Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18736 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18736 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ANAGNI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/06/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 01/06/2023 la Corte di appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Frosinone del 27/09/2022, che aveva condannato NOME per il reato di cui all’articolo 7, comma 1, dl. 4/2019, contestato come commesso 1’8 marzo 2018, alla pena di anni 2 di reclusione.
Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo, lamenta violazione di legge, carenza di motivazione (la sentenza non risponde alle censure formulate con l’atto di appello) e vizio di motivazione sotto il profilo del travisamento della prova e dei fatti, limitandosi a confermare acriticamente la sentenza del Tribunale di Frosinone.
2.2. con il secondo motivo, lamenta violazione degli artt. 42-43 cod. pen., non avendo i giudici di appello motivato sulla sussistenza del dolo richiesto dalla norma, limitandosi a riportare gli accertamenti, del tutto presuntivi, espletati dall’operante di P.G.
2.3.<on il terzo motivo, lamenta violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Inoltre, avrebbe potuto essere applicata anche l'attenuante di cui all'articolo 62 n. 4) cod. pen., in ragione del modesto importo percepito (4.000 euro circa).
In data 12 febbraio 2024, l'AVV_NOTAIO depositava, per il ricorrente, memoria ex art. 611 cod. proc. pen., in cui chiedeva disporsi proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. essendo stato il reato depenalizzato a far data dal 10 gennaio 2024, e comunque insisteva per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Preliminarmente, il Collegio intende dare risposta, giusta la valenza assorbente in caso di accoglimento, alla istanza di proscioglimento per intervenuta abolitio criminis, formulata dalla difesa del COGNOME nella memoria difensiva.
L'istanza è manifestamente infondata.
Con l'art. 1, co. 318, della I. 29 dicembre 2022, n. 197, è stata disposta, a decorrere dal 2024, l'abolizione del c.d. «reddito di cittadinanza». Si è quindi stabilito che, «a decorrere dal 10 gennaio 2024 gli articoli da 1 a 13 del decreto-
legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, sono abrogati».
Oggetto dell'abrogazione è stato anche l'articolo 7, contenente la disciplina sanzionatoria per l'indebita percezione del sussidio, il cui comma 1 punisce con la reclusione da due a sei anni (salvo che il fatto costituisca più grave reato) «chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio…, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute».
Questa Corte ha avuto modo di chiarire (Sez. 3, n. 49047 del 16/11/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 37836 del 18/04/2023, COGNOME, n.m.) che la condotta di cui all'articolo 7 si doveva ritenere penalmente sanzionata fino a quella data, a nulla ostando il disposto dell'art. 2, comma 2, cod. pen., atteso che ai fini della applicazione della legge penale deve farsi riferimento alla normativa vigente sia al momento del fatto che della celebrazione del giudizio, con conseguente rilievo penale delle condotte poste in essere anche nel periodo compreso tra il 1°gennaio 2023 e il 10 gennaio 2024.
Prima dell'indicata data di aboliti° criminis, tuttavia, il legislatore è intervenuto per modificare la previsione di cui si discute, la quale, proprio con riguardo all'abrogazione anche delle disposizioni penali, era stata in dottrina ritenuta frutto di una mera «svista» (v. sul punto Se.z 3, n. ).
Ed infatti, il d.l. 4 maggio 2023 n. 48 (recante «misure urgenti per l'inclusione e l'accesso al mondo del lavoro", convertito, con modificazioni, dalla I. 3 luglio 2023 n. 85) all'art. 8 prevede un'analoga fattispecie riferita al c.d. «assegno di inclusione», per la cui violazione è prevista la medesima pena; i due strumenti, connotati entrambi da funzione assistenziale, prevedono requisiti economici per la fruizione del contributo statale praticamente identici (in entrambi i casi l'ISEE del nucleo familiare non deve superare i 9.360 euro); tuttavia, la platea dei potenziali fruitori dell'Assegno di inclusione interesserà un gruppo più ristretto di cittadini. Per poter fruire dell'Assegno, infatti, i nuclei familiari devono avere, necessariamente, almeno: un minorenne; un disabile; una persona con almeno 60 anni di età; una persona in condizione di svantaggio e inserita in programmi di cura e assistenza dei servizi socio-sanitari territoriali certificati, mentre restano esclusi i c.d. «occupabili», ossia le persone in grado di lavorare, per i quali è prevista una differente misura, il c.d. «supporto per la formazione e il lavoro».
Il successivo articolo 13, comma 3, del dl. (collocato tra le disposizioni transitorie e finali), statuisce che «al beneficio di cui all'articolo 1 del decretolegge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui
all'articolo 7 del medesimo decreto-legge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023».
Sul punto anche le Sezioni Unite hanno osservato che «l'art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha abrogato l'art. 7 dl. n. 4 del 2019, a decorrere, però, dal 10 gennaio 2024. Il legislatore, peraltro, nell'introdurre il c.d. «assegno di inclusione» (misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale destinata a sostituire integralmente il Rdc e definita dall'art. 1, comma 1, decreto legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, «quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all'esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro»), ha contestualmente ed espressamente previsto che al Rdc continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'art. 7 d.l. n. 4 del 2019 vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023 (Sez. U, n. 49686 del 13/07/2023, Rv.285435 – 01, in motivazione).
È evidente, pertanto, che coordinandosi con la prevista abrogazione della disciplina del reddito di cittadinanza a far tempo dal 10 gennaio 2024, la sopravenuta disposizione – richiamata in motivazione anche dalla citata decisione delle Sezioni unite che ne ha sostanzialmente tratto analoghe conclusioni – fa salva l'applicazione delle sanzioni penali dalla stessa previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina.
La norma transitoria, pertanto, assicura tutela penale all'erogazione del reddito di cittadinanza, in conformità ai presupposti previsti dalla legge, sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di tale beneficio, così coordinandosi con la sua prevista soppressione a far tempo dal 10 gennaio 2024 e con la nuova incriminazione di cui all'art. 8 d.l. 48/2023, che, strutturata in termini del tutto identici e riferita agli analoghi benefici per il futuro introdotti in sostituzione de reddito di cittadinanza, continua a prevedere il medesimo disvalore penale delle condotte di mendacio e di omessa comunicazione volte all'ottenimento o al mantenimento delle nuove provvidenze economiche.
La richiesta di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. per intervenuta abolitio criminis è pertanto manifestamente infondata.
Venendo al merito delle doglianze, i motivi sono inammissibili per genericità.
Nel caso di specie, il collegio evidenzia che si è in presenza di una c.d. «doppia conforme», per cui i contenuti dei due provvedimenti si integrano vicendevolmente a formare un unicum inscindibile e il ricorrente deve
confrontarsi con il contenuto delle due sentenze di merito, pena l'inammissibilità del ricorso' i motivi di ricorso sono inammissibili per genericità.
Il Collegio evidenzia inoltre che la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, la quale non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, cade nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all'inammissibilità (cfr. Cass., sez. 4, 18.9.1997 – 13.1.1998, n. 256, rv. 210157; Cass., sez. 5, 27.1.2005 -25.3.2005, n. 11933, rv. 231708; Cass., sez. 5, 12.12.1996, n. 3608, p.m. in proc. COGNOME e altri, rv. 207389).
Scendendo in dettaglio, le due sentenze danno conto del fatto che, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, l'accertamento di responsabilità non si fonda su dati induttivi, bensì su documentazione contabile ed extracontabile rinvenuta in possesso dell'imputato (alcuni documenti erano scritti di pugno dal COGNOME), evasore totale e non in possesso di partita IVA, che hanno consentito di ricostruire per via documentale il volume di reddito nella somma indicata in rubrica.
Quanto ai beni immobili, già il primo giudice aveva avuto modo di ritenere irrilevante il verbale di mediazione depositato dall'imputato, posto che esso non era stato trascritto, né avrebbe potuto esserlo per estromissione del creditore ipotecario, per cui l'accordo tra le parti era inefficace nei confronti dei terzi proprio perché costituito allo scopo di pregiudicare i creditori.
E proprio tale finalità, ossia quello di evitare azioni recuperatorie da parte del creditore erariale, avrebbe spinto il NOME all'immersione nel «nero» e al tentativo di spogliarsi dei suoi beni, circostanza che esclude l'assenza del dolo specifico richiesto dalla norma.
Ritiene poi la Corte di appello che i fatti, come incontrovertibilmente ricostruiti (lo status di evasore totale del NOME, la natura documentale della prova sui beni immobili), non lasciano dubbi sulla sussistenza dell'elemento psicologico del reato.
Quanto alle attenuanti generiche e a quella dell'articolo 62, n. 4, cod. pen., dedotta con l'atto di appello, i giudici di secondo grado, a fronte della percezione della somma di euro 650 mensili da maggio a novembre 2019 (v. pag. 5 prima sentenza) hanno ritenuto – con motivazione non censurabile in sede di legittimità – non riconoscibili tali attenuanti, ritenendo che il contenimento della pena irrogata nel minimo edittale fosse sufficiente al fine di adeguare la pena al fatto.
Il ricorso non si confronta con le due sentenze in modo realmente critico, limitandosi a generiche contestazioni e destinandosi, così, all'inammissibilità.
Inoltre, il dedotto motivo di travisamento «dei fatti» è inammissibile in quanto non consentito dalla legge (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, secondo cui «anche a seguito della modifica apportata all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito»).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 23 febbraio 2024.