Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23265 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23265 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/12/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23, comma 8, D. L. n. 137/2020 e s.m.i.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Salerno con sentenza del 12/12/2023 confermava la sentenza pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nocera Inferiore in data 7/4/2023, che aveva condannato NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 7, comma 1, D. L. n. 4/2019.
L’imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso per cassazione, deducendo con il primo motivo la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen, in relazione all’art. 143 cod. proc. pen. Sostiene che la Corte territoriale, come il giudice di prime cure, abbiano errato nel ritenere sanata dalla scelta del rito abbreviato la nullità conseguente all’omessa traduzione nella
lingua conosciuta dall’imputato di tutti gli atti compiuti nelle indagini preliminari del decreto di giudizio immediato e dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare (rectius: camerale); che, invero, l’eccezione non avrebbe potuto essere sollevata prima della udienza in cui si è svolta la discussione, in quanto la richiesta del rito alternativo era stata avanzata a seguito della notifica del decreto di giudizio immediato, per cui non vi erano stati altri momenti nei quali porre la questione; che la scelta di definire il processo con il rito abbreviato non implica l’automatica rinuncia a far valere eccezioni, specie quando – come nel caso di specie – è chiara la volontà di voler esercitare le prerogative difensive.
2.1 Con il secondo motivo si duole del “mancato riscontro all’istanza di sospensione del processo in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale” a seguito della questione di legittimità costituzionale sollevata con ordinanza della Corte di appello di Milano del 31/5/2022 e della decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea sulla compatibilità della normativa in materia di reddito di cittadinanza con il diritto unionale, sollecitata dal Tribunale di Napoli. Ritiene che le decisioni delle Corti abbiano diretta incidenza sul caso che si sta scrutinando, inerendo alla legittimità del requisito della presenza sul territorio italiano de soggetto richiedente il beneficio da almeno dieci anni.
2.2 Con il terzo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., in relazione alla circostanza per cui il fatto non è più previsto dalla legge come reato ed alla circostanza per cui manca il dolo. Evidenzia che l’art. 7 del D. L. n. 4/2019 è abrogato con decorrenza dal 1/1/2024, per cui nell’ambito della successione delle leggi penali nel tempo dovrebbe trovare applicazione la lex mitior; che in ogni caso, essendo stato compilato il modello con cui è stato richiesto il reddito di cittadinanza da un impiegato del CAF, è verosimile che il ricorrente non abbia ben compreso il tenore delle dichiarazioni ivi contenute.
2.3 Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., con riferimento alla omessa pronuncia sulla istanza di messa alla prova ed alla omessa restituzione degli atti al pubblico ministero a seguito del dissenso in ordine al capo di imputazione. Con riferimento a quest’ultimo profilo, rileva che il giudice invitava le parti ad interloquire sulla imputazion come formulata; che il Pubblico ministero non procedeva ad alcuna modifica; che, dunque, il giudice avrebbe dovuto restituire gli atti al Pubblico ministero ai sensi dell’art. 421 cod. proc. pen.
2.4 In data 18/3/2024 è pervenuta memoria difensiva, in cui tra l’altro si evidenzia che in data 25/1/2024 l’imputato ha ricevuto la traduzione in lingua araba della sentenza impugnata, circostanza questa che comproverebbe la necessità della traduzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 Manifestamente infondato è il primo motivo. Invero, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di precisare che, una volta richiesta la definizione del procedimento nelle forme del giudizio abbreviato, è preclusa ogni questione relativa alla omessa traduzione in una lingua nota all’imputato degli atti del procedimento, posto che il non aver eccepito la predetta nullità a regime intermedio prima della richiesta di ammissione al giudizio abbreviato costituisce una rinuncia, per comportamento concludente, a far valere le eventuali nullità verificatesi nella precedente fase del procedimento per mancata o insufficiente assistenza dell’interprete (Sezione 3, n. 20922 del 31/3/2021, D., Rv. 281631 01; Sezione 6, n. 10444 del 19/1/2017, COGNOME, Rv. 269382 – 01; Sezione 2, n. 18781 del 9/4/2014, COGNOME, Rv. 259523 – 01). Tale impostazione trova conforto nella lettera della legge, atteso che il comma 1 dell’art. 458 cod. proc. pen., dopo aver regolato i termini e le modalità di presentazione della richiesta di giudizio abbreviato a seguito della notifica del decreto di giudizio immediato, stabilisce che si «applicano le disposizioni di cui all’art. 438, comma 6 bis. Con la richiesta l’imputato può eccepire l’incompetenza per territorio del giudice». Ciò significa che le questioni relative alle nullità (sempre che non siano assolute) ed alle inutilizzabilità (salvo quelle derivanti da un divieto probatorio) non possono essere più dedotte, una volta avanzata la richiesta di giudizio abbreviato, che ha effetto sanante. Ne consegue che, l’imputato che riceve la notifica del decreto di giudizio immediato, se vuole far valere dette nullità o inutilizzabilità, deve farlo nel corso del giudizio immediato. Fa eccezione l’incompetenza per territorio che, per espressa previsione normativa, può essere sollevata con la richiesta. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In secondo luogo, è stato pure condivisibilmente affermato che, ove si lamenti la mancata assistenza di un interprete nello svolgimento del processo e nei contenuti degli atti (come avvisi e sentenze), qualunque sia il momento destinato a venire in considerazione, è onere dell’imputato, che sollevi detta eccezione, di precisare quale sia stato il pregiudizio effettivamente subito al diritto di difesa, allegando le lacune difensive determinate da una specifica non conoscenza dell’atto (Sezione 6, n. 10444/2017 cit., in motivazione; Sezione 1, n. 30127 del 24/6/2015, Rjab, Rv. 264488 – 01). In altri termini, vale il criterio sostanziale di effettività del pregiudizio subito. Nel caso di specie, invece, la difesa affida il motivo ad affermazioni di principio che in alcun modo danno conto della effettività della lesione, non prospettando neppure per quali passaggi e contenuti il diritto abbia sofferto di illegittime compressioni.
1.2 Manifestamente infondato è anche il secondo motivo, tenuto conto che
del tutto inconferente si appalesa la richiesta sospensione del processo, sol che si consideri che la questione di legittimità costituzionale è stata posta con riferimento a cittadini comunitari, mentre il ricorrente è cittadino marocchino, di talchè non è interessato dalla decisione della Corte costituzionale. Quanto, invece, alla questione posta alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea dal Tribunale di Napoli, si osserva che essa è relativa ai cittadini non-UE soggiornanti di lungo periodo (status che si acquisisce al termine di un regolare soggiorno di cinque anni nel territorio dello Stato membro interessato) e che il difensore non ha indicato le ragioni della rilevanza, tenuto conto che non è dato sapere se l’El COGNOME rientri in detta categoria di soggetti.
1.3 Anche il terzo motivo, articolato sotto due diversi profili, è manifestamente infondato.
1.3.1 Quanto al primo aspetto, si osserva che la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che l’abrogazione, a far data dal 1/1/2024, del delitto di cui all’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, disposta ex art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, nel far salva l’applicazione delle sanzioni penali dallo stesso previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina, deroga al principio di retroattività della “lex mitior”, altrimenti conseguente ex art. comma secondo, cod. pen., ma tale deroga, in quanto sorretta da una plausibile giustificazione, non presenta profili di irragionevolezza, assicurando la tutela penale all’indebita erogazione del reddito di cittadinanza fino a che sarà possibile continuare a fruire di detto beneficio, posto che la sua prevista soppressione si coordina cronologicamente con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 d.l. 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, riferita agli analoghi benefici per il futuro introdotti in sostituzione del redd di cittadinanza (Sezione 3, n. 7541 del 24/1/2024, Picciano, Rv. 285964 – 01; Sezione 3, n. 37836 del 18/4/2023, COGNOME, n.m.; Sezione 3, n. 49047 del 16/11/2023, COGNOME, n. m.).
In particolare, deve essere evidenziato che l’art. 1, comma 318, L. n. 197/2022 ha disposto, fra gli altri, l’abrogazione dell’art. 7 del D. L. n. 4/2019, contenente le disposizioni di carattere penale intese a sanzionare chi abbia indebitamente conseguito il beneficio economico del reddito di cittadinanza; che, per espressa previsione di legge, l’efficacia di tale effetto abrogativo è stata fissata dal legislatore alla data del 1/1/2024; che, dunque, nonostante la legge n. 197/2022 sia entrata in vigore già alla data del 1/1/2023, la concreta efficacia dell’effetto abrogativo previsto dalla disposizione in esame deve intendersi sospesa sino alla diversa data del 1/1/2024, con la conseguente perdurante applicazione, trattandosi di disposizione ancora in vigore, del citato art. 7 e degli
effetti penali da esso previsti; che, conseguentemente, al momento in cui è intervenuta la sentenza impugnata, il reato ascritto all’imputato non poteva certamente dirsi abrogato; che, in conclusione, non possono riconoscersi effetti, prima del 1/1/2024, all’abrogazione della fattispecie incriminatrice; che, in ogni caso, il 4/5/2023 è stato emanato il decreto legge n. 48, recante “misure urgenti per l’inclusione e l’accesso al mondo del lavoro”, conv., con modif., dalla I. 3 luglio 2023 n. 85, che – dopo aver riproposto, all’art. 8, commi 1 e 2, previsioni incriminatrici per le false od omesse comunicazioni concernenti l’ottenimento o il mantenimento dei nuovi benefici economici previsti dagli artt. 3 e 12 della legge, previsioni sostanzialmente identiche a quelle già contenute nell’art. 7, commi 1 e 2, d.l. 4/2019 con riguardo al reddito di cittadinanza – all’art. 13, comma 3, prevede che «al beneficio di cui all’articolo 1 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 7 del medesimo decretolegge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023».
Va, altresì, evidenziato che in proposito sono intervenute anche le Sezioni Unite, affermando che “L’art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha abrogato l’art. 7 dl. n. 4 del 2019, a decorrere, però, dal 1 gennaio 2024. Il legislatore, peraltro, nell’introdurre il cd. «assegno di inclusione» (misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale destinata a sostituire integralmente il Rdc e definita dall’art. 1, comma 1, decreto legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, «quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro»), ha contestualmente ed espressamente previsto che al Rdc continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 7 d.l. n. 4 del 2019 vigenti alla data in cui il beneficio è stato concess per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023” (Sezioni Unite, n. 49686 del 13/07/2023, Giudice, Rv. 285435 – 01, in motivazione).
È evidente, pertanto, che la nuova disposizione fa salva l’applicazione delle sanzioni penali dalla stessa previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina e ciò all’evidenza in deroga al principio d retroattività della lex mitior, che altrimenti avrebbe dovuto trovare applicazione ai sensi dell’art. 2, comma 2, cod. pen., in seguito alla prevista abrogazione dell’art. 7 D.L. 4/2019. Trattasi, comunque, di deroga che – non risultando in contrasto con i principi ricavabili dall’art. 3 Cost. ed essendo altresì rispettosa della disciplina ricavabile dalle convenzioni internazionali (cfr., per tutte, Corte cost., sent. n. 236 del 22 luglio 2011) – non presta il fianco a censure, essendo
indubbiamente sorretta da una giustificazione del tutto ragionevole. Ed invero, essa semplicemente assicura tutela penale all’erogazione del reddito di cittadinanza, in conformità ai presupposti previsti dalla legge, sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di tale beneficio, così coordinandosi con la sua prevista soppressione a far tempo dal 1/1/2024 e con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 D.L. 48/2023, che, strutturata in termini del tutto identici e rifer agli analoghi benefici per il futuro introdotti in sostituzione del reddito d cittadinanza, continua a prevedere il medesimo disvalore penale delle condotte di mendacio e di omessa comunicazione volte all’ottenimento o al mantenimento delle nuove provvidenze economiche.
1.4 Anche l’ultimo motivo è manifestamente infondato, posto che dal controllo degli atti – ammesso in quanto trattasi di questione processuale – non risulta che all’udienza camerale del giudizio di primo grado sia stata avanzata alcuna istanza di messa alla prova; quanto al profilo della omessa restituzione degli atti al pubblico ministero a seguito della «contrarietà sul capo di imputazione» che sarebbe stata manifestata dal giudice di prime cure, si osserva che dagli atti non risulta che vi sia stata modifica del capo di imputazione, né risultano sollecitazioni in tal senso non accolte, ma solo che – a fronte della contestazione dei reati di cui agli artt. 640 cod. pen. e 7 del D. L. 4/2019 – è intervenuta assoluzione per il primo e condanna per il secondo.
All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 7 maggio 2024.