Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38861 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38861 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a GIOIA TAURO il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 29/05/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo giudizio.
RITENUTO IN FATTO
Con decreto emesso de plano in data 29 maggio 2024 il Tribunale di sorveglianza di Roma ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso un provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 35 Ord. pen., trattandosi di un reclamo qualificato come generico.
Avverso il decreto ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO Accorretti, articolando un unico motivo, con il quale denuncia l’erronea applicazione degli artt. 568, comma 5, cod. proc. pen., 35 e 35-bis Ord. pen.
Il Tribunale, ritenendo non proponibile di fronte a sé l’impugnazione del provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza, avrebbe dovuto qualificarlo come ricorso e trasmetterlo alla corte di cassazione, in virtù del principio di conservazione dell’impugnazione stabilito dall’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. Avverso il reclamo generico previsto dall’art. 35 Ord. pen. è infatti sempre possibile tale mezzo di impugnazione.
Peraltro, il reclamo è stato legittimamente proposto ai sensi dell’art. 35-bis Ord. pen., con conseguente obbligo per il tribunale di sorveglianza di fissare l’udienza e decidere nel contraddittorio delle parti, stante l’oggetto del reclamo, fondato sulla declaratoria di incostituzionalità del divieto di scambio di oggetti tra detenuti sottoposti al regime differenziato e inseriti nel medesimo gruppo di socialità. Infatti il reclamo era stato proposto contro il provvedimento dell’amministrazione penitenziaria che vietava lo scambio di oggetti durante due dei quattro passaggi del lavorante con il carrello, chiedendo di valutare anche le eventuali ragioni di sicurezza sottese a tale decisione.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo giudizio, da svolgersi nel contraddittorio tra le parti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto in relazione ad un provvedimento di natura non giurisdizionale, e pertanto non impugnabile davanti al giudice penale.
Questa Corte ha infatti costantemente stabilito che «in tema di ordinamento penitenziario, a fronte del reclamo proposto dal detenuto, il magistrato di
sorveglianza è chiamato a procedere alla corretta qualificazione dello strumento giuridico azionato, verificando, preliminarmente, se sia configurabile, in relazione alla pretesa dedotta, una situazione di diritto soggettivo e se vi sia una correlazione tra tale posizione soggettiva e la condotta tenuta dall’Amministrazione penitenziaria; in caso di riscontro negativo, il reclamo deve essere qualificato come generico ex art. 35, comma 1, n. 5, Ord. pen., trattandosi di materia che non rientra nelle previsioni di legge in tema di tutela giurisdizionale, e il relativo provvedimento deve essere ritenuto non impugnabile» (Sez. 1, n. 28258 del 09/04/2021, Rv. 281998; Sez. 1, n. 13039 del 01/03/2024, non massimata, citata dallo stesso ricorrente).
Se il reclamo viene qualificato come «generico», ai sensi dell’art. 35 Ord. pen., la natura non giurisdizionale della materia comporta la non impugnabilità del provvedimento in sede penale, neppure mediante il ricorso per cassazione, e l’impugnazione, qualora proposta, deve pertanto essere dichiarata inammissibile: «È inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso un’ordinanza emessa dal magistrato di sorveglianza a seguito di un reclamo generico in ordine a provvedimenti che non incidono sui diritti soggettivi del detenuto, ma solo sulle modalità di esercizio di esso, che restano affidate alla discrezionalità dell’Amministrazione penitenziaria in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne» (Sez. 1, n. 37298 del 24/06/2021, Rv. 282010).
Il reclamo giurisdizionale, disciplinato dall’art. 35-bis Ord. pen., si applica infatti nei casi previsti dall’art. 69, comma 6), Ord. pen., cioè per i reclami contro l’esercizio del potere disciplinare e per quelli contro l’inosservanza, da parte dell’amministrazione penitenziaria, di disposizioni della legge o del regolamento penitenziario «dalla quale derivi … un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti»: esso, quindi, può essere azionato solo a tutela di un diritto soggettivo, e quando questo subisca un pregiudizio grave ed attuale. Negli altri casi sussiste per il detenuto il diritto a proporre reclamo, anche al magistrato di sorveglianza, ma ad esso si applica non la norma di cui all’art. 35bis Ord. pen., bensì quella di cui all’art. 35 Ord. pen., che disciplina i reclami non giurisdiziona li.
Nel presente caso, la qualificazione del reclamo operata dal magistrato di sorveglianza è corretta: il detenuto lamenta non un sopravvenuto divieto totale dello scambio di oggetti, che potrebbe far ipotizzare la violazione di un diritto soggettivo, o comunque un contrasto con la sentenza della Corte costituzionale n. 97/2020, bensì una sua diversa regolamentazione, in quanto tale scambio è stato consentito durante due dei passaggi del lavorante addetto alla distribuzione dei pasti, anziché, come in precedenza, durante tutti i quattro passaggi di tale
soggetto. Il provvedimento adottato dall’amministrazione penitenziaria, quindi, attiene solo alle modalità esecutive di un’attività di scambio che continua ad essere consentita anche ai detenuti sottoposti al regime penitenziario differenziato, quale è il ricorrente. Non si individua, in tale diversa modalità, una effettiva e significativa limitazione della possibilità di scambio di oggetti con gli altri detenuti, né il ricorrente risulta avere prospettato all’Uffici sorveglianza quale pregiudizio deriverebbe da tale limitazione; neppure nel presente ricorso egli ha indicato un qualunque pregiudizio, quale conseguenza del provvedimento contestato.
E corretta, pertanto, la valutazione del magistrato di sorveglianza, che ha rigettato il reclamo affermando che non era stato dedotto un grave pregiudizio all’esercizio dei diritti: con tale espressione il magistrato ha indirettamente, ma chiaramente, qualificato il reclamo come «generico», valutandolo come proposto al di fuori delle ipotesi disciplinate dall’art. 69, comma 6, lett. b), Ord. pen.
E’ corretta, conseguentemente, anche la declaratoria di inammissibilità del reclamo proposto al Tribunale di sorveglianza: la natura non giurisdizionale del reclamo rende il provvedimento del magistrato di sorveglianza non impugnabile, e inammissibile, pertanto, la proposizione di tale impugnazione al predetto organo. La declaratoria di inammissibilità deve essere pronunciata non in applicazione dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., norma che è richiamata solo in relazione al reclamo di cui all’art. 35-bis Ord. pen., ma per la natura non giurisdizionale del provvedimento stesso, che lo pone al di fuori del sistema processuale penale.
Il ricorso proposto dal detenuto, pertanto, è a sua volta inammissibile, per la carenza della natura giurisdizionale del provvedimento impugnato.
Le censure contenute nell’atto, inoltre, sono manifestamente infondate.
In primo luogo, non vi è dubbio che il magistrato di sorveglianza abbia qualificato il reclamo come «generico», ai sensi dell’art. 35 Ord. pen., avendo, come detto, escluso che fosse stato anche solo dedotto il grave pregiudizio all’esercizio di un diritto, richiesto dall’art. 69, comma 6, lett. b), Ord. pen. p poter proporre un reclamo giurisdizionale.
La declaratoria di inammissibilità pronunciata de plano dal Tribunale di sorveglianza, poi, è corretta, in quanto la procedura prevista dall’art. 678 cod. proc. pen. è applicabile solo nel caso di un reclamo giurisdizionale, in quanto richiamata solo dall’art. 35-bis Ord. pen. Del tutto errata è l’affermazione secondo cui il Tribunale avrebbe dovuto qualificare il reclamo come ricorso e trasmettere gli atti alla corte di cassazione perché, secondo il ricorrente, «rimane sempre salva la ricorribilità per cassazione avverso un provvedimento» emesso
dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 35 Ord. pen.: la decisione adottata in relazione ad un reclamo generico non è impugnabile, neppure con il ricorso per cassazione, in quanto priva di natura giurisdizionale.
La paventata lesione di un diritto soggettivo, peraltro dedotta solo nel presente ricorso e in modo del tutto generico, è manifestamente insussistente, in quanto è prospettata come una violazione degli artt. 3 e 27 Cost., già rilevata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 97/2020, mentre appare evidente che la possibilità di scambio di oggetti nei momento dei passaggio del carrello del lavorante è stata mantenuta, e la sua limitazione a due occasioni al giorno anziché a quattro non costituisce un pregiudizio grave, che neppure il ricorrente individua, limitandosi a sostenere che si tratti di una limitazione non adeguatamente giustificata da esigenze organizzative o di sicurezza.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27 settembre 2024
Il Consigliere estensore