Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25532 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25532 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/06/2025
SECONDA SEZIONE PENALE
Composta da:
NOME IMPERIALI NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Presidente –
– Relatore –
Sent. n. sez. 991/2025
UP – 13/06/2025
R.G.N. 13829/2025
ha pronunciato la seguente sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a MELITO DI PORTO SALVO il 22/06/1973 COGNOME NOME nato a MELITO DI PORTO SALVO il 13/10/1982 COGNOME NOME nato a MELITO DI PORTO SALVO il 17/01/1985 avverso la sentenza del 03/12/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
COGNOME che ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano inammissibili;
sentite le conclusioni dei difensori dei ricorrenti, Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME, nonchŽ Avv. COGNOME, per COGNOME Pasquale e COGNOME NOME, che hanno chiesto lÕaccoglimento dei ricorsi, con ogni conseguente statuizione.
La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza del 03/12/2024, ha confermato la sentenza, pronunciata ad esito di rito abbreviato, del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria del 29/03/2024, con la quale COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Pasquale sono stati condannati alla pena di giustizia per il delitto agli stessi ascritto (art. 640bis cod. pen. per come rispettivamente ascritto ai
capi a, b, c della rubrica, ritenuto nello stesso assorbito il reato di cui allÕart. 7 del d. l. n.4 del 2019, per avere gli stessi avere percepito il reddito di cittadinanza avendo omesso di dichiarare lÕesistenza di sentenza di condanna a loro carico per il delitto di cui allÕart. 416bis cod. pen.).
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, per mezzo dei rispettivi difensori, COGNOME Pasquale, COGNOME NOME e COGNOME NOME, articolando motivi di ricorso che qui si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dellÕart. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Ricorsi COGNOME NOME e COGNOME Domenico, con motivi sovrapponibili, che vengono riportati congiuntamente per entrambi i ricorrenti.
3.1. Violazione di legge e vizio della motivazione in ogni sua forma per erronea qualificazione giuridica della fattispecie ascritta ai sensi dellÕart. 640bis cod. pen. mentre il fatto avrebbe dovuto essere qualificato ai sensi dellÕart. 316ter cod. pen.; la decisione è stata assunta in assenza di qualsiasi fondamento giuridico, non potendo la finalitˆ assistenziale del reddito di cittadinanza rientrare nel campo di applicazione dellÕart. 640bis cod. pen.; manca il requisito tipico dellÕerogazione pubblica; la difesa ha richiamato caratteristiche ed elementi costitutivi delle due fattispecie evidenziando come, quanto al reddito di cittadinanza, manca del tutto una attivitˆ di accertamento effettivo dei presupposti legittimanti da parte dellÕente erogatore, con conseguente assenza, come nel caso in esame di qualsiasi forma di induzione in errore a causa del mendacio o del silenzio su circostanze ostative.
3.2. Violazione di legge e vizio della motivazione perchŽ mancante, erronea o contraddittoria in relazione alla effettiva ricorrenza dellÕelemento soggettivo del reato ricorrendo una evidente scusabilitˆ dellÕerrore commesso nella compilazione del modulo di domanda, che non riportava tra i vari elementi da indicare lÕaggravante mafiosa di cui allÕart. 416bis.1 cod. pen.; manca qualsiasi elemento dal quale desumere lÕintenzionalitˆ della condotta.
3.3. Erronea applicazione della disciplina di cui allÕart. 316ter cod. pen., che in considerazione della condotta posta in essere rappresentava il corretto inquadramento giuridico della fattispecie
3.4. Vizio della motivazione perchŽ contraddittoria e manifestamente illogica ed erronea applicazione del disposto di cui allÕart.7 del d. l. n. 4 del 2019 per intervenuta abrogazione del reato contestato ad opera della legge di bilancio n. 197 del 2022; il Tribunale di Reggio Calabria avrebbe dovuto assolvere gli imputati dalla imputazione ascritta perchŽ il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
3.5. Omessa applicazione della causa di non punibilitˆ per particolare tenuitˆ del fatto ex art. 131bis cod. pen.
3.6. Violazione di legge e vizio della motivazione in ogni sua forma per la mancata concessione della sospensione condizionale della pena, nonchŽ delle circostanze attenuanti generiche; la motivazione è del tutto insufficiente e non pu˜ essere ritenuto adeguato lo scarno riferimento ai parametri di cui allÕart. 133 cod. pen.; la determinazione del trattamento sanzionatorio non presenta una adeguata giustificazione.
4. Ricorso NOME COGNOME.
4.1. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione allÕart. 640bis cod. pen. e artt. 125 e 546 cod. proc. pen.; erronea la considerazione della Corte di appello nel ritenere che il mero silenzio quale condotta omissiva possa rappresentare lÕartificio e il raggiro della truffa contestata; tale omissione aveva un connotato di assoluta neutralitˆ; la Corte di appello ha motivato in evidente violazione di legge affermando che il baricentro dellÕaccertamento giudiziale si sposta dal fatto allÕeffetto con una svalutazione del comportamento in sŽ, mentre è mancata qualsiasi verifica in ordine alla offensivitˆ della condotta, ricorrendo un mero errore del soggetto imputato, senza alcuna considerazione delle note modali tipizzate quanto agli artifici e raggiri.
4.2. Violazione di legge e vizio della motivazione per non avere riqualificato la condotta ai sensi dellÕart. 316ter cod. pen., attese le caratteristiche della azione posta in essere dal ricorrente, che rientra nellÕalveo delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale sul tema; manca un comportamento ulteriore, oltre alla omessa comunicazione, al fine di ritenere integrata la truffa; non è stata in conclusione riscontrata, neanche in astratto, la induzione in errore dellÕente erogatore; le modalitˆ di emersione della notizia di reato dimostrano che non era stata realizzata alcuna induzione in errore e che
lÕaccertamento era intervenuto solo in epoca successiva alla assegnazione del contributo a titolo di reddito di cittadinanza.
4.3. Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione allÕ art. 640bis cod. pen. e artt. 125 e 546 cod. proc. pen. quanto alla ritenuta ricorrenza dellÕelemento soggettivo della condotta imputata a titolo di truffa; il ricorrente si era limitato a sottoscrivere un modello prestampato allo stesso sottoposto da un centro di assistenza fiscale; è mancata qualsiasi verifica in ordine allÕessersi effettivamente rappresentato il Fortugno la falsitˆ della dichiarazione rilasciata; il ricorrente non ha voluto dichiarare il falso, ma ha semplicemente omesso una informazione; nel corpo del modello prestampato non vi era alcuna menzione circa lÕobbligo di dichiarare la presenza di eventuali precedenti penali.
4.4. Violazione di legge e vizio della motivazione per omessa motivazione sulle doglianze specificamente proposte con il quinto motivo di appello; ricorre una motivazione di stile, di fatto apodittica e quindi omessa sui vari temi devoluti, con particolare riferimento alla sospensione condizionale della pena e concessione delle circostanze attenuanti generiche; nŽ si pu˜ ritenere accettabile una motivazione indistintamente riferita a tutti i soggetti imputati, considerata la differente allegazione ed impostazione difensiva sul tema.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili.
I ricorsi sono complessivamente infondati per le ragioni che seguono.
I motivi di ricorso sopra rubricati ai punti 3.1, 3.2., 3.3., 3.4., proposti nellÕinteresse di COGNOME e COGNOME e i motivi 4.1, 4.2., 4.3, proposti nellÕinteresse di Fortugno possono essere trattati congiuntamente, attesa lÕidentitˆ delle questioni proposte, da diverse prospettive interpretative, in ordine alla sussistenza dei fatti ascritti e alla corretta qualificazione giuridica degli stessi da parte della Corte di appello.
Il tema devoluto dalle difese è sostanzialmente incentrato sulla ricorrenza di violazione di legge nella qualificazione giuridica del fatto ascritto, affermandosi, da una parte, che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, se qualificato ai sensi della previsione di cui allÕart. 7 di cui al d. l. n. 4 del 2019, attesa lÕintervenuta abrogazione della fattispecie ivi disciplinata e, dallÕaltra, che il fatto per come contestato e imputato non pu˜ rientrare nellÕambito della previsione di cui allÕart. 640bis cod. pen. (assorbito nella stessa il delitto di cui allÕart. 7 del d.l. n. 4 del 2019) come ritenuto dalla Corte di appello, ma avrebbe dovuto essere riqualificato ai sensi dellÕart. 316ter cod. pen.
Le censure cos’ proposte non colgono nel segno ed anche la qualificazione giuridica prescelta dalla Corte di appello appare erronea in diritto, sicchŽ la motivazione sul punto deve essere corretta, dovendo essere applicata ai ricorrenti una disciplina di legge più favorevole, senza che siano necessari nuovi accertamenti di fatto.
In tal senso, si deve evidenziare come la condotta imputata ai ricorrenti non possa essere ricondotta nŽ al paradigma dellÕart. 640bis (come ritenuto dalla Corte di appello), nŽ a quello dellÕart. 316ter, evocato invece dalle difese dei ricorrenti.
Si deve precisare, preliminarmente, come la natura giuridica del reddito di cittadinanza non sia compatibile con la previsione evocata dai ricorrenti (art. 316ter cod. pen.), nŽ con lÕart. 640bis cod. pen ., invece richiamato quale previsione di riferimento al fine della qualificazione giuridica della condotta, nel caso di specie, dalla Corte di appello.
Difatti, il reddito di cittadinanza deve intendersi quale strumento di sostegno economico per le famiglie in difficoltˆ associato ad un percorso di reinserimento nel mondo del lavoro, alle prestazioni di natura lato sensu assistenziali alla persona, la cui erogazione è riservata ex lege all’INPS.
Non appare invece possibile ascrivere il beneficio alle erogazioni pubbliche contemplate dall’articolo 640bis cod. pen., costruito quale circostanza aggravante dell’articolo 640 cod. pen., integrata laddove gli artifizi e i raggiri abbiano riguardato contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunitˆ europee, quindi: Òprestazioni che, per come descritte, appaiono funzionali a dare
impulso ed a fornire supporto agli operatori economici privati in rapporto alle attivitˆ prettamente economiche dai medesimi esercitate e non alla persona che versi in stato di bisogno che è invece connotazione specifica del reddito di cittadinanzaÓ (Sez. 2, n. 13345 del 05/03/2025, Pena COGNOME, Rv. 287933-01, che ha inoltre chiarito che a diverse conclusioni non pu˜ indurre il riferimento alle sovvenzioni previsto dall’articolo 640bis cod. pen., trattandosi di termine aggiunto dall’articolo 28bis , comma 1, lett. d) del d. l. n. 4/2020 – cd. Òdecreto aiutiÓ – volto a prevedere misure urgenti in materia di sostegno alle imprese ed agli operatori economici connessi all’emergenza COVID19.).
La specifica caratterizzazione del reddito di cittadinanza rende, dunque, evidente come la previsione dellÕart. 7 del d. l. n. 4 del 2019 non possa in alcun modo porsi in rapporto di assorbimento con le fattispecie evocate (nŽ con la fattispecie di cui allÕart. 640, comma primo, n. 2, cod. pen., come ampiamente chiarito in motivazione da Sez. 2, Pena Abreu, cit).
In tal senso, deve essere esclusa la possibilitˆ, per ragioni in parte sovrapponibili, di riqualificare il fatto ascritto ai ricorrenti ai sensi della fattispecie di cui allÕart. 316ter cod. pen.
Le Sezioni Unite hanno anche in questo caso delineato in modo specifico portata ed ambito applicativo della disposizione evocata (Sez. U, n. 11869 del 28/11/2024, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, Rv. 287649-01). é stato affermato che:Ól’ambito di applicazione della fattispecie di reato prevista dall’art. 316ter cit. è stato progressivamente delineato dalla Corte costituzionale e dalle Sezioni Unite di questa Corte. Con l’ordinanza n. 95 del 8 marzo 2004 la Corte costituzionale ha affermato il carattere sussidiario e residuale del reato rispetto all’affine fattispecie di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche prevista dall’art. 640bis cit., ponendo in rilievo che, alla luce della finalitˆ generale del provvedimento legislativo che ha introdotto la nuova fattispecie e del dato normativo Çassolutamente inequivocoÈ rappresentato dalla clausola di salvezza dell’art. 640bis cit., la norma introdotta nell’art. 316ter cit. assicura una tutela aggiuntiva e “complementare” rispetto a quella offerta agli stessi interessi tutelati dall’altra disposizione, “coprendo” in particolare gli eventuali “margini di scostamento” – per difetto – del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frodeÓ. Si è anche chiarito che: Òla formulazione letterale del testo
normativo autorizza un’interpretazione ampia del significato da attribuire al contenuto dell’erogazione pubblica, in modo da ricomprendervi contributi, sovvenzioni, attribuzioni pecuniarie a fondo perduto e tutte quelle forme di finanziamento che si caratterizzano per la fruizione di un vantaggio a spese dello Stato ovvero per la previsione di una attenuata onerositˆ rispetto a quella derivante dall’applicazione delle regole ordinarie del mercatoÓ.
Si deve considerare che, invece, il legislatore, con l’introduzione delle fattispecie di cui all’art. 7 del d. l. n. 4 del 2019, ha inteso punire più severamente di quanto previsto in casi analoghi, condotte che altrimenti potrebbero sfuggire alla sanzione penale, non potendo ricadere in astratto nell’ambito di applicazione dell’art. 316-ter cod. pen. o dell’art. 640bis cod. pen.
Si è osservato sul tema, con considerazioni che si condividono, che:Óquanto, in particolare, all’ipotesi di “indebita percezione di erogazioni pubbliche” (art. 316ter cod. pen.), la sanzione prevista è meno grave di quelle di cui all’art. 7 e prevede una soglia minima di contributo percepito pari a euro 3.999,96, al di sotto della quale è esclusa la punibilitˆ penale. Orbene, poichŽ il reddito di cittadinanza si caratterizza per essere un contributo mensile, che non supera mai la soglia anzidetta, il reato non potrebbe mai configurarsi e ci˜ ha reso necessaria l’espressa previsione di una speciale fattispecie di reato, non essendo sufficiente la sanzione amministrativa pecuniaria, inefficace quanto a soggetti per definizione poco capienti sul piano patrimoniale. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimitˆ (Sez. 6, n. 7963 del 20/4/2020, Romano, Rv. 278455- 02), il superamento della soglia di punibilitˆ indicata dall’art.316ter , secondo comma, cod. pen. integra un elemento costitutivo del reato e non una condizione obiettiva di punibilitˆ, sicchŽ è irrilevante che il beneficiario consegua in momenti diversi contributi che, sommati tra loro, determinerebbero il superamento della soglia, in quanto rileva il solo conseguimento della somma corrispondente ad ogni singola condotta percettiva. A tale prima ratio legis se ne affianca un’altra, specificamente rilevante in punto di trattamento sanzionatorio: il legislatore ha scelto di creare, nell’ambito della legge speciale sul reddito di cittadinanza, una fattispecie penale speciale dotata di un apparato sanzionatorio più grave di quello del richiamato art. 316ter , nella consapevolezza del fatto che il reddito di cittadinanza è un beneficio di portata significativa e relativamente facile da conseguire da parte di un gran numero di
persone, prestandosi, per le modalitˆ di accesso particolarmente agevoli, ad essere occasione per la produzione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere o per l’omissione di informazioni dovute. Il più gravoso trattamento sanzionatorio previsto dal richiamato art. 7 del d. l. n. 4 del 2019 è dunque pienamente ragionevole su un piano costituzionale, in quanto giustificato, sia dall’esigenza di colpire attraverso lo strumento penale l’area degli illeciti che non raggiungono la soglia di punibilitˆ prevista dall’art. 316ter cod. pen., sia dalla necessitˆ di far corrispondere ad un beneficio di cos’ larga applicazione e di cos’ facile accesso – tanto che numerosi sono i procedimenti penali avviati in materia – una sanzione dotata di adeguata efficacia dissuasiva. Dunque, l’art. 316ter codice penale non pu˜ assumersi come tertium comparationis in un giudizio di ragionevolezza, sussistendo tra l’art. 7 del d. l. n. 4 del 2019 e tale disposizione un rapporto di specialitˆ assistito da chiare e coerenti ragioni sistematicheÓ (Sez. 3, n. 7528 del 09/11/2023, dep. 21/02/2024, COGNOME, Rv. 285954-03).
6. DÕaltra parte, questa Corte, nel suo massimo consesso, ha chiarito che: Òintegrano il delitto di cui all’art. 7 d. l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, le omesse o false indicazioni di informazioni contenute nell’autodichiarazione finalizzata a conseguire il reddito di cittadinanza solo se funzionali a ottenere un beneficio non spettante ovvero spettante in misura superiore a quella di legge (Sez. U, n. 49686 del 13/07/2023, Giudice Rv. 285435-01). Si è quindi specificato che: Òil reato di cui all’art. 7 d. l. n. 4 del 2019, è reato di pericolo concreto a consumazione anticipata posto a presidio delle risorse pubbliche economiche destinate a finanziare il Rdc impedendone la dispersione a favore di chi non ne ha (o non ne ha più) diritto o ne ha diritto in misura minore. é reato posto a tutela del patrimonio dell’ente erogante e, in particolare, delle specifiche (e limitate) risorse destinate all’erogazione del beneficio ed al perseguimento del fine pubblico ad esso sottesoÓ.
Inequivoca sul punto la scelta del legislatore di anticipare la tutela penale al momento della domanda, piuttosto che a quello dell’erogazione del beneficio, cos’ proiettando il reato oltre l’ambito della tutela della fede pubblica, inserendolo invece in quello dell’aggressione alle risorse dell’ente pubblico specificamente destinate
all’erogazione del beneficio, anche sulla base della omessa comunicazione di circostanze ostative alla concessione del beneficio, come senza alcun dubbio avvenuto nel caso in esame ed emerso dalla logica ed argomentata valutazione, nella motivazione della Corte di appello, degli elementi emersi in giudizio, con considerazione della portata risolutiva della omissione predetta al fine di ottenere lÕerogazione del beneficio.
La Corte di appello ha, con motivazione logicamente articolata, ricostruito la portata della condotta, posta in essere anche in più occasioni dai ricorrenti. Le argomentazioni spese rendono evidente come non possa essere accolta sul punto la censura delle difese, che nella sostanza tende a configurare una scusabilitˆ, una buona fede, una impossibilitˆ per i ricorrenti, di conoscere specificamente gli obblighi di dichiarazione a loro carico, essendosi gli stessi limitati a compilare un modulo. La Corte di appello ha evidenziato una serie di dati concreti in modo logico, con i quali i ricorrenti effettivamente non si confrontano, atteso che, con principio che qui si intende ribadire, si è chiarito che Çin tema di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza, l’ignoranza o l’errore circa la sussistenza del diritto a percepirne l’erogazione, in difetto dei requisiti a tal fine richiesti dall’art. 2 d. l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, si risolve in un errore su legge penale, che non esclude la sussistenza del dolo ex art. 5 cod. pen., in quanto l’anzidetta disposizione integra il precetto penale di cui all’art. 7 del citato d.l.È (In motivazione, la Corte ha aggiunto che non ricorre neanche un caso di inevitabilitˆ dell’ignoranza della legge penale, non presentando la normativa in tema di concessione del reddito di cittadinanza connotati di cripticitˆ tali da far ritenere l’oscuritˆ del precetto) (Sez. 2, n. 23265 del 07/05/2024, El Hadraoui, Rv. 286413Ð01).
Il quadro ermeneutico cos’ ricostruito deve essere altres’ integrato con i principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 31 del 12/02/2025, che ha chiarito che: la Ópeculiaritˆ strutturale e funzionale del Reddito di cittadinanza, dove la componente di integrazione al reddito è strettamente condizionata al conseguimento di obiettivi di inserimento nel mondo del lavoro e comunque di inclusione sociale, che richiedono il coinvolgimento attivo del beneficiario, fa s’ che la misura definisce un percorso di
reinserimento nel mondo lavorativo che va al di lˆ della pura assistenza economica: mentre le prestazioni di assistenza sociale vere e proprie si fondano essenzialmente sul solo stato di bisogno, il Rdc prevede un sistema di rigorosi obblighi e condizionalitˆ, che strutturano un percorso formativo e dÕinclusione, il cui mancato rispetto determina, in varie forme, lÕespulsione dal percorso medesimo. ( Precedenti: S. 126/2021 – mass. 44004; S. 122/2020 – mass. 43419 )Ó, sicchŽ: Òil reddito di cittadinanza, pur presentando anche tratti propri di una misura di contrasto alla povertˆ, non si risolve in una provvidenza assistenziale diretta a soddisfare un bisogno primario dellÕindividuo, ma persegue diversi e più articolati obiettivi di politica attiva del lavoro e di integrazione sociale. A tale sua prevalente connotazione si collegano coerentemente la temporaneitˆ della prestazione e il suo carattere condizionale, cioè la necessitˆ che ad essa si accompagnino precisi impegni dei destinatari, definiti in Patti sottoscritti da tutti i componenti maggiorenni del nucleo familiare. AllÕinterno di questa peculiare struttura della misura, si giustificano anche le ulteriori condizionalitˆ e preclusioni che la connotano, anchÕesse finalizzate al percorso di integrazione socialeÓ.
8. Ci˜ posto, e cos’ corretta la motivazione della Corte di appello, in ordine allÕinquadramento giuridico delle condotte ascritte ai ricorrenti ai sensi dellÕart. 7 del d.l. citato, si deve rilevare come sia manifestamente infondata la censura difensiva secondo la quale, una volta riqualificato il fatto ai sensi dellÕart. 7 predetto, la Corte di appello avrebbe dovuto pronunciare sentenza di non doversi procedere perchŽ il fatto non è più previsto come reato. Sul punto si deve ricordare che: Òil legislatore nell’introdurre il cd. Çassegno di inclusioneÈ (misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale destinata a sostituire integralmente il Reddito di cittadinanza e definita dall’art. 1, comma 1, decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, Çquale misura nazionale di contrasto alla povertˆ, alla fragilitˆ e all’esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonchŽ di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoroÈ), ha contestualmente ed espressamente previsto che al ÒReddito di cittadinanzaÓ continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 7 d. l. n. 4 del 2019 vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023Ó (Sez. 2, n. 13345 del 05/03/2025, Pena Abreu cit.).
Disposizione dunque applicabile per la decisione di cui al presente procedimento, attesa la data di contestazione delle condotte ascritte, in alcun modo contestata dalle difese e riscontrata dalla documentazione acquisita in giudizio.
9. In tal senso, si deve, inoltre, osservare che le argomentazioni della difesa non si confrontano con l’orientamento assunto dalla giurisprudenza di legittimitˆ e avallato dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 54 del 2024) Òa tenore del quale l’abrogazione, a far data dal primo gennaio 2024, del delitto di cui all’art. 7 d. l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, disposta ex art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, nel far salva l’applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina, deroga al principio di retroattivitˆ della lex mitior , altrimenti conseguente ex art. 2, comma 2, cod. pen., ma tale deroga, in quanto sorretta da una plausibile giustificazione, non presenta profili di irragionevolezza, assicurando la tutela penale all’indebita erogazione del reddito di cittadinanza sin tanto che sarˆ possibile continuare a fruire di detto beneficio, posto che la sua prevista soppressione si coordina cronologicamente con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 d.l. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, riferita agli analoghi benefici per il futuro introdotti in sostituzione del reddito di cittadinanzaÓ (Sez. 3, n. 7541 del 24/01/2024, COGNOME, Rv. 285964; in senso conforme, Sez. 3, n. 39155 del 24/09/2024, COGNOME, Rv. 286951 – 01).
10. Non vi è dubbio, come giˆ evidenziato, che le condotte poste in essere dai ricorrenti siano caratterizzate, per come emerso dagli elementi valutati dalla Corte di appello, da penale rilevanza, emergendo in modo inequivoco la circostanza dellÕavere gli stessi, ripetutamente, reso dichiarazioni false al fine di ottenere il beneficio del reddito di cittadinanza, per importi elevati, nonostante la piena consapevolezza della situazione ostativa, attese le sentenze pronunciate a carico degli stessi, per come oggetto di contestazione, elemento questo che non risulta mai contestato dalle difese nel corso del giudizio.
11. Risulta, dunque, violata la disciplina in tema di concessione di reddito di cittadinanza, atteso che tra i requisiti che la legge richiede con riferimento al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, l’art. 2, comma cbis ) d. l. n. 4 del 2019, sono previsti, quanto al richiedente, “la mancata sottoposizione a misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonchŽ la mancanza di condanne definitive, intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta, per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3”. Tale ultima disposizione, stabilisce quanto segue: “alla condanna in via definitiva per i reati di cui ai commi 1 e 2 e per quelli previsti dagli articoli 270bis , 280, 289bis, 416bis , 416ter , 422, 600, 600bis , 601, 602, 624bis , 628, 629, 630, 640bis , 644, 648, 648bis e 648ter del codice penale, dall’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, per i delitti aggravati ai sensi dell’articolo 416bis.1 del codice penale, per i reati di cui all’articolo 73, commi 1, 1bis , 2, 3 e 4, nonchŽ comma 5 nei casi di recidiva, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonchŽ all’articolo 74 e in tutte le ipotesi aggravate di cui all’articolo 80 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e per i reati di cui all’articolo 12, comma 1, quando ricorra l’aggravante di cui al comma 3ter , e comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonchŽ alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti per gli stessi reati, consegue di diritto l’immediata revoca del beneficio con efficacia retroattiva e il beneficiario è tenuto alla restituzione di quanto indebitamente percepito . La revoca è disposta dall’INPS ai sensi del comma 10. Il beneficio non pu˜ essere nuovamente richiesto prima che siano decorsi dieci anni dalla condanna”. Infine, l’art. 7ter stabilisce che “Nei confronti del beneficiario o del richiedente cui è applicata una misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonchŽ del condannato con sentenza non definitiva per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3, l’erogazione del beneficio di cui all’articolo 1 è sospesa”.
In conclusione, si deve osservare come dalla lettura della disciplina evocata emerga che chi ha ottenuto il beneficio ha il dovere, la cui violazione è sanzionata penalmente dal comma 2 dell’art. 7 del d. l. n. del 2019, di comunicare informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca del beneficio stesso, tra le quali rientra la condanna in via
definitiva per uno dei reati contemplati dal successivo comma 3. (Sez. 3, n. 39155 del 24/09/2024, COGNOME, Rv. 286951-01).
12. Non coglie nel segno, quanto alla integrazione del reato di cui allÕart. 7 predetto, la ulteriore allegazione difensiva secondo la quale lÕelemento soggettivo del reato, cos’ riqualificato, non ricorrerebbe in considerazione della predisposizione di moduli da parte dellÕente erogatore che non richiedevano la dichiarazione espressa in ordine ai precedenti penali ostativi ricadenti in capo agli istanti.
In tal senso, richiamato quanto giˆ evidenziato in ordine alla impossibilitˆ di considerare integrata una forma di ignorantia legis nel caso in esame, il Collegio intende dare seguito all’orientamento secondo cui, Çla modulistica utilizzata aveva una funzione solo esemplificativa e di certo non poteva superare o circoscrivere il tenore delle previsioni normative volte a disciplinare i presupposti per il conseguimento del reddito di cittadinanzaÓ. In conclusione, quindi: Ògli oneri dichiarativi a carico dei richiedenti a prescindere dal tenore letterale del modulo adoperato, erano pur sempre quelli imposti dal decreto legge n. 4 del 2019, convertito dalla legge n. 26 del 2019, non potendosi sostenere che fosse in qualche modo derogato o limitato il dovere del soggetto richiedente di riferire alla P.A., in maniera chiara e trasparente, non solo l’entitˆ della situazione reddituale familiare, ma anche l’esistenza e la tipologia dei precedenti penali riportati dalla richiedente e dal proprio coniugeÓ (Sez. 3, n. 5999 del 9/01/2024, COGNOME, non massimata; Sez. 3, n. 34121 del 15/07/2021, Girace, n.m.).
13. Il quinto motivo di ricorso (3.5) proposto dai ricorrenti COGNOME e COGNOME non è consentito, in quanto totalmente reiterativo, in mancanza di qualsiasi confronto con la motivazione della Corte di appello che ha escluso la ricorrenza dei presupposti legittimanti della disciplina evocata in assenza di qualsiasi aporia o manifesta illogicitˆ (pag. 9 della motivazione, dove si è in particolare valorizzata lÕingente quantitˆ di denaro indebitamente percepita, quale elemento risolutivo per escludere la particolare tenuitˆ del fatto). Con tale motivazione i ricorrenti non si confrontano. Deve essere, quindi, ribadito il principio di diritto affermato da questa Corte secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con lÕappello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per lÕinsindacabilitˆ
delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericitˆ delle doglianze che, cos’ prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (cfr., ex multis , Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 26060801). La giurisprudenza di legittimitˆ ha, infatti, chiarito che il ricorso di cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con lÕappello, e motivatamente respinti in secondo grado, non si confronta criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, ma si limita, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicitˆ della motivazione (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01).
I motivi rubricati ai punti 3.6 per COGNOME e COGNOME e 4.4. per Fortugno sono assorbiti, attesa la necessitˆ di giungere sul punto del trattamento sanzionatorio ad un annullamento con rinvio per consentire al giudice del merito di esprimere la relativa valutazione in considerazione della diversa cornice edittale di riferimento ai sensi dellÕart. 7 del d. l. n. 4 del 2019 (reclusione da due a sei anni), meno grave, rispetto alla fattispecie aggravata di cui allÕart. 640Ð bis cod. pen. (reclusione da due a sette anni).
In conclusione, attesa la riqualificazione delle condotte ascritte ai sensi dellÕart. 7 del d. l. n. 4 del 2019, la sentenza deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, che deve essere oggetto di specifica rivalutazione da parte del giudice di merito alla luce della più favorevole cornice edittale applicabile al caso di specie, mentre deve essere dichiarata irrevocabile la affermazione di responsabilitˆ.
Riqualificato il fatto ai sensi dellÕart. 7 del D.L. n. 4/2019, annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria per lÕulteriore corso.
Dichiara irrevocabile lÕaffermazione di responsabilitˆ.
Cos’ deciso il 13/06/2025.
La Cons. Est. NOME COGNOME Turtur
Il Presidente NOME COGNOME