Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4428 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4428 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Vetere NOMECOGNOME nato a Catanzaro il 09/02/1983
avverso la sentenza del 22/05/2024 della Corte di appello di Catanzaro
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, d Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’impugnata sentenza, in riforma parziale della decisione del Tribunale di Catanzaro appellata dall’imputato, la Corte di appello di Catanzaro ha rideterminato in cinque mesi e dieci giorni di reclusione la pena inflitta a carico di NOME COGNOME nel resto confermato la pronuncia di primo grado, che aveva affermato la penale responsabilità dell’imputato per il delitto di cui all’art. 7 d.l. 4 del 2019, perché al fine di ottenere indebitamente il “reddito di cittadinanza”, ometteva di dichiarare, nei quindici giorni a far data dall’Il aprile 2020, che s trovava in stato di custodia cautelare in carcere, per il delitto di cui all’art. 73 d.P. n. 309 del 1990, con disposta con ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Catanzaro in data 11 aprile 2020, con la conseguenza che gli veniva indebitamente erogata per le successive mensilità la somma di 781,80 euro.
Avverso la sentenza l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, ha presentato ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:
2.1. violazione dell’art. 606, comma 1, e), cod. proc. pen., posto che il Vetere era stato posto in custodia cautelare durante l’insorgenza della pandemia da Covid-19 e di conseguenza, normativamente costretto all’isolamento per quindici giorni dall’ingresso nell’istituto penitenziario;
2.2. violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. per violazione degli artt. 521, 522, 598 cod. proc. pen. in relazione all’art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in quanto la Corte di appello ha ritenuto che il Vetere avrebbe potuto informare l’INPS sia pure con ritardo, mentre oggetto di contestazione è l’omessa comunicazione nel temine di quindici giorni, ciò che ha determinato un mutamento radicale del fatto;
2.3. violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione in relazione agli artt. 7 d.l. n. 4 del 2019 e 47 cod. pen., posto che, essendo l’imputato impossibilitato a comunicare la propria sottoposizione alla misura in carcere entro il termine di quindici giorni, non poteva rappresentarsi che, spirato detto termine, egli potesse ancora utilmente comunicare il proprio stato detentivo.
3. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è inammissibile, perché reitera le medesime doglianze che la Corte di merito ha già disatteso con una motivazione convincente e con la quale il ricorrente omette di confrontarsi criticamente.
Invero, la Corte d’appello ha spiegato che la giustificazione fornita dal ricorrente circa l’omessa comunicazione – ossia il fatto di trovarsi in regime di isolamento presso l’istituto penitenziario in cui era ristretto – è del tutto indimostrat non trovando alcun riscontro negli atti probatori.
Per contrastare tale affermazione, il difensore avrebbe dovuto dedurre il vizio di travisamento della prova, specificamente indicando ovvero allegando gli atti da cui emerge la descritta situazione che, a duo avviso, si era verificata, ciò che non è avvenuto.
5. Inammissibile è anche il secondo motivo.
La prospettazione difensiva – ossia che l’imputato sarebbe stato condannato per un fatto diverso, vale a dire per aver omesso di comunicazione la variazione decorsi quindici giorni – è del tutto arbitraria.
La Corte di merito, invero, laddove ha evidenziato che l’imputato avrebbe potuto comunicare, sia pure con ritardo, la variazione, lo ha fatto non per ritenere un fatto diverso, come pare prospettare il ricorrente, ma per evidenziare, che quand’anche – e ciò, come detto, non è dimostrato – l’imputato fosse stato nell’effettiva impossibilità di adempiere per una causa di forza maggiore, ben avrebbe potuto farlo una volta in cui detta situazione fosse cessata, il che non è avvenuto, tanto più che l’imputato nemmeno ha mai restituito le somme indebitamente percepite.
L’inammissibile del secondo motiva comporta, per logica conseguenza l’inammissibilità del terzo.
Una volta ribadito che l’imputato è stato condannato per non aver comunicato il proprio stato detentivo entro il termine di quindici giorni dall’esecuzione della misura custodiale cautelare, del tutto inconferenti sono le censure circa l’assenza di dolo con riferimento a un obbligo di comunicazione dopo la scadenza del termine.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 22/01/2025.