Recidiva: Quando e Come il Giudice Deve Valutarla?
L’istituto della recidiva è uno degli elementi più delicati e complessi del diritto penale, poiché incide direttamente sulla determinazione della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 30778/2024) offre un’importante occasione per fare chiarezza sui criteri che il giudice di merito deve seguire per la sua corretta applicazione. La pronuncia sottolinea che non è sufficiente un mero automatismo basato sui precedenti penali, ma è necessaria un’analisi approfondita e concreta.
Il Caso in Esame: un Ricorso contro la Valutazione della Recidiva
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Bologna. L’unico motivo di doglianza riguardava proprio il riconoscimento della recidiva. L’imputato contestava la sussistenza di tale aggravante, ma il suo ricorso è stato giudicato dalla Suprema Corte come manifestamente infondato e, pertanto, non ammissibile in sede di legittimità.
La Corte non è entrata nel merito della vicenda specifica, ma ha colto l’occasione per ribadire i principi giurisprudenziali consolidati che governano la materia, confermando la correttezza dell’operato del giudice di merito.
I Criteri per una Corretta Valutazione della Recidiva
Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella spiegazione dei criteri che il giudice deve adottare per valutare la recidiva. L’ordinanza chiarisce che tale valutazione non può essere superficiale o meccanica.
Oltre la Gravità dei Fatti e il Tempo Trascorso
Un errore comune è quello di fondare il giudizio sulla recidiva esclusivamente su due elementi: la gravità dei reati precedenti e l’arco temporale in cui sono stati commessi. La Corte sottolinea che questi fattori, sebbene rilevanti, non sono di per sé sufficienti. Un approccio corretto richiede un’indagine più profonda.
L’Indagine sul Nesso Criminogeno
Il giudice è tenuto a esaminare in concreto, sulla base dei criteri guida dell’articolo 133 del codice penale (gravità del reato e capacità a delinquere del colpevole), il rapporto che esiste tra il nuovo reato (definito “sub iudice”) e le condanne passate. Lo scopo di questa analisi è verificare se la pregressa condotta criminale sia sintomatica di una “perdurante inclinazione al delitto”. In altre parole, il giudice deve accertare se i crimini passati abbiano agito come un “fattore criminogeno”, influenzando e favorendo la commissione del nuovo reato.
Le Motivazioni della Decisione della Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile sulla base di due ragioni principali. In primo luogo, ha stabilito che la contestazione sulla sussistenza della recidiva, essendo una valutazione di merito basata sull’analisi dei fatti, non è un argomento che può essere validamente proposto in sede di legittimità, dove la Corte si occupa solo di questioni di diritto. In secondo luogo, il motivo è stato ritenuto manifestamente infondato, poiché il giudice d’appello aveva correttamente applicato i principi giurisprudenziali sopra descritti. La Corte ha quindi ritenuto che non vi fosse alcuna violazione di legge da sanare. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle ammende.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
L’ordinanza in esame, pur nella sua brevità, ha un’importante valenza pratica. Essa ribadisce con forza che la recidiva non è un’etichetta da apporre automaticamente a chi ha precedenti penali. Al contrario, richiede un giudizio individualizzato e ponderato da parte del magistrato. È necessario dimostrare un collegamento sostanziale tra il passato criminale dell’imputato e il nuovo delitto, tale da rivelare una maggiore pericolosità sociale e una tendenza consolidata a infrangere la legge. Questa pronuncia serve da monito contro le valutazioni sbrigative, a tutela di una corretta e giusta commisurazione della pena.
Per valutare la recidiva, un giudice può basarsi solo sulla gravità dei reati precedenti e sul tempo trascorso?
No, secondo la Corte di Cassazione, la valutazione non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui sono stati consumati. Il giudice deve esaminare in concreto il rapporto tra il nuovo reato e le precedenti condanne.
Qual è l’elemento chiave che il giudice deve accertare per applicare la recidiva?
Il giudice deve verificare se la condotta criminosa pregressa sia indicativa di una ‘perdurante inclinazione al delitto’ che abbia influito come fattore criminogeno nella commissione del nuovo reato oggetto del processo (‘sub iudice’).
Qual è stato l’esito del ricorso in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo presentato, ovvero la contestazione della recidiva, è stato ritenuto non consentito in sede di legittimità e manifestamente infondato. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30778 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30778 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a RIMINI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/01/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di – NOME COGNOME, ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che contesta la sussistenza della recidiva non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato;
che il giudice di merito ha fatto corretta applicazione (si veda, in particolare, pag. 3) dei principi della giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice”;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21 giugno 2024.