Recidiva: Come i Giudici Valutano l’Inclinazione a Delinquere
L’applicazione dell’aggravante della recidiva non è un automatismo, ma richiede un’attenta e concreta valutazione da parte del giudice. Con l’ordinanza n. 12844 del 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per considerare un imputato recidivo non basta guardare ai suoi precedenti penali, ma è necessario dimostrare che questi indichino una reale e persistente inclinazione a commettere reati. Analizziamo insieme questa importante decisione.
Il Fatto e il Ricorso in Cassazione
Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di sostituzione di persona, confermata in primo e secondo grado. L’imputato, tramite il suo legale, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, sollevando un unico motivo di doglianza: un vizio di motivazione riguardo alla sussistenza dell’aggravante della recidiva. Secondo la difesa, i giudici di merito non avevano adeguatamente giustificato la scelta di applicare tale aggravante.
La questione della valutazione sulla recidiva
La questione giuridica centrale non riguarda il reato in sé, ma i criteri con cui i giudici devono valutare la recidiva. L’applicazione di questa aggravante ha conseguenze significative sulla determinazione della pena. Il ricorrente sosteneva, in sostanza, che la motivazione dei giudici d’appello fosse insufficiente e basata su considerazioni generiche, senza un’analisi approfondita del suo caso specifico.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. La motivazione della decisione è di grande interesse perché chiarisce i confini del giudizio sulla recidiva.
I giudici di legittimità hanno spiegato che la valutazione dei giudici di merito era stata corretta e completa. Essa non si era basata unicamente sulla gravità dei fatti o sul tempo trascorso dai precedenti reati, ma aveva condotto un’analisi più profonda, in linea con i criteri stabiliti dall’articolo 133 del codice penale.
Il punto cruciale, sottolinea la Corte, è l’esame del “rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne”. I giudici devono verificare se, e in che misura, le passate condotte criminose siano indicative di una “perdurante inclinazione al delitto”. In altre parole, è necessario accertare che i precedenti reati abbiano agito come un “fattore criminogeno” per la commissione del nuovo crimine.
La decisione dei giudici di merito era, quindi, ben motivata, poiché aveva esaminato concretamente questo legame, concludendo che nel caso specifico l’inclinazione a delinquere dell’imputato fosse una realtà comprovata dai suoi trascorsi giudiziari e rilevante per il nuovo reato commesso.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale ormai stabile. La valutazione della recidiva non è un semplice calcolo matematico basato sul numero di condanne precedenti. Al contrario, si tratta di un giudizio qualitativo che impone al giudice di motivare in modo specifico e puntuale le ragioni per cui ritiene che il nuovo reato sia espressione di una scelta di vita criminale e non un episodio isolato.
Per gli operatori del diritto, ciò significa che nelle memorie e negli atti difensivi è fondamentale argomentare non solo sull’assenza di precedenti, ma anche, e soprattutto, sull’eventuale mancanza di un collegamento sintomatico tra i vecchi e i nuovi reati. Per i cittadini, la sentenza riafferma il principio che ogni decisione sulla pena deve essere personalizzata e fondata su un’analisi concreta della personalità dell’imputato.
Per applicare l’aggravante della recidiva, è sufficiente che un soggetto abbia commesso un nuovo reato dopo una condanna precedente?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione chiarisce che il giudice deve effettuare una valutazione specifica e concreta sul rapporto tra il nuovo reato e le condanne passate, non potendo basarsi solo sulla presenza di precedenti.
Quali criteri deve usare il giudice per valutare la sussistenza della recidiva?
Il giudice deve utilizzare i criteri dell’art. 133 del codice penale per esaminare il legame tra il fatto per cui si procede e le condanne precedenti. Lo scopo è verificare se le condotte passate indichino una “perdurante inclinazione al delitto” che abbia agito come fattore scatenante per la commissione del nuovo reato.
Cosa accade se un ricorso in Cassazione contesta la recidiva con motivazioni ritenute manifestamente infondate?
Come nel caso di specie, il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un ricorso privo di fondamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12844 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12844 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FINALE EMILIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/06/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
42524/2023
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia, che ha confermato la pronunzia di primo grado, con la quale l’imputato era stato ritenuto responsabile del delitto di sostituzione di persona;
Considerato che l’unico motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denunzia vizi di motivazione in relazione alla sussistenza della circostanza aggravante della recidiva, è manifestamente infondato, posto che la motivazione sulla ritenuta sussistenza della recidiva evidenzia che la valutazione dei giudici di merito (si veda pag. 8 del provvedimento impugnato) non si è fondata esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’ arco temporale in cui questi risultano consumati, avendo esaminato in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto p si procede e le precedenti condanne, così verificando se ed in quale misura le pregresse condotte criminose siano indicative di una perdurante inclinazione al delitto, che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice” (Sez. 3, Sentenza n. 33299 del 16/11/2016, Rv. 270419; in senso conforme: n. 43438 del 2010 rv. 248960 – 01, n. 35526 del 2013 rv. 256713 – 01, n. 19170 del 2015 rv. 263464 – 01; n. 35738 del 2010 rv. 247838);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 28 febbraio 2024
Il consigliere estensore