Recidiva: Come va Valutata dal Giudice? La Cassazione Fa Chiarezza
L’istituto della recidiva è uno degli argomenti più dibattuti nel diritto penale, poiché incide direttamente sulla determinazione della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 31337/2024) offre spunti fondamentali per comprendere i criteri con cui i giudici devono valutare la carriera criminale di un imputato e le conseguenze di un ricorso presentato in modo non adeguato. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I fatti del processo
Il caso riguarda una persona condannata in primo e secondo grado per il reato di furto, previsto dall’art. 624 del codice penale. La Corte di Appello de L’Aquila aveva confermato la sentenza di primo grado, ritenendo l’imputata responsabile. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo: la contestazione della sussistenza della recidiva.
I motivi del ricorso e la contestazione sulla recidiva
La ricorrente sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel ritenerla recidiva. Il fulcro della sua argomentazione era che la valutazione fosse stata illegittima. Tuttavia, questo unico motivo di ricorso è stato giudicato dalla Suprema Corte non solo infondato, ma anche proposto in una forma che ne ha determinato l’immediata inammissibilità.
La Decisione della Cassazione: tra Valutazione della Recidiva e Genericità del Motivo
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su due pilastri argomentativi interconnessi.
Il Corretto Criterio di Valutazione della Recidiva
In primo luogo, i giudici di legittimità hanno ribadito un principio consolidato, richiamando una pronuncia delle Sezioni Unite (n. 35738/2010). La valutazione della recidiva non può essere un automatismo basato esclusivamente sulla gravità dei fatti precedenti o sul tempo trascorso. Il giudice ha il dovere di compiere un’analisi molto più approfondita.
È necessario esaminare in concreto, sulla base dei criteri dell’art. 133 c.p., il rapporto tra il reato per cui si sta procedendo e le condanne passate. Lo scopo è verificare se e in che misura la condotta criminale pregressa sia indicativa di una “perdurante inclinazione al delitto” che abbia agito come fattore criminogeno per la commissione del nuovo reato. In altre parole, il giudice deve accertare un legame sintomatico tra il passato e il presente criminale dell’imputato.
L’Inammissibilità del Motivo Generico
In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che il motivo d’appello relativo alla stessa eccezione era, già in quella sede, “generico”. Si applica qui un altro principio fondamentale del processo penale: un’eccezione riferita al difetto di motivazione della sentenza di appello su motivi generici è inammissibile. Questo vizio di “inammissibilità originaria” persiste anche se il giudice dell’impugnazione non lo dichiara esplicitamente.
Se un motivo di ricorso è formulato in modo vago, senza specificare chiaramente le ragioni di diritto e di fatto per cui si contesta la decisione, non può essere esaminato. La Corte, quindi, non solo rigetta la critica nel merito, ma la blocca a monte per un difetto procedurale.
le motivazioni
La motivazione della Corte si fonda sulla necessità di garantire che la valutazione della recidiva sia un giudizio personalizzato e non una meccanica applicazione di una circostanza aggravante. Il giudice deve penetrare nella storia criminale dell’imputato per capire se i reati passati sono un semplice precedente storico o se, invece, rivelano una tendenza a delinquere che ha influenzato la commissione del nuovo reato. Al contempo, la Corte ha voluto sanzionare la prassi di presentare ricorsi con motivi generici, che appesantiscono il sistema giudiziario senza offrire elementi concreti su cui basare una revisione critica della sentenza impugnata. La specificità dei motivi di ricorso è un requisito essenziale per consentire al giudice di svolgere la propria funzione.
le conclusioni
L’ordinanza in esame è un monito importante per la difesa. Contestare la recidiva richiede un’argomentazione precisa e circostanziata, che dimostri perché, nel caso specifico, i precedenti penali non sono sintomatici di una maggiore pericolosità sociale. Non è sufficiente una critica astratta. Inoltre, viene riaffermato che la genericità di un motivo di ricorso è un vizio fatale che ne determina l’inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione, quindi, rafforza due principi cardine: la valutazione sostanziale e non formale della recidiva e il rigore formale necessario nella redazione degli atti di impugnazione.
Come deve essere valutata la recidiva dal giudice?
La valutazione non può basarsi solo sulla gravità dei fatti o sul tempo trascorso. Il giudice deve esaminare concretamente il rapporto tra il nuovo reato e le condanne precedenti, usando i criteri dell’art. 133 c.p., per verificare se la condotta passata indica una perdurante inclinazione al delitto che ha influenzato il nuovo crimine.
Cosa succede se un motivo di ricorso è considerato “generico”?
Un motivo di ricorso generico, ovvero formulato in modo vago e non specifico, viene dichiarato inammissibile. Questo significa che il giudice non lo esaminerà nel merito, e tale vizio di inammissibilità originaria persiste anche se non viene dichiarato esplicitamente nella decisione del giudice dell’impugnazione.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione sulla recidiva fatta dai giudici di merito?
Sì, ma solo se si contesta una violazione di legge o un vizio di motivazione logico e manifesto. Non è possibile chiedere alla Corte di Cassazione una nuova e diversa valutazione dei fatti, che è di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado. Inoltre, il motivo di ricorso deve essere specifico e non generico.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31337 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31337 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TERMOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/09/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello de L’Aquila, che ha confermato la pronuncia di primo grado, con la quale l’imputata era stata ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 624 cod. pen;
Considerato che il primo ed unico motivo di ricorso, con il quale la ricorrente contesta la sussistenza della recidiva, non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato. Ed infatti, il giudice di merito, conformemente alla sentenza del primo grado di giudizio, ha fatto corretta applicazione (si veda, in particolare, pag. 3) dei principi della giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’ arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice” (cfr. Sez. U, n. 35738 del 25/5/2010, Calibè, Rv. 247838);
2.1. Rilevato, altresì, che il motivo d’appello relativo alla medesima eccezione era anche generico esso stesso, sicchè si applica il principio consolidato secondo cui non può formare oggetto di ricorso per cassazione, che è, pertanto, sul punto inammissibile, l’eccezione riferita al difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, pur se proposti insieme ad altri motivi specifici, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria anche quando la decisione del giudice dell’impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, Botta, Rv. 262700; vedi anche Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 aprile 2024 CFPOSTATA Il Consigliere estensore
Il Presidente