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Reddito di cittadinanza: Cassazione, no abolitio criminis

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto condannato per aver indebitamente percepito il reddito di cittadinanza. La Corte ha stabilito che l’abrogazione della norma incriminatrice non comporta l’applicazione della legge più favorevole (lex mitior), in virtù di una specifica deroga legislativa volta a garantire la tutela penale fino all’esaurimento del beneficio. È stata inoltre confermata la specialità del reato rispetto alla fattispecie generale di cui all’art. 316-ter c.p.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di Cittadinanza e Successione di Leggi: La Cassazione Nega l’Abolitio Criminis

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso emblematico relativo all’indebita percezione del reddito di cittadinanza, affrontando questioni cruciali sulla successione di leggi penali nel tempo. La decisione chiarisce perché, nonostante l’abrogazione della norma specifica, i fatti commessi in passato restino penalmente rilevanti, offrendo importanti spunti di riflessione sulla deroga al principio della lex mitior.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato nei gradi di merito per aver reso dichiarazioni false al fine di ottenere il reddito di cittadinanza. La difesa ha sollevato diverse censure dinanzi alla Suprema Corte, incentrate principalmente su tre punti:
1. L’erronea valutazione della cosiddetta abolitio criminis, ossia l’abrogazione del reato, a seguito della soppressione della disciplina sul reddito di cittadinanza.
2. La mancata riqualificazione del fatto nella fattispecie, meno grave, di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.).
3. Un presunto vizio di motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche.

Un secondo ricorso, presentato da un altro difensore, contestava inoltre la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero l’intenzione colpevole.

La Decisione della Corte di Cassazione sul reddito di cittadinanza

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, confermando la decisione della Corte di merito. La Suprema Corte ha ritenuto che i motivi di ricorso fossero meramente riproduttivi di censure già esaminate e correttamente respinte, senza introdurre nuovi elementi di diritto validi per un giudizio di legittimità.

La questione della successione delle leggi nel tempo

Il punto centrale della pronuncia riguarda l’abrogazione del reato legato al reddito di cittadinanza (previsto dall’art. 7 del D.L. n. 4/2019). La legge che ha soppresso il beneficio (L. n. 197/2022) ha contestualmente stabilito che le sanzioni penali continuassero ad applicarsi ai fatti commessi fino al termine di efficacia della disciplina. Secondo la Cassazione, questa previsione costituisce una deroga esplicita e legittima al principio di retroattività della legge più favorevole (lex mitior), sancito dall’art. 2, comma 2, c.p. La Corte Costituzionale (sent. n. 54/2024) ha già avallato questa impostazione, ritenendola non irragionevole, poiché mira a garantire la tutela penale per tutta la durata di fruibilità del beneficio.

Il principio di specialità e il rapporto con l’art. 316-ter c.p.

La Corte ha anche respinto la richiesta di riqualificare il fatto. Ha ribadito che la norma sul reddito di cittadinanza è speciale rispetto a quella generale dell’art. 316-ter c.p. La specialità risiede in due elementi: si riferisce a una specifica erogazione statale e anticipa la soglia di punibilità. Per il reato specifico, è sufficiente rendere dichiarazioni false o omettere informazioni dovute, mentre l’effettivo ottenimento del beneficio costituisce il dolo specifico (la finalità dell’azione), e non un elemento costitutivo del reato stesso.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Corte si fondano su una solida interpretazione della volontà del legislatore e su un consolidato orientamento giurisprudenziale. L’inammissibilità deriva dal fatto che i ricorsi non hanno affrontato criticamente le argomentazioni della Corte d’Appello, limitandosi a riproporle. La deroga al principio del favor rei è stata giustificata dalla necessità di non creare un vuoto di tutela penale nel passaggio dal vecchio al nuovo sistema di sussidi. Per quanto riguarda il secondo ricorso, la questione sull’elemento soggettivo è stata giudicata inammissibile perché non era stata sollevata nel precedente grado di giudizio (appello) e implicava una valutazione dei fatti, preclusa alla Corte di Cassazione in sede di legittimità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza consolida un principio fondamentale: chi ha commesso illeciti per ottenere il reddito di cittadinanza non può beneficiare dell’abrogazione della norma per sfuggire alle proprie responsabilità penali. La decisione del legislatore di derogare alla lex mitior è stata considerata legittima e ragionevole, garantendo la continuità della tutela degli interessi erariali. Questa pronuncia serve da monito, chiarendo che le modifiche legislative in materia di sussidi statali non cancellano gli illeciti passati e che le contestazioni in sede di legittimità devono essere fondate su vizi di diritto e non su una rivalutazione dei fatti.

L’abrogazione della norma sul reddito di cittadinanza ha reso non punibili le false dichiarazioni fatte in passato per ottenerlo?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la legge che ha abrogato il reato ha previsto una specifica deroga, stabilendo che le sanzioni penali continuano ad applicarsi per tutti i fatti commessi fino all’esaurimento della disciplina del beneficio. Pertanto, chi ha agito illecitamente in passato rimane punibile.

Perché il reato specifico sul reddito di cittadinanza non può essere riqualificato come indebita percezione di erogazioni ai danni dello Stato (art. 316-ter c.p.)?
Perché la norma sul reddito di cittadinanza è considerata speciale. Si riferisce a una peculiare erogazione e anticipa la punibilità al solo fatto di presentare dichiarazioni false o omettere informazioni, mentre l’ottenimento del beneficio è la finalità (dolo specifico) e non un elemento necessario per configurare il reato, a differenza della fattispecie generale.

È possibile sollevare per la prima volta in Cassazione una questione relativa all’intenzione di commettere il reato (elemento soggettivo)?
No. La Corte ha dichiarato inammissibile tale motivo di ricorso perché la questione non era stata sollevata nel giudizio d’appello. Inoltre, una simile valutazione implicherebbe un’analisi dei fatti, che è preclusa al giudizio di legittimità della Corte di Cassazione, la quale si occupa solo della corretta applicazione della legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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