LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Recidiva: valutazione del giudice non solo temporale

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza d’appello che aveva escluso l’aggravante della recidiva basandosi unicamente sul lasso di tempo, seppur breve, intercorso tra i reati. La Suprema Corte ha ribadito che la valutazione della recidiva non può limitarsi a un mero dato cronologico, ma deve consistere in un’analisi approfondita e a ‘tutto tondo’ della personalità del reo e della sua inclinazione a delinquere, secondo i criteri dell’art. 133 del codice penale.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 7 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Recidiva: Non Basta il Tempo per Escluderla

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 30358/2024 offre un importante chiarimento sui criteri di valutazione della recidiva, un istituto centrale del diritto penale. La Suprema Corte ha stabilito che l’esclusione di questa aggravante non può basarsi unicamente sul dato cronologico del tempo trascorso tra un reato e l’altro, ma richiede un’analisi complessiva della personalità dell’imputato. Questa decisione sottolinea come la recidiva non sia un automatismo, ma il sintomo di una pericolosità sociale che il giudice deve accertare in concreto.

I Fatti del Caso: dalla Condanna alla Riforma in Appello

Il caso ha origine dalla condanna in primo grado di un individuo per detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Il Tribunale, celebrando il processo con rito abbreviato, aveva riconosciuto l’aggravante della recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale, condannando l’imputato a 4 anni di reclusione e 20.000 euro di multa.

In secondo grado, la Corte di appello di Roma aveva riformato la sentenza, escludendo proprio la contestata recidiva. La motivazione si fondava sul ‘rilevante lasso di tempo’ intercorso tra l’ultima condotta penale e i fatti del nuovo processo (un periodo inferiore a 3 anni). Di conseguenza, la pena era stata significativamente ridotta a 2 anni e 8 mesi di reclusione e 12.000 euro di multa.

Il Ricorso in Cassazione del Procuratore Generale

Contro questa decisione, il Procuratore generale presso la Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione. La Procura ha lamentato la violazione di legge da parte della Corte territoriale, sostenendo che quest’ultima, nell’escludere la recidiva pluriaggravata, aveva erroneamente trascurato di considerare il comportamento penale complessivo dell’imputato, limitandosi a una valutazione puramente temporale.

I Principi sulla Valutazione della Recidiva

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno censurato l’approccio della Corte d’appello, definendolo ‘inadeguato e non sorretto da alcun possibile riferimento normativo’.

Il punto centrale della decisione è che la recidiva non è una mera descrizione di precedenti penali, ma il sintomo di un’accentuata pericolosità sociale. Pertanto, la sua valutazione non può fondarsi solo sulla gravità dei fatti o sull’arco temporale, ma deve basarsi sui criteri dell’art. 133 del codice penale. Il giudice deve esaminare il rapporto tra il nuovo reato e le condanne precedenti per verificare se la condotta passata sia indicativa di una ‘perdurante inclinazione al delitto’ che ha influito sulla commissione del nuovo reato. Questa indagine a ‘tutto tondo’ è necessaria sia per affermare sia per escludere la recidiva, specialmente nelle sue forme più gravi.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha evidenziato come la motivazione della sentenza d’appello fosse ‘del tutto assertiva e priva di agganci di carattere normativo’. Aver considerato decisivo un lasso di tempo di poco più di due anni, ben al di sotto del limite di cinque anni previsto per la recidiva infraquinquennale, è stato ritenuto un errore di diritto. La Corte d’appello aveva completamente ignorato gli altri elementi della condotta e della personalità dell’imputato che avrebbero potuto giustificare la persistenza dell’aggravante, come ritenuto dal giudice di primo grado. Inoltre, la Suprema Corte ha ricordato che il giudice del gravame, anche quando riforma la sentenza in senso più favorevole all’imputato, ha l’obbligo di fornire una ‘motivazione rafforzata’, confrontandosi dialetticamente con le ragioni della prima sentenza e spiegando perché le ritiene superate.

Conclusioni

Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, ma limitatamente al punto dell’esclusione della recidiva. Il caso è stato rinviato ad un’altra Sezione della Corte di appello di Roma per un nuovo esame. Questo nuovo giudizio dovrà attenersi ai principi stabiliti dalla Cassazione, procedendo a una valutazione completa e non meramente cronologica della pericolosità sociale dell’imputato. La responsabilità penale per il reato è invece divenuta definitiva. La sentenza ribadisce con forza un principio fondamentale: la valutazione giudiziale deve essere sempre concreta e mai basata su astratti automatismi.

È sufficiente il solo passare del tempo per escludere la recidiva?
No, secondo la Corte di Cassazione, il solo dato cronologico, specialmente se inferiore al limite di cinque anni previsto dalla legge, non è di per sé sufficiente a giustificare l’esclusione della recidiva. È necessaria un’analisi più ampia.

Quali criteri deve usare il giudice per valutare la recidiva?
Il giudice deve condurre un’indagine ‘a tutto tondo’ basata sui criteri dell’art. 133 del codice penale. Deve esaminare il rapporto tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne per verificare se la condotta passata indichi una ‘perdurante inclinazione al delitto’ che ha influito sulla commissione del nuovo reato.

Cosa accade quando una Corte d’Appello riforma una sentenza in senso favorevole all’imputato?
La Corte d’Appello ha l’obbligo di fornire una ‘motivazione rafforzata’. Ciò significa che deve non solo esporre le proprie ragioni, ma anche confrontarsi direttamente con la motivazione della sentenza di primo grado, spiegando in modo razionale perché la decisione precedente viene modificata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati