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Reddito di cittadinanza: condanna confermata in Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a due anni di reclusione per un soggetto che aveva ottenuto illecitamente il reddito di cittadinanza, per un importo di oltre 68.000 euro, omettendo di dichiarare una precedente condanna per un reato ostativo (art. 416 bis c.p.). La Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso, specificando che la successiva abrogazione della norma incriminatrice non determina l’assoluzione, a causa di una specifica disposizione transitoria che garantisce la continuità della sanzione per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023. L’ignoranza della legge penale è stata inoltre giudicata inescusabile.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di Cittadinanza e Precedenti Penali: La Cassazione Fa Chiarezza

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi sulla questione delle false dichiarazioni per l’ottenimento del reddito di cittadinanza, confermando la linea dura contro chi omette informazioni cruciali, come i precedenti penali. Il caso analizzato offre spunti fondamentali sulla continuità delle norme penali anche a seguito di riforme legislative e sull’irrilevanza dell’errore sulla legge.

Il Caso: Omissione di una Condanna Grave per Ottenere il Beneficio

I fatti riguardano un cittadino condannato in primo e secondo grado per aver indebitamente percepito il reddito di cittadinanza. Nello specifico, l’imputato aveva presentato istanza all’INPS omettendo di dichiarare una precedente condanna, passata in giudicato, per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.). Tale condanna rientra tra quelle ostative che precludono l’accesso al beneficio.

Grazie a questa omissione, il soggetto aveva illecitamente conseguito un importo complessivo di 68.176,34 euro. La Corte d’Appello aveva confermato la condanna a due anni di reclusione, riconoscendo le attenuanti generiche come equivalenti alla recidiva reiterata e specifica contestata.

I Motivi del Ricorso: Tra Abrogazione della Norma e Assenza di Dolo

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi:
1. Abrogazione della norma incriminatrice: Si sosteneva che la legge che puniva tale condotta (art. 7 del D.L. 4/2019) fosse stata abrogata a partire dal 1° gennaio 2024, e che quindi l’imputato dovesse essere assolto in applicazione del principio della lex mitior (legge più favorevole).
2. Mancanza dell’elemento soggettivo (dolo): L’imputato avrebbe potuto ignorare che i suoi precedenti penali fossero ostativi, poiché il modulo di domanda sottoscritto non menzionava esplicitamente tali sentenze di condanna.
3. Violazione del principio “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
4. Mancato riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto, in considerazione della presunta assenza di pericolosità e del contesto.

La Decisione della Cassazione: Perché il ricorso sul reddito di cittadinanza è stato respinto

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando punto per punto le argomentazioni difensive.

La Falsa Abrogazione: La Continuità Normativa

Il motivo più rilevante riguardava l’abrogazione della norma sul reddito di cittadinanza. La Corte ha chiarito che, sebbene l’art. 7 del D.L. 4/2019 sia stato formalmente abrogato, una norma transitoria (art. 13, comma 3, D.L. 48/2023) ha stabilito che le disposizioni penali continuano ad applicarsi per tutti i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023. Questa norma transitoria, secondo la Cassazione, agisce come una legge temporanea, sottraendosi così al principio generale della retroattività della legge più favorevole. In sostanza, il legislatore ha voluto assicurare una continuità nella tutela penale, evitando vuoti normativi nel passaggio dal reddito di cittadinanza al nuovo “assegno di inclusione”.

L’Irrilevanza dell’Errore sulla Legge

Quanto alla mancanza di dolo, la Corte ha ribadito un principio consolidato: l’ignoranza della legge penale non scusa. Le norme che definiscono i requisiti per accedere al beneficio integrano il precetto penale. Di conseguenza, l’errore su tali requisiti si traduce in un errore sulla legge penale, che non è scusabile. La normativa in materia non è stata ritenuta così complessa o oscura da rendere l’errore inevitabile. La modulistica utilizzata per la domanda ha una funzione meramente esemplificativa e non può limitare la portata della legge.

Il Diniego della Particolare Tenuità del Fatto

Infine, la richiesta di applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è stata respinta. La Corte ha evidenziato che l’ingente importo indebitamente percepito (oltre 68.000 euro) e la natura pubblica del denaro sottratto sono elementi che, da soli, escludono la possibilità di considerare il fatto di lieve entità. Inoltre, la recidiva specifica dell’imputato era in netto contrasto con la condizione di “assoluta incensuratezza” erroneamente prospettata dalla difesa.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte di Cassazione riaffermano principi cardine del diritto penale applicati al contesto delle misure di sostegno al reddito. In primo luogo, la volontà del legislatore di garantire la continuità della sanzione penale per le frodi in questo settore è prevalente sul principio generale della lex mitior, grazie all’introduzione di una specifica norma transitoria. Questo dimostra l’intenzione di non creare zone franche per chi ha agito illecitamente nel passato. In secondo luogo, la responsabilità del dichiarante è massima: l’onere di conoscere i requisiti di legge non può essere eluso appellandosi alla presunta incompletezza della modulistica. L’errore sulla legge penale è scusabile solo in circostanze eccezionali di oggettiva e inevitabile oscurità della norma, condizione non riscontrata in questo caso. Infine, la valutazione della tenuità del fatto deve tenere conto sia del danno economico arrecato alla collettività sia della personalità del reo, elementi che nel caso di specie erano chiaramente ostativi al riconoscimento del beneficio.

Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di indebita percezione di erogazioni pubbliche. Le conclusioni pratiche sono chiare: chiunque presenti domanda per un beneficio statale è tenuto a un elevato grado di diligenza e a conoscere tutti i requisiti previsti dalla legge. Le riforme legislative che abrogano vecchie misure per sostituirle con nuove non comportano automaticamente un’abolizione dei reati commessi sotto la vigenza della vecchia disciplina, specialmente quando il legislatore interviene con norme transitorie per assicurare la continuità della tutela penale. La lotta contro le frodi ai danni dello Stato rimane una priorità, e le conseguenze per chi omette dichiarazioni dovute sono e restano severe.

L’abrogazione della legge sul reddito di cittadinanza cancella i reati commessi in precedenza?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che una specifica norma transitoria (art. 13, comma 3, d.l. n. 48/2023) mantiene in vigore le sanzioni penali per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023, impedendo l’applicazione retroattiva della legge più favorevole.

È possibile giustificare l’omissione di una condanna sostenendo che il modulo di domanda non la richiedeva esplicitamente?
No. Secondo la Corte, l’errore sui requisiti richiesti dalla legge per ottenere il beneficio si risolve in un’ignoranza della legge penale, che non è scusabile. La modulistica ha una funzione solo esemplificativa e non può limitare o superare le previsioni normative.

Perché non è stata concessa la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La non punibilità è stata negata principalmente a causa dell’ingente importo indebitamente percepito (oltre 68.000 euro) e della natura pubblica del denaro. Inoltre, la condizione di recidiva reiterata e specifica dell’imputato era incompatibile con il beneficio richiesto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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