ottenere il beneficio in misura maggiore del dovuto (Sez. U, n. 49686 del 13/07/2023, in motivazione).
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
In materia, l’insegnamento di legittimità è nel senso che «Il vizio di motivazione che denunci la mancata risposta alle argomentazioni difensive, può essere utilmente dedotto in Cassazione unicamente quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano un chiaro ed inequivocabile carattere di decisività, nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad un decisione più favorevole di quella adottata» (Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, COGNOME, Rv. 253445). In altri termini, la mancata disamina d doglianze dedotte con l’appello non può per ciò solo comportare l’annullamen della doppia decisione conforme per vizio di motivazione, potendo lo stes essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sed merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorr l’impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M. e aa., 271227; nello stesso senso, più di recente, Sez. 3, n. 9708 del 16/02/2 Tornese, Rv. 286031 – 01).
Nel caso in esame, all’effettiva carenza di argomenti della sente impugnata rispetto ad un tema specifico devoluto alla Corte territor si contrappone la manifesta infondatezza per genericità dell’assunto conten nel motivo di appello, e, dunque, la sua non decisività, avuto riguar consolidato orientamento di legittimità secondo il quale il reato di cui al del d.l. n. 4 del 2019, strutturato sulla falsariga dell’art. 316-ter cod. p quale è in rapporto di specialità reciproca), si differenzia dalla truffa ag per la presenza del dolo specifico e per la mancata inclusione, tra gli ele costitutivi, dell’induzione in errore dell’ente erogatore, il quale svolge un istruttoria minima finalizzata alla verifica del possesso dei requisiti autoced dal richiedente per l’accesso al beneficio (Sez. U, n. 49686 del 13/07/2023, Sez. 2, n. 30007 del 24/06/2022, Boudiaf). Tanto esclude la decisività relativo motivo di appello, circostanza che permette di non ritenere invalidan pronuncia di secondo grado che abbia omesso ogni analisi sul punto (Sez. 1, 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260841).
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La giurisprudenza di legittimità è, infatti, ferma nel ritenere che la fo abrogazione della norma incriminatrice di cui all’art. 7, d.l. n. 4 del disposta dall’art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, a far d dall’i gennaio 2024, non integra un’ipotesi di “abolitio criminis”, di cui al comma 2, cod. pen., ma dà luogo a un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, inquadrabile nel disposto di cui all’art. 2, comma 3, cod. pen.,
riguardo alla corrispondente incriminazione introdotta dall’art. 8 d.l. 4 m 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85 tutto sovrapponibile e riferita al reddito di inclusione in sostituzione di q cittadinanza (Sez. 3, n. 39155 del 24/09/2024, COGNOME, Rv. 286951; Sez. 3, 7541 del 24/01/2024, COGNOME, Rv. 285964).
Ed invero il d.l. n. 48/2023, nel “sostituire”, a decorrere dal 1 gennaio la misura del reddito di cittadinanza con quella dell'”assegno di inclusione” 1), ha previsto, all’art. 8, commi 1 e 2, nuova fattispecie di reato e ip responsabilità contabile e disciplinare, contestualmente prevedendo che reddito di cittadinanza continuassero ad applicarsi le disposizioni di cui all d.l. n. 4 del 2019 vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, p commessi fino al 31 dicembre 2023.
Questa Corte di legittimità ha già affermato, sul punto, che la disposiz sopravvenuta fa salva l’applicazione delle sanzioni penali dalla stessa pre per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa discip previsione sostanzialmente deroga al principio di retroattività della lex m altrimenti conseguente, ex art. 2, comma 2, cod. pen., alla prevista abrogazi dell’art. 7 d.l. 4/2019, ma questa deroga non presta il fianco a censure, es indubbiamente sorretta da una del tutto ragionevole giustificazione: e assicura tutela penale all’erogazione del reddito di cittadinanza, in conform presupposti previsti dalla legge, sin tanto che sarà possibile continuare a fr tale beneficio, così coordinandosi con la sua prevista soppressione a far t dal 10 gennaio 2024 e con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 d. 48/2023, che, strutturata in termini del tutto identici e riferita agli benefici per il futuro introdotti in sostituzione del reddito di cittad continua a prevedere il medesimo disvalore penale delle condotte di mendacio di omessa comunicazione volte all’ottenimento o al mantenimento delle nuove provvidenze economiche (Sez. 3, n. 38877 del 05/07/2024, COGNOME).
4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile perché generico.
Invoca la ricorrente un più vasto abbattimento di pena per le circosta attenuanti generiche già concesse in primo grado, lamentando il mancato adempimento dell’obbligo motivazionale da parte della Corte di appello.
In materia, l’insegnamento di legittimità è nel senso che «il difet motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, pur se prop in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso Cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità origina (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808; Sez. 3, n. 10709 d 25/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262700; Sez. 4, n. 1982 del 15/12/1998
dep. 1999, COGNOME, Rv. 213230; Sez. 1, n. 7096 del 20/1/1986, Ferrara, R 173343).
L’atto di appello, a ben vedere, non conteneva alcun motivo specific concernente il trattamento sanzionatorio, essendosi l’impugnazione limitata a richiesta della concessione delle attenuanti generiche nella massima estensio richiesta riproposta negli stessi generici termini anche in sede di rico legittimità.
Va ricordato, allora, per un verso, che l’appello, al pari del ricor cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici, rispe ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata (fe restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è diretta proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state espost provvedimento impugnato: così Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv. 268822); per altro verso, il motivo con cui si proponga, in sede ricorso cassazione, una doglianza riferita all’omessa motivazione in relazione ad motivo d’appello comunque inammissibile è geneticamente inammissibile anch’esso (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, cit.; nello stesso senso Sez. 9708 del 16/02/2024, COGNOME, Rv. 286031, secondo cui la mancata disamina derle doglianze dedotte con l’appello non può per ciò solo comporta l’annullamento della doppia decisione conforme per vizio di motivazione, potend lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esi verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in se merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorr l’impianto della decisione).
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pe sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, inoltre, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 de giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ric sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della caus inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare o massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in cas inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa sopra indicate.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 16/12/2024