Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36906 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36906 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 27/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 17/04/2024 del GIP TRIBUNALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME che chiedeva dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 17 aprile 2024, revocava – ai sensi dell’art. 168 cod. pen. – il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a COGNOME NOME con la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Napoli, irrevocabile il 22 aprile 2008, avendo egli riportato condanna in data 15 ottobre 2009 alla pena di anni due per un fatto commesso anteriormente, in data 19 giugno 2002.
Avverso tale provvedimento proponeva ricorso COGNOME NOME tramite il difensore AVV_NOTAIO, lamentando con il primo motivo la violazione degli artt. 163, 168, 99, 172 cod. pen. e 674 cod. proc. pen.
Premetteva il ricorrente che il procedimento di esecuzione nasceva dalla richiesta del COGNOME di declaratoria di estinzione della pena di cui alla sentenza emessa dalla Corte di Appello di Napoli; nell’abito di tale procedimento il PM chiedeva, per contro, la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concesso con detta sentenza.
Il Giudice dell’esecuzione, errando, non riteneva di potere dichiarare l’estinzione della pena in quanto al COGNOME era stato ritenuto recidivo, nonostante nella sentenza emessa il 24 febbraio 2015 mai fosse stata riconosciuta detta aggravante.
Rilevava, infatti, che il riconoscimento della recidiva non deriva dalla mera contestazione della stessa, ma necessita un’operazione valutativa da parte del giudice di merito che la deve ritenere sussistente alla luce della personalità del soggetto agente, dei precedenti, della tipologia di reati.
Non solo. La recidiva necessita di un riconoscimento giudiziale passato in giudicato; pertanto, la recidiva reiterata non può esser ritenuta laddove non vi sia una dichiarazione giudiziale pregressa; pertanto, in difetto di una mancata dichiarazione di recidiva nel procedimento conclusosi con la sentenza 553/2015, la pena inflitta con la precedente sentenza 5470/07 avrebbe dovuto essere dichiarata estinta ex art. 172 cod.pen., essendo inibito al giudice dell’esecuzione di ritenere la recidiva laddove ciò non sia stato ritenuto dal giudice del merito.
2.1 Con il secondo motivo lamentava la violazione degli artt. 69, 99 cod pen e 666 co. 5 cod proc pen.
Secondo il ricorrente nella sentenza n.553/2015 il giudice non avrebbe riconosciuto la recidiva, poiché la avrebbe ritenuta subvalente rispetto alle attenuanti generiche; conseguentemente detta aggravante non avrebbe spiegato alcun effetto né diretto, né indiretto sulla pena.
Sostanzialmente la recidiva sarebbe stata esclusa.
2.2. Con il terzo motivo lamentava la violazione degli artt. 163, 99, 174 cod.pen. e 666 co. 5 cod proc pen.
A parere del ricorrente, infatti, il giudice dell’esecuzione avrebbe revocato il beneficio sospensivo senza effettuare alcun approfondimento in ordine all’indulto concesso dal Tribunale di Lucca.
L’acquisizione del decreto concessivo dell’indulto avrebbe infatti permesso di verificare se fosse stato disposto alcunché circa gli effetti penali della condanna.
Inoltre, non è dato sapere se il giudice della cognizione avesse o meno consapevolezza della sussistenza della causa ostativa alla concessione del beneficio, poiché in tal caso sarebbe preclusa al giudice dell’esecuzione la revoca del beneficio.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente accoglibile.
1.1 I primi due motivi, da trattare congiuntamente, sono fondati.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, nel giudizio che è culmiNOME con la sentenza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano n. 553/2015 all’imputato era stata contestata la recidiva specifica già nel capo di imputazione; tale aggravante è stata anche valutata come sussistente – quanto meno astrattamente – nel giudizio di bilanciamento delle circostanze, poiché come ritenuto nell’impugNOME provvedimento, le attenuanti generiche sono state riconosciute prevalenti rispetto “alle aggravanti”, con ciò riferendosi il giudicant ad entrambe le aggravanti contestate, quella di cui al capo 1) – reato più grave la cui pena è stata considerate come base di calcolo per la determinazione della pena complessiva – e l’art. 99 cod.pen., non essendovi altre aggravanti da considerare, posto che quelle di cui al capo 2) non hanno, trattandosi del reato satellite, una autonoma incidenza nel giudizio ex art. 69 cod.pen.; in questo senso si è più volte pronunciata questa Corte statuendo che il giudizio di bilanciamento tra circostanze dev’essere effettuato con esclusivo riguardo a quelle relative al reato ritenuto più grave, dovendo tenersi conto di quelle afferenti ai reati “satellite” al solo fine de determinazione dell’aumento di pena ex art. 81, comma secondo, cod. pen., salvo che nel caso in cui il giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto relative a un reato satellite incida sul genere di pena applicabile, in ossequio ai principi del “favor rei” e di legalità. (Sez. 2, n. 16352 del 29/02/2024 Rv. 286295)
Il punto è che le aggravanti, fra cui, come detto, anche la recidiva, sono state ritenute subvalenti rispetto alle circostanze attenuanti e, dunque, non hanno
dispiegato alcun effetto sotto il profilo sanzioNOMErio, nemmeno sterilizzando gli effetti benefici delle riconosciute generiche, proprio perché ritenute subvalenti e non equivalenti.
Ai fini che qui interessano è necessario dunque comprendere se, in caso di recidiva ritenuta subvalente rispetto alle attenuanti, sussista comunque in capo al condanNOME uno status di recidivo che possa dispiegare effetti deteriori, anche indiretti, nonostante detto status non abbia inciso minimamente sulla misura della pena.
In caso di giudizio di equivalenza è principio pacifico che «all’atto del giudizio di comparazione, l’azione dell’applicare la recidiva si è già esaurita, perché altrimenti il bilanciamento non sarebbe stato necessario: la recidiva ha comunque esplicato i suoi effetti nel giudizio comparativo, sebbene gli stessi siano stati da giudice ritenuti equivalenti rispetto alle circostanze attenuanti concorrenti, i assenza delle quali, però, la recidiva avrebbe comportato l’aumento di pena>> (Cass. SU, n. 31669/16).
Secondo una successiva pronuncia, per identità di rado, a conclusioni analoghe si dovrebbe necessariamente giungere anche nel caso in cui la recidiva sia risultata, all’esito del bilanciamento, subvalente. (Sez. 7, Ordinanza n. 15681 del 2017).
Invero, la ritenuta identità di ratio non appare così evidente, posto che in un caso la equivalenza delle circostanze consente, come già detto, di sterilizzare la portata delle diminuzione conseguente al riconoscimento delle attenuanti generiche e, dunque, conferisce un peso al riconoscimento della recidiva che, di fatto viene applicata, mentre nel caso di recidiva subvalente, l’effetto deteriore sul trattamento sanzioNOMErio è nullo, poiché non sterilizza la portata positiva delle attenuanti, applicate nella loro massima estensione, esattamente come sarebbe accaduto se la recidiva non fosse stata né contestata né riconosciuta.
Nel senso della non identità di ratio si pone altra pronuncia che, in motivazione, ha altresì precisato che non è da ritenere applicata l’aggravante solo allorquando, ancorché riconosciuta la ricorrenza dei suoi estremi di fatto e di diritto, essa non manifesti concretamente alcuno degli effetti che le sono propri a cagione della prevalenza attribuita all’eventuale riconosciuta attenuante. (Sez. 5n. 48891 del 20/09/2018; conf. Sez. U. n. 17/1991, Rv.187856).
Per contro, in tema di prescrizione, la recidiva deve ritenersi “applicata” anche se considerata subvalente nel giudizio di bilanciamento con le attenuanti concorrenti. (Sez. 7, Ordinanza n. 15681 del 13/12/2016), ma ciò in quanto l’art. 157, comma 3, cod. pen. esclude espressamente che il giudizio di cui all’art. 69
cod. pen. abbia incidenza sulla determinazione della pena massima del reato. (Sez. 6, n. 50995 del 09/07/2019)
Per contro, in tema di reato continuato, il limite minimo per l’aumento stabilito dalla legge nei confronti dei soggetti per i quali sia stata ritenuta la contesta recidiva reiterata non opera quando il giudice abbia considerato la stessa subvalente alle riconosciute attenuanti, in quanto, in tale ipotesi, la recidiva, p considerata nel giudizio di bilanciamento, non ha però di fatto potuto paralizzare il loro effetto tipico di riduzione della pena. (Sez. 6, Sentenza n. 27784 del 05/04/2017.)
In questo caso trattasi di esclusione di un effetto indiretto del riconoscimento della recidiva, cioè l’aumento minimo di pena previsto dall’ art. 81 ultimo comma cod.pen., in caso di recidiva riconosciuta subvalente rispetto alle attenuanti.
Le Sez. U., n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, COGNOME, nell’affrontare ex professo la questione, affermavano che, pur considerando la rilevanza del riconoscimento della recidiva anche nel caso in cui la circostanza aggravante non riesca ad annullare l’attenuante, in quanto subvalente all’esito del giudizio di comparazione, ha, tuttavia, rilevato come l’aggravante in esame si caratterizzi, tra le circostanze del reato, per essere produttiva non solo “dell’escursione sanzioNOMEria”, ma anche di effetti ulteriori, decisivi per la concreta conformazione del trattamento del condanNOME recidivo. Quando, infatti, il giudice di merito formula un giudizio di subvalenza, egli “esprime una valutazione di disfunzionalità della recidiva rispetto al programma di trattamento che comincia a delinearsi con la fissazione della pena da infliggere. Risulterebbe quindi in patente contraddizione con il giudizio che si cristallizza con la definitività della pronuncia attribuir questi casi valore alla recidiva nel contesto di successive valutazioni che pure si riflettono sulla conformazione di quel programma”
Ne consegue, secondo le Sezioni Unite, che, in caso di recidiva subvalente, non solo non si produce l’effetto principale di aggravamento della pena, ma nemmeno quelli indiretti dell’aggravante. (Sez. 6, Sentenza n. 50995 del 2019)
Tale è dunque il principio generale enucleabile dai precedenti in tema, cui si pone come eccezione quella più sopra ricordata della rilevanza della circostanza aggravante in esame ai fini del computo del termine di prescrizione del reato, atteso che l’art. 157, terzo comma cod. pen. esclude espressamente che possa tenersi in considerazione il giudizio di cui all’art. 69 cod. pen. ai fini della determinazione della pena massima del reato.
In tal caso non viene, per la verità, in rilievo il giudizio finale di comparazion se cioè di equivalenza o in subvalenza, ma viene escluso ab origine alcun rilievo al giudizio di comparazione in sé.
In senso contrario al principio di cui sopra, cioè della irrilevanza della recidiva subvalente non solo sotto il profilo sanzioNOMErio, ma con riguardo a tutti i profil sui quali lo status di recidivo può avere una valenza, si pone una pronuncia non massimata di questa stessa sezione, Sez. 1, n. 31456 del 7/7/2023.
Secondo tale pronuncia – partendo dal dato letterale dell’art. 172 cod.pen. che esclude l’estinzione delle pene per decorso del tempo qualora si tratta di recidivie in ragione della certa o consolidata interpretazione giurisprudenziale sul punto secondo cui «Alla prescrizione della pena è di ostacolo la ricorrenza della recidiva, che sia stata contestata e ritenuta in sentenza, a nulla rilevando che’ nel giudizio di comparazione con circostanze attenuanti, essa sia stata considerata subvalente» (Sez. 1, n. 17263 del 08/04/2008, Rv. 239627; Sez. 4, n.8079 del 22/11/2016, dep. 2017, Rv. 269129), l’estinzione della pena per decorso del tempo non opera nei confronti di condannati recidivi di cui ai capoversi dell’art. 99 cod.pen., a condizione che l’accertamento della recidiva aggravata sia stato compiuto nel giudizio sfociato nella condanna cui la pena si riferisce ovvero di un diverso giudizio in relazione a fatti commessi nel periodo di tempo intercorrente tra detta sentenza e la data di maturazione della prescrizione della relativa pena, con la conseguenza che è irrilevante l’accertamento compiuto prima della sentenza stessa» (Sez. 1, n. 4095 del 10/12/2019, Rv. 278165).
La pronuncia in esame individua la ragione di tale limitazione nel fatto che se la ratio dell’istituto della prescrizione della pena è la perdita di interesse dello St alla punizione di fatti molto risalenti nel tempo, potendosi ipotizzare che i condanNOME abbia, nelle more, perduto la capacità criminale che lo aveva portato a commettere il reato, l’accertamento di una recidiva qualificata intervenuta durante il decorso del termine di prescrizione della pena, dimostra che questi non ha perso tale capacità con il passare del tempo, con la conseguenza che nei suoi confronti, a dispetto del decorso del tempo, l’interesse punitivo dello Stato permane.
La premessa da cui muove tale ragionamento è ineccepibile, ma sono le conclusioni che, in ragione di quanto più sopra osservato e delle pronunce citate, non sono condivisibili.
Affermare che il semplice riconoscimento dello status di recidivo, indipendentemente dalla concreta incidenza che la ritenuta proclività a delinquere abbia avuto sull’aspetto sanzioNOMErio – che è certamente l’aspetto su cui maggiormente incide il riconoscimento dell’aggravante – introduce un elemento di automaticità nel giudizio che è in aperto contrasto con la ribadita necessaria discrezionalità che deve essere riconosciuta al giudicante in tema di recidiva, stante gli effetti potenzialmente deflagranti derivanti dal suo riconoscimento.
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Da ‘un lato, si è affermato, infatti, che il giudizio sulla recidiva non riguard l’astratta pericolosità del soggetto o ù n suo status personale svincolato dal fatto reato e, dall’altro, che il riconoscimento e l’applicazione della recidiva qual circostanza aggravante postulano, invece, «la valutazione della gravità dell’illeci commisurata alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal soggetto agente, idonea ad incidere sulla risposta punitiva – sia in termini retributivi che i termini di prevenzione speciale – quale aspetto della colpevolezza e della capacità di realizzazione di nuovi reati, soltanto nell’ambito di una relazione qualificata tr i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso, che deve essere concretamente significativo – in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, e avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen. – sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo» (Sez. Unite penali, 24 febbraio 2011, n. 20798).
L’orientamento prospettato dapprima dalla Corte Costituzionale è stato recepito poi dalla giurisprudenza di legittimità, che ha riconosciuto la natura facoltativa di tutte le ipotesi di recidiva, ad eccezione di quella rappresentata da quinto comma dell’art. 99 cod. pen., e ha ritenuto che quando la contestazione concerne una delle ipotesi contemplate dai primi quattro commi dell’art. 99 cod. pen. è compito del giudice verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, tenendo conto della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistenti fra loro, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante, significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero riscontro formale dei precedenti penali. All’esito di tale verifica si ritiene che al giudice sia consentito negare la rilevan aggravatrice della recidiva ed escludere la circostanza, non applicando il relativo aumento della sanzione (Sezioni unite penali, 27 maggio 2010, n. 35738. In senso conforme, Sezioni unite penali, 24 febbraio 2011, n. 20798).
Date queste premesse generali, è evidente che affermare che la semplice contestazione e il riconoscimento di recidiva siano forieri di effetti negativi sot una molteplicità di aspetti, anche sotto il profilo che qui interessa, benché nel concreto non abbia comportato alcun aggravio di pena, appare contraddittorio e ingiustificatamente gravatorio.
Il giudice del merito, infatti, nell’operare il bilanciamento delle circostanze h già espresso la propria fondamentale e irrinunciabile valutazione circa la riprovevolezza della condotta, in ragione del precedente, e siccome rapportata a tutte le altre circostanze del fatto, e la ha espressa in maniera tale da fare venire
meno qualunque incidenza negativa sulla sanzione, al punto che può affermarsi che la recidiva nel concreto non è stata applicata.
E dunque, per tornare alle premesse del ragionamento che qui si avversa, se la ratio dell’escludere la estinguibilità della pena per decorso del tempo sta nella particolare pericolosità del soggetto agente, come valutata in ragione dei precedenti e degli elementi di fatto che concorrono a formulare il giudizio ex art. 99 cod. pen, è evidente che, allorquando la riprovevolezze è tale che nessun rilievo le viene attribuito sulla dosimetria sanzioNOMEria, vien meno anche la ragione di escludere la possibilità di estinzione della pena per decorso del tempo.
Ovviamente, nel caso in esame, se il giudice dell’esecuzione ritenesse estinta la pena per decorso del tempo non ritendo COGNOME NOME recidivo, non per questo rivaluterebbe la sussistenza delle recidiva sostituendosi al giudice della cognizione, ma darebbe un significato più concreto al concetto di recidivo, dando pieno sviluppo al ragionamento già seguito nella sentenza di condanna, con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano ha escluso il benché minimo rilevo sanzioNOMErio alla contestata recidiva.
La impugnata ordinanza deve dunque essere annullata con rinvio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, perché, alla luce del principio sopra evidenziato, voglia rivalutare l’aspetto della intervenuta prescrizione della pena.
1.3 Il terzo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Circa il rilievo dell’indulto applicato dal Tribunale di Lucca, quale giudic dell’esecuzione, al reato di cui alla sentenza della Corte di Appello di Firenze in data 15 ottobre 2009, si osserva che in tema di esecuzione, non è suscettibile di applicazione analogica la previsione di cui all’art. 671, comma 3, cod. proc. pen. nel caso in cui le pene ostative alla concessione della sospensione condizionale sono state dichiarate estinte per indulto, posto che la concessione di tale beneficio, pur estinguendo la pena e facendone cessare l’espiazione, non elimina gli altri effetti penali scaturenti “ope legis” dalla condanna. (Sez. 1, Sentenza n. 29877 del 24/03/2023).
La doglianza circa la carenza di istruttoria, in particolare circa la mancata acquisizione del provvedimento concessivo dell’indulto, poi, è inammissibile, in quanto generica; il ricorrente si limita a ipotizzare che in un atto potrebbero esserci elementi tali da paralizzare la richiesta di revoca, senza nessuna maggiore specificazione, senza produrre l’atto e, in relazione al tenore del provvedimento, senza neppure sottoporre la questione al giudice dell’esecuzione, nel corso del procedimento.
Ciò in quanto, anche in tema di incidente di esecuzione, il ricorso per cassazione non può devolvere questioni diverse da quelle proposte con la richiesta
e sulle quali il giudice di merito non è stato chiamato a decidere; peraltro, dalla dichiarata inammissibilità in sede di legittimità non deriva, in concreto, lesione alcuna per la parte, che ben potrà far valere la diversa questione con altra richiesta, dal momento che il divieto del “ne bis in idem ” non opera per le nuove istanze, fondate su presupposti di fatto e motivi di diritto prima non prospettati (Sez. 1, Sentenza n. 9780 del 11/01/2017).
PQM
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al punto concernente la prescrizione della pena con rinvio per nuovo giudizio al Gip del Tribunale di Milano. Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso il 27 giugno 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente