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Reddito di cittadinanza: annullata condanna per residenza

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per false dichiarazioni finalizzate a ottenere il reddito di cittadinanza. La decisione si basa su una precedente sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimo il requisito di dieci anni di residenza, riducendolo a cinque. Poiché l’imputato, al momento della domanda, risiedeva in Italia da più di cinque anni, il fatto contestato non costituisce più reato.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reddito di cittadinanza: la Cassazione annulla la condanna per falsa dichiarazione sulla residenza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale in materia di reddito di cittadinanza, annullando una condanna per false dichiarazioni. La decisione, basata su un intervento della Corte Costituzionale, chiarisce che il requisito della residenza decennale è illegittimo e deve essere sostituito da quello quinquennale. Di conseguenza, chi ha dichiarato una residenza inferiore a dieci anni ma superiore a cinque non ha commesso reato.

I fatti del caso

Un cittadino straniero era stato condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 7 del d.l. n. 4/2019. L’accusa era di aver falsamente attestato, in sede di domanda per il reddito di cittadinanza presentata nel 2020, di risiedere in Italia da almeno dieci anni. Dalle indagini era emerso che la sua residenza in Italia decorreva dal 31 gennaio 2014, per un totale di oltre sei anni al momento della richiesta, ma comunque inferiore al requisito decennale allora in vigore.

Il difensore dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su una recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 31 del 2025) che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del requisito di residenza decennale, riducendolo a cinque anni.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di condanna senza rinvio “perché il fatto non sussiste”. I giudici hanno recepito pienamente gli effetti della pronuncia della Corte Costituzionale, applicandola retroattivamente al caso di specie.

Poiché al momento della presentazione della domanda (nel 2020), l’imputato risiedeva in Italia dal 2014, aveva già maturato il requisito di residenza quinquennale. Di conseguenza, la sua dichiarazione, sebbene non veritiera rispetto alla vecchia normativa, non integra più la fattispecie penale alla luce della nuova soglia di residenza costituzionalmente legittima.

Il ruolo della Corte Costituzionale sul reddito di cittadinanza

La Cassazione ha ricostruito il percorso logico-giuridico che ha portato a questa conclusione. Il punto di svolta è la sentenza n. 31 del 2025 della Corte Costituzionale. Quest’ultima, intervenendo sulla disciplina del reddito di cittadinanza, ha stabilito che imporre una residenza di dieci anni fosse una misura sproporzionata e discriminatoria, in contrasto con l’art. 3 della Costituzione.

La Consulta ha ritenuto che un periodo di cinque anni fosse sufficiente a dimostrare un “apprezzabile radicamento” del richiedente nel territorio nazionale, bilanciando così le esigenze di finanza pubblica con i principi di ragionevolezza e uguaglianza. La Corte di Cassazione ha quindi preso atto che il presupposto specifico del reato contestato – la residenza decennale – è stato rimosso dall’ordinamento con efficacia retroattiva.

Le motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda sull’applicazione diretta dei principi costituzionali. I giudici hanno evidenziato che, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità, la norma penale che sanzionava la falsa dichiarazione sul requisito decennale perde la sua base legale. In altre parole, non si può punire penalmente qualcuno per aver dichiarato il falso su un presupposto che la legge stessa ha riconosciuto come illegittimo.

L’imputato, essendo residente in Italia da oltre cinque anni al tempus commissi delicti, possedeva il requisito di residenza come ridefinito dalla Corte Costituzionale. Pertanto, la condotta contestata non integra la fattispecie penale. La Corte ha concluso che la sentenza impugnata doveva essere annullata senza rinvio, poiché l’azione non costituisce reato.

Conclusioni

Questa sentenza chiarisce in modo definitivo le conseguenze penali della pronuncia di incostituzionalità sul requisito di residenza per il reddito di cittadinanza. Essa stabilisce che tutte le dichiarazioni rese in passato, che attestavano una residenza inferiore a dieci anni ma superiore a cinque, non possono essere considerate penalmente rilevanti. La decisione ha importanti implicazioni pratiche per tutti i procedimenti penali pendenti per casi simili, che dovranno concludersi con un’assoluzione, e riafferma il principio secondo cui una norma dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia fin dalla sua origine.

Perché è stata annullata la condanna per falsa dichiarazione sul reddito di cittadinanza?
La condanna è stata annullata perché la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il requisito di dieci anni di residenza, riducendolo a cinque. L’imputato, residente in Italia da più di cinque anni, non ha quindi commesso il reato contestato, poiché la sua situazione era conforme al requisito corretto.

La modifica del requisito di residenza da dieci a cinque anni ha effetto anche sul passato?
Sì, le sentenze della Corte Costituzionale che dichiarano l’illegittimità di una norma hanno efficacia retroattiva. Ciò significa che la norma si considera invalida sin dall’inizio, e i suoi effetti cessano anche per le situazioni passate, come nel caso di specie in cui il fatto non è più considerato reato.

Cosa significa “annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste”?
Significa che la Corte di Cassazione ha chiuso definitivamente il processo, cancellando la condanna. La formula “perché il fatto non sussiste” indica che, alla luce della nuova interpretazione costituzionale, l’azione compiuta dall’imputato non costituisce più un illecito penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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